Dlgs 198/21: superare i limiti all’autonomia contrattuale

Questo il tema al centro di un convegno tenutosi di recente a Roma che ha illustrato alcuni dei punti più controversi del decreto legislativo che crea difficoltà interpretative per il mercato

Il decreto legislativo 198 del 2021 ha dato attuazione alla Direttiva europea 633 del 2019 relativa al contrasto delle pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese della filiera agroalimentare. Il testo normativo ha avuto un grande impatto, come dimostra il numero di procedimenti sanzionatori attivati su iniziativa dell’ICQRF Ispettorato Centrale della tutela della Qualità e Repressione Frodi dei prodotti agroalimentari del MASAF (il Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste), l’organo deputato all’attività di accertamento delle violazioni. Diversi i dubbi interpretativi sollevati che pongono gli operatori di fronte a difficoltà pratiche.

I temi del convegno

Il tema è stato discusso all’interno del convegno “Rapporti tra imprese del settore agroalimentare: quali limiti all’autonomia contrattuale dal decreto 198/21?”, il cui dibattito è stato moderato da Cristina Lazzati, direttrice di Mark Up, Gdoweek e Fresh Point Magazine. Antonio Delfino ha salutato gli intervenuti a nome di Giuffrè Francis Lefebvre spa, quale società editrice del libro “Le pratiche commerciali sleali nella filiera agroalimentare. Presupposti della tutela e questioni chiave nell’interpretazione del decreto 198/21” scritto dagli avvocati Stefano Taurini e Daniela Zorzit, rispettivamente managing partner e associato dello Studio THMR di Milano e Roma, che hanno presentato il volume e illustrato alcuni aspetti controversi legati all’applicazione della nuova disciplina.

“Siamo in un mondo dall’altissima competitività -ha spiegato Cristina Lazzati–: dal momento che esiste una regolamentazione, diviene quindi necessario capirne al meglio i meccanismi”.

L’origine della normativa è stata esplorata da Daniela Zorzit: “La 198 è una legge snella, che conta pochi articoli, ma è molto complessa e solleva dubbi interpretativi”.

L’impianto di base del codice civile è che le parti sono libere di determinare il contenuto del contratto, sia pure entro una cornice minima di regole e principi. “Tuttavia -ha osservato Zorzit- nel tempo, in alcuni specifici settori il legislatore ha dettato norme più stringenti allo scopo di garantire l’equilibrio in rapporti caratterizzati da asimmetria di posizioni; il decreto 198 interviene oggi sul contenuto del contratto, tutelando l’anello debole della catena”.

Obiettivi della normativa

Obiettivo del legislatore è quello di contrastare l’imposizione di pratiche sleali da parte del contraente forte ai danni di quello debole, attraverso un insieme di regole che incidono sull’autonomia.

“La direttiva 633 -ha precisato Zorzit- ha come obiettivo dichiarato quello di proteggere l’agricoltore, affinché possa avere un reddito equo, ma dà una definizione molto ampia di “fornitore”, che ricomprende chiunque venda prodotti agricoli e alimentari”. In ogni caso, il presupposto di applicazione della disciplina europea è che il fornitore sia più debole dell’acquirente, misurandosi la rispettiva forza commerciale mediante un sistema a scaglioni di raffronto dei fatturati.

In Italia esisteva già una normativa di settore, l’articolo 62 del D.l. 1/2012. “Occorre rimarcare -ha continuato Zorzit- che in linea di continuità con l’articolo 62, il decreto 198 ha esteso la tutela anche all’acquirente, perché non è detto che il fornitore sia sempre l’anello debole della filiera”.

Uno dei punti problematici è quello della definizione dell’ambito di applicazione: in base all’art. 1, il Decreto 198 riguarda tutte le cessioni di prodotti agricoli e alimentari “indipendentemente dal fatturato dei fornitori e degli acquirenti”, ma è dubbio il significato da attribuire a tale espressione.

“Quando leggiamo ‘indipendentemente dal fatturato’ siamo di fronte a una questione interpretativa di non facile soluzione –osserva l’avvocato– tanto che, secondo alcuni, il decreto 198 regola tutti i rapporti, a prescindere dall’esistenza di un significativo squilibrio di posizioni, mentre per altri trova applicazione a patto che il soggetto a cui si rivolge la norma di tutela sia veramente la parte più debole; ciò in conformità con l’idea per cui un intervento invasivo sull’autonomia è giustificato solo quando si tratti di riportare in asse una relazione che altrimenti sarebbe fortemente squilibrata”.

Tutelare il contraente debole

Il dilemma è in questo punto: la legge può dire che l’autonomia è sacrificabile qualunque sia la forza delle parti? “Secondo il nostro parere no –afferma Zorzit-, occorre un rapporto sbilanciato con una parte veramente debole; qui la legge interviene non per limitare, ma per garantire l’esercizio effettivo dell’autonomia, e per fare in modo che l’assetto contrattuale sia equilibrato”.

Dello stesso parere l’avvocato Stefano Taurini, il quale osserva che la legge deve essere interpretata in conformità con la ratio della Direttiva di cui costituisce attuazione, che consiste nel garantire una tutela minima al contraente debole. L’elemento chiave a conferma del fatto che il decreto 198 presuppone anch’esso, come l’art. 62, un significativo squilibrio nelle posizioni delle parti è racchiuso nella “imposizione unilaterale” richiesta all’art. 1 comma 1. “Se una della parti è in grado di imporre delle condizioni -sottolinea Taurini– è chiaro che siamo di fronte al contraente forte, perché solo il potere di dissenso genera equilibrio”.

A proposito di pagamenti

Non solo, la legge solleva anche la questione dei pagamenti che devono essere a 30/60 giorni. Secondo Taurini, la norma nasce dall’esigenza di proteggere il fornitore debole e presuppone che l’acquirente sia più forte, quindi in grado di imporre al creditore termini più lunghi.

Nell’ambito della distribuzione moderna è facile individuare alcuni esempi per dimostrare come sia illogico pretendere di applicare il decreto 198 a tutti i rapporti, a prescindere dallo squilibrio. Un caso emblematico è quello del dettagliante che, dovendo aprire un nuovo punto di vendita, chieda al grossista la cosiddetta “fornitura di impianto”, avente ad oggetto tutte le merci occorrenti per assicurare il necessario assortimento. “È impensabile che si possa pagare tutta questa merce a 30/60 giorni, perché siamo di fronte a un ciclo economico complesso; in questo caso, il grossista, che pure ha interesse a concedere una dilazione al dettagliante a scopo finanziamento, non potrebbe farlo perché sarebbe obbligato a esigere il rispetto del termine di legge, con l’assurda conseguenza che l’acquirente, nella veste di debitore, sarebbe assoggettato a una sanzione sino al 3,5% del suo fatturato”.

Un simile esito si porrebbe in evidente antitesi con la Direttiva europea 633, che consente agli Stati membri di prevedere un più alto livello di tutela in favore della parte più vulnerabile e non, al contrario e paradossalmente, di proteggere il forte contro il debole.

In conclusione, Taurini sottolinea come questo punto di vista trovi supporto anche nell’art. 12 del decreto 198, che ha abrogato tutti i commi dell’art. 10 quater del D.l. 27/2019 tranne quello che espressamente richiede “l’accertamento di situazioni di significativo squilibrio”: tale scelta conservativa non può reputarsi casuale e conferma la continuità con l’articolo 62.

Una nuova proposta di legge

Assecondando le finalità di tutela della parte debole, e in particolare degli agricoltori, Davide Bergamini, capogruppo della Lega in Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati, ha presentato una proposta di legge ad integrazione del decreto 198 nella quale si prevede che i prezzi delle cessioni debbano tener conto dei costi di produzione. “L’agricoltore subisce i cambiamenti climatici, i fattori esogeni e, quindi, è continuamente sottoposto a pratiche di concorrenza sleale nei suoi momenti di debolezza -ha spiegato il deputato-. La proposta, inserita all’interno del decreto legge del Ministero dell’Agricoltura, darà maggiore forza al settore agricolo, definendo il prezzo medio, ovvero un prezzo equo di contrattazione in considerazione dei costi che vengono sostenuti e che possono variare per molteplici fattori ed in base alla zona di produzione”.

Felice Assenza, capo del Dipartimento dell’ICQRF, ha dato voce alla vocazione europea di questa normativa. “Il preambolo della direttiva 633 richiama l’Organizzazione Comune dei Mercati, e questa direttiva è relativa a una politica agricola comune, quindi si spinge oltre le regole della concorrenza”.

“Noi siamo passati dall’articolo 62, in cui tutelavamo gli agricoltori, alla normativa europea che parla di fornitori.  La ratio era: se un fornitore subisce una pratica sleale, questa a cascata arriva fino a valle, ricadendo sull’anello più debole, il consumatore. Quindi la difesa è del fornitore nei confronti dell’acquirente” spiega Assenza, ammettendo che la normativa è migliorabile nei tratti relativi ai pagamenti.

Assenza riporta in sintesi i dati relativi alla grande attività svolta dall’Ispettorato, sottolineando come l’accertamento delle violazioni di legge risulti in concreto molto difficoltoso in quanto le imprese vittime di condotte sleali difficilmente presentano la relativa denuncia. Rileva inoltre che l’attività sarebbe ulteriormente complicata laddove l’ICQRF dovesse preventivamente confrontare, secondo la regola europea, i fatturati delle imprese interessate.

Il punto di vista della distribuzione

Della differente posizione delle varie aziende della filiera agroalimentare si occupa Carlo Alberto Buttarelli, presidente di Federdistribuzione, il quale testimonia, richiamandosi ad una ricerca realizzata con The European House Ambrosetti, come negli ultimi anni i margini siano rimasti sostanzialmente stabili sia per gli agricoltori che per i distributori, mentre non è così per l’industria che li ha visti crescere sempre più.

“La 198 è stata per noi fonte di tensione con la grande industria –afferma Buttarelli senza mezzi termini– abbiamo avuto discussioni con associazioni che hanno interpretato in modo strumentale questa normativa”. “A noi è certamente chiaro che la norma deve tutelare la parte debole, i piccoli produttori. La grande industria, spesso multinazionale, ha più forza del distributore,” ha concluso Buttarelli, che ha espresso anche criticità sulle modalità di pagamento. “Sono state trovate soluzioni quali le fatture riepilogative a fine mese, ma certamente alcuni aspetti su questo tema non chiariti hanno consentito differenti interpretazioni della normativa e creato parecchie criticità nelle relazioni contrattuali con la grande industria. Difficoltà che non abbiamo invece riscontrato nelle relazioni con i piccoli fornitori agricoli, che sono importantissimi alleati del mondo distributivo”.

Su questo punto ha insistito molto Giorgio Santambrogio, Ceo del Gruppo VéGé, il quale ha sottolineato il valore dell’agricoltura per la distribuzione moderna: “La distribuzione ama l’agricoltura. Può far sorridere questa affermazione, ma sempre di più, gli assortimenti dei punti di vendita fisici saranno caratterizzati, sia in termini di numerica referenze che di fatturato, dalle categorie dei freschi e freschissimi. I reparti dell’ittico, della macelleria, della gastronomia e soprattutto dell’ortofrutta giocheranno un ruolo fondamentale, anche per uscire dall’omologazione del grocery e delle commodities.  Di conseguenza, se il futuro verte su questo rapporto, noi non possiamo precluderci l’alleanza con questi partner”. “Saremo sempre meno “venditori di scatolette” e sempre di più siamo propositori di esperienze sensoriali; dobbiamo quindi valorizzare la nostra offerta verso il cliente attraverso il freschissimo, per cui i produttori agricoli del territorio sono apprezzatissimi alleati”.

Necessità di rapporti chiari

In generale Santambrogio insiste sulla necessità di una regolamentazione contrattuale chiara tra le parti del rapporto di fornitura, denunciando i problemi che le centrali incontrano quando si tratta di giungere alla stipulazione dell’accordo quadro che è così importante nella logica del decreto 198.

Insiste sul punto anche Carlo Alberto Buttarelli: in un comparto agro alimentare da oltre 600 miliardi di valore, secondo il presidente di Federdistribuzione, ci vuole una normativa “al passo con la realtà: per noi l’esigenza è quella di un accordo quadro che definisca in modo specifico le regole del rapporto contrattuale, così assicurare maggiore efficienza e sicurezza al mercato soprattutto a tutela della parte più debole".

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