Non basta fare il bene, bisogna anche farlo bene. Così Denis Diderot già nel Settecento sottolineava la fondamentale razionalità che deve porsi alla base dell’attività filantropica. Competenze manageriali e imprenditoriali -come dimostrato da Grosmann e Porter in una serie di articoli apparsi su Harvard Business Review- ne sono a buon diritto il fulcro, a vantaggio di soggetti destinatari e collettività. Un principio che sembra in fase di assimilazione anche in Italia, dove, a fronte di una crescente difficoltà delle finanze pubbliche nel disporre di risorse per la cultura e la valorizzazione del nostro patrimonio, il settore privato risponde in alcuni casi dando vita a diverse manifestazioni di mecenatismo moderno ed iniziative che attingono direttamente al mondo dell’arte, instaurando un rapporto di reciprocità.
Non si tratta più solo di donazioni a fondo perduto, ma di una logica di progettualità condivisa con risvolti vantaggiosi anche per l’azienda. Significativa in tal senso la crescita delle fondazioni, che stando all’ultimo censimento Istat relativo al 2011 sono aumentate in dieci anni del 102%. Parliamo di 6.220 enti attivi che danno lavoro a 91.783 addetti e che sono all’81,9% composti da fondazioni private. Un comparto in movimento, dunque, che segna il passaggio aziendale da una logica di intervento a una logica di presenza, dando corpo a un’istituzione. Emblematiche in proposito Fondazione Prada, Fondazione Trussardi, ma anche l’Hangar Bicocca di cui il Gruppo Pirelli è socio fondatore.
Parliamo dei vantaggi: analizzando la ragione alla base di una scelta di questo genere, appare evidente il risvolto fiscale positivo legato al no profit, che dà accesso a sgravi soprattutto nel caso di fondazioni a carattere di ricerca scientifica e studio, una qualificazione applicabile anche all’ambito artistico. Il discorso è tuttavia più ampio e il ritorno per l’impresa è concreto, sia che si faccia ricorso a questo tipo di ente con operatività autonoma, sia che si agisca attraverso altri canali. Si pensi, ad esempio, al Ferragamo Museo o a quello Gucci, ma anche a Intrapresae Collezione Guggenheim, che supera il concetto di sponsorizzazione dando vita a un progetto di corporate membership. In questo caso parliamo di un gruppo di 19 aziende italiane e internazionali come Acqua di Parma, Allegrini, Aermec e René Caovilla, che entrano nella comunità del museo versando una quota annuale e garantendo il legame del brand con la Collezione Peggy Guggenheim. Abilitata così la partecipazione ad eventi e momenti decisionali, ma anche la presenza all’interno dei video istituzionali e l’utilizzo gratuito degli spazi per incontri e visite private (Fondazione Symbola-Unioncamere, Io sono Cultura - Rapporto 2014).
Si tratta di veri e propri strumenti di marketing per rafforzare la brand reputation e awareness, come sottolinea il Professor Angelo Miglietta, docente all’Università Iulm con una lunga esperienza professionale nel settore che l’ha visto anche coautore di diversi volumi al riguardo, tra cui l’ultimo “I nuovi orizzonti della filantropia. La Venture Philantrophy” (Cittadella, 2014). Questa attività, secondo Miglietta, coinvolge in primo luogo tutti gli esponenti del comparto moda, design e food, tre pilastri del vantaggio competitivo italiano, per estendersi a tutti gli altri. Il mondo della cultura ha infatti una contiguità ontologica con le industrie che operano nei settori creativi, proprio perché questi ultimi si fondano sulla nostra identità di eccellenza, che affonda a sua volta le radici nell’Umanesimo. Il termine distintivo in questo caso è la coerenza, nel senso di legame, a livello ampio, con l’attività industriale svolta, che diventa fonte di affermazione del brand. “Un intervento filantropico, ovvero un atto di gratuità, risulta davvero appropriato solo se riesce a diventare una chiave di business per l’azienda” afferma Miglietta. Molti marchi se ne sono accorti, mostrandosi capaci di cristallizzare il mito attraverso l’arte, interpretando la bellezza in ottica allargata e di restituzione alla società.
Non è un caso che anche le 88 Fondazioni Bancarie aderenti ad Acri individuino nel settore arte, attività e beni culturali quello di primario intervento, con 269,2 milioni di euro erogati nel 2013, pari al 30,4% del totale.
Non solo filantropia, ma anche oltre la mera sponsorizzazione, che trova esemplare riscontro nel fenomeno delle ristrutturazioni e del restauro. Una su tutte, l’operazione da 25 milioni di euro finanziata dalla Tod’s di Diego Della Valle per il Colosseo, oppure quella di Bulgari, che celebrando i 130 anni dell’apertura del primo negozio in via Sistina a Roma, ha messo a disposizione 1,5 milioni di euro per il restauro conservativo della scalinata di Trinità dei Monti. Significativo anche l’intervento di Fendi con il progetto Fendi for Fountains, che ha stanziato oltre 2 milioni di euro per la conservazione e la valorizzazione delle Quattro Fontane della capitale, in primis quella di Trevi: un articolato percorso a tema acquatico che ha coinvolto figure come lo stilista, fotografo e regista Karl Lagerfeld, dando vita a un’intera narrazione sul web e rinsaldando il legame con il territorio.
La tendenza a farsi carico del patrimonio italiano si sviluppa così attraverso una serie di iniziative, anche di portata minore, che non mancano di efficacia nel reinventare il linguaggio aziendale in modo performante.
Una testimonianza tangibile arriva da Fondaco, società di consulenza e strategie comunicative con base a Venezia, che si propone come piattaforma relazionale tra arte e imprenditoria. Sono 53 le operazioni di restauro seguite dal 2004 nelle più importanti città italiane insieme ad aziende dalle dimensioni variabili. Da ultima, quella di Rigoni di Asiago, con il recupero dell’Atrio dei Gesuiti del Palazzo Brera a Milano. “Noi non parliamo di costi, ma di investimenti -sottolinea il fondatore Enrico Bressan-: l’importante è trovare un collegamento con il brand, un know-how incisivo, sia che si parli di qualche migliaia di euro, sia di milioni”. Non si tratta solo di risonanza a livello mediatico e di potenziamento d’immagine, che spesso risultano superiori o equivalenti a quelli di una campagna tradizionale, a fronte di un minor esborso, ma di una nuova visione imprenditoriale oltre il tradizionale aspetto pubblicitario, di attività integrate che possono portare anche a una nuova ispirazione produttiva.
Emblematico il caso di Thun, che dal restauro dei quattro profeti della Basilica di Venezia ha tratto una limited edition di statuine, dove lo stile del brand si è fedelmente rinnovato attingendo alla storia, con un riscontro eccellente presso il consumatore. Ancora una volta, l’arte come stimolo che proviene dal passato per guardare al futuro.
Lo ha capito anche un’azienda di servizi come Telecom, che ha trasformato il restauro della facciata di Ca’ Corner della Regina (prima che diventasse sede veneziana della Fondazione Prada) in un valore aggiunto per la modernità, veicolando il lancio del nuovo internet veloce Alice con la tradizione. Un binomio funzionante grazie all’effetto contrasto.
Nel retail, la relazione tra mondo imprenditoriale e quello culturale-artistico diventa così maggiormente sinergica e collaborativa, attraverso forme eterogenee che arrivano a toccare direttamente anche i big della distribuzione. Alcuni retailer stanno tracciando una rotta proficua in tal senso, con proposte che spaziano dal Conad Jazz Contest, vero e proprio progetto aziendale tra musica e dialogo intellettuale, fino alla mostra di quadri in metropolitana di Esselunga a Milano, nata da una collaborazione con Philip Daverio. L’iniziativa, per quanto con retroscena più marcatamente promozionale, interpreta in chiave interessante nuovi asset espressivi e si inserisce all’interno di un consolidato rapporto della catena con i tesori artistici, architettonici e culturali dei territori in cui è presente. Anche in questo caso, si contano numerosi interventi per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio. Dal primo contributo per il restauro degli stemmi del Palazzo Pretorio di Arezzo nel 1992, a quello per restituire alla città di Pisa, riportandola ad originario splendore, La Lapidazione di Santo Stefano di Giorgio Vasari (2013).
Nuovi step legislativi si stanno registrando, in parallelo con la progressione di nuovi modelli nella relazione tra imprese e mecenatismo. L’approvazione del D.Lgs. n.83/2014 Art bonus, infatti, rende detraibile il 65% delle donazioni che le singole persone e le imprese fanno in favore di musei, siti archeologici, archivi, biblioteche, teatri e fondazioni lirico sinfoniche. Nonostante il limite del tetto del 5×1000 del reddito d’impresa per le aziende, la misura apre al micro-mecenatismo e a un’evoluzione del rapporto pubblico-privato oltre il mero aspetto ideologico. Nel nostro Paese, del resto, il sistema produttivo culturale, considerato nelle tre componenti di imprese, istituzioni pubbliche e no-profit, occupa circa 1,4 milioni di persone per 80 miliardi di valore aggiunto (Fondazione Symbola-Unioncamere, Io sono Cultura - Rapporto 2014). Un dato che testimonia come genio e creatività siano parte integrante dell’economia italiana.