L’alimentazione per molti aspetti riflette in modo quasi paradigmatico l’evoluzione socioeconomica del Paese, il modo in cui sono cambiati la vita degli italiani, nonché la concezione e la gestione del proprio benessere. C’è stato un tempo in cui il consumo era il cuore dell’identità individuale, e avere di più era sempre e comunque meglio; con la crisi però si è accelerato un processo di rallentamento della corsa verso l’alto dei consumi, e si compie l’esaurimento della compulsione al consumo con il passaggio dalla dismisura alla misura e l’affermarsi, oltre ai consumi legati alla funzionalità, anche un consumo di qualità, che riflette valori, aspettative, istanze etiche e sociali.
Il rapporto con il cibo è una dimensione sempre più soggettiva, espressione dell’io che decide e che, a partire dalle proprie preferenze, abitudini, prassi e aspettative, nonché dalle risorse di cui dispone, definisce il contenuto del carrello e della tavola. Nasce così il politeismo alimentare fatto di combinazioni soggettive di luoghi di acquisto dei prodotti e relative diete alimentari, e la crisi rinforza questa dinamica.
Ognuno sceglie in autonomia la composizione di carrello e dieta, senza che ci sia ortodossia alimentare in grado di imporre scelte unilaterali.
Non a caso le dispense delle famiglie italiane sono fatte da un patchwork molto funzionale di prodotti: i surgelati (il 69,6% dichiara di acquistarli regolarmente), i prodotti a marchio commerciale, del distributore (65%) e lo scatolame (58,7%) sono al vertice e poi i prodotti acquistati direttamente dal produttore inclusi i mercati del contadino (41,4%), verdure lavate, tagliate e già pronte (38,7%), prodotti Dop/Igp (29,1%), prodotti da agricoltura biologica (28,6%)
Il politeismo alimentare è soprattutto la libera combinazione soggettiva di alimenti e luoghi di acquisto sulla carta agli antipodi e inconciliabili: Infatti:
- tra coloro che dichiarano di acquistare regolarmente prodotti Dop, Igp, comportamento che denota grande attenzione alla qualità anche quando determina una spesa mediamente più alta, il 77,7% acquista egolarmente surgelati, il 67,6% scatolame, oltre il 29% acquista anche cibi precotti;
- tra coloro che acquistano regolarmente prodotti dell’agricoltura biologica, il 73% acquista anche surgelati, quasi il 65% prodotti con marchio del distributore, il 63% anche scatolame;
- tra gli acquirenti regolari di prodotti del commercio equo e solidale, l’83,7% acquista anche prodotti a marchio commerciale del distributore, quasi il 77% surgelati ed il 66,5% scatolame.
Riguardo ai luoghi di acquisto e consumo: anche tra coloro che acquistano prodotti del commercio equo solidale (27,1%), tra gli acquirenti regolari di prodotti Dop/Igp (22,6%) e tra quelli di prodotti di agricoltura biologica (26,7%) è diffusa l’abitudine a recarsi, almeno una volta a settimana, presso un fast food.
Credo bastino questi rapidi cenni a comprovare l’ipotesi che Paese, nella agiatezza come nella crisi, si è andata affermando un policentrismo alimentare che certo è figlio dell’esplosione di soggettività che ha percorso l’Italia negli ultimi cinquanta anni, ma che altrettanto certamente è connesso alla articolazione dei territori, alla loro specificità di comportamento, alla loro stessa fedeltà alle produzioni ed agli stili delle varie comunità locali.