Il panorama delle istituzioni/soggetti locali e territoriali che opereranno, con finalità non solo amministrative, a fianco e in sinergia con Regioni e Comuni, sembra destinato ad arricchirsi di nuove realtà, se solo ci fermiamo a considerare le diverse opzioni sinergiche di ambito sovracomunale come le Città metropolitane o le "Aree vaste", per citare due concetti amministrativi, o meglio due perimetri urbani intermedi tra Regioni e Comuni, avvalorati dalla recentissima Legge Delrio (riforma Enti Locali). Il riferimento va, in particolare, alle Unioni di Comuni (fusioni e/o accorpamenti) che la stessa riforma incentiva anche a livello finanziario, come precisa Luciano Pizzetti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio; o a quanto ha fatto e sta facendo, per esempio, Regione Emilia Romagna che da tempo lavora in questa direzione di razionalizzazione nella consistenza numerica dei Comuni e di sinergia tra Province (Parma e Piacenza è uno dei casi più emblematici a livello nazionale).
Di questi temi si è parlato all'Università di Parma, in un convegno promosso da Fondazione Andrea Borri di Parma e Fondazione Giovanni Goria di Asti, e dedicato appunto alla riforma degli Enti Locali iniziata attraverso la “Legge Delrio” e proseguita con la recente riforma costituzionale che ha ridisegnato i confini e le competenze delle amministrazioni locali (Regioni, Province, Comuni, Città metropolitane, Aree vaste). In particolare, il nuovo quadro normativo ha previsto la costituzione di Città metropolitane e di enti di "Area vasta" intesi come organi di governo di secondo livello rispetto ai Comuni e destinati a sostituire le esistenti province sia nella struttura sia nelle funzioni. Una delle conseguenze evidenti della riforma è la ridefinizione delle relazioni fra Stato e Regioni, da una parte, e gli enti di nuova creazione dall’altra.
Due potrebbero essere considerati, volendo riassumere la questione, i temi ispiratori della riforma Delrio: "le risposte migliori nei periodi di crisi stanno tutte nel decentramento, non nell'accentramento" come ha sintetizzato molto chiaramente Luciano Pizzetti; e "la riforma degli enti territoriali si gioca tutta sull'Area vasta: se fallisce questa fallisce anche la riforma" per citare il commento di Giorgio Pagliari, membro della Commissione permanente Affari Costituzionali.
Senza entrare nelle questioni tecniche, pur importantissime, come le fondamentali clausole di flessibilità e di supremazia, che regolano la diversa distribuzione soprattutto in termini di deroghe delle "materie" (competenze) nei rapporti Stato e istituzioni/soggetti periferici, bisogna dire che i concetti di Città metropolitane e Aree vaste prima ancora che giuridici e amministrativi, devono nascere da considerazioni e necessità urbanistiche. Entrambi questi concetti -ancora del tutto ignoti al cittadino medio, che invece ha ben chiare le idee su cosa fanno Comuni, Province e Regioni - presuppongono realtà urbanistico-metropolitane non del tutto definite e forse anche non definibili, almeno a breve, in assenza di una visione strategica e di una rete infrastrutturale che rendano un'Area metropolitana qualcosa di più concretamente identificabile di un flatus vocis. Ha senso parlare di Area metropolitana omogenea per un insieme di Comuni di ambito provinciale che sono uniti, a livello di trasporti, da reti non omogenee per gestione e qualità?
Come ha ricordato Franco Pizzetti, ordinario di diritto costituzionale all'Università di Torino, la nozione di città metropolitana esiste dal 1990, ossia dalla legge che ne stabilì l'esistenza teorica; nozione che fu avvalorata costituzionalmente con la riforma del titolo V del 2001. Sta di fatto che al cittadino interessa che le strade non abbiano buchi grossi come meteoriti, che le scuole funzionino e non crollino al minimo turbamento atmosferico. Queste funzioni sono, per ora ancora svolte dalle Province, che sono però Enti in via di dissoluzione (non ci sono più 1.500 consiglieri provinciali). Resta, tuttavia, indubitabile il fatto che sono in atto cambiamenti socio-demografici tali da richiedere una riforma e soprattutto un'innovazione nella mentalità degli amministratori locali -come ha ricorda giustamente Luciano Pizzetti- soprattutto quando si trovano ad amministrare Comuni (e sono tanti) di 400 abitanti. L'invecchiamento della popolazione, la dimensione piccolissima dei nostri Comuni, la frammentazione e la varietà fisica del nostro territorio, sono fra i principali fattori critici che spingono a un cambiamento nella visione amministrativa e strategica di un ente locale.
Nelle dinamiche che porteranno alla definizione delle Aree vaste potrebbe rafforzarsi il potere di coordinamento dei Sindaci e appunto di ruolo di cabina di regia esercitato (o esercitabile) dalle Regioni.
Resta comunque poco chiaro quante sono, o quante possono essere, queste macro-aree amministrative sovracomunali: oggi le polarità definibili come grande aree metropolitane sono almeno 10 (fra le quali Torino, Milano, Genova, Bologna, Firenze e Venezia nel nord; Bari e Reggio Calabria nel Sud), fra le quali vi sono città che hanno gli stessi abitanti di un grande quartiere di Roma. Per molti esperti ci sarebbero addirittura solo due grandi Città Metropolitane: Milano e Roma.