L'agrifood rappresenta un asset strategico per l'Italia. Considerando solo la fase produttiva (agricoltura e industria alimentare), il valore aggiunto prodotto si avvicina ai 59 miliardi di euro. L'Italia è così terza in Europa dopo Francia (78 miliardi) e Germania (61 miliardi). Sono dati emersi dall’analisi Nomisma durante il Forum delle Economie sulla filiera Agrifood promosso con UniCredit e Slow Food (focus su www.nomisma.it). Il confronto è nato per discutere sui principali trend che influenzano il percorso evolutivo del settore agroalimentare, protagonisti Remo Taricani, Co-CEO Commercial Banking Italy UniCredit, Paolo De Castro, della Commissione Agricoltura Parlamento Europeo; Giancarlo Licitra - Founder e Managing Director LBG, Maria Teresa Mascarello - Cantina Bartolo Mascarello, Francesco Sottile di Slow Food Italia, Costantino Vaia, D.G. del Consorzio Casalasco del Pomodoro, Davide Vernocchi, Presidente di Apo Conerpo. Le conclusioni sono state affidate a Stefano Gallo, Responsabile Territorial Development & Relations UniCredit.
Il Green Deal secondo Remo Taricani, Co - CEO Commercial Banking Italy di UniCredit, pone sfide non più procrastinabili al settore agroalimentare. “Partendo da questa consapevolezza, abbiamo avviato una partnership con Nomisma che cercherà di identificare le principali aree d’intervento e i migliori percorsi operativi utili alle filiere integrate per vincere la sfida e crescere secondo una logica di sviluppo sostenibile”. Il posizionamento pan-europeo di UniCredit permette il confronto costante con le migliori best practice internazionali per cogliere spunti di miglioramento da condividere con gli stakeholder del settore.
La produzione agricola è estremamente fragile soprattutto nelle filiere locali del cibo. Da qui bisogna partire per capire come rafforzare un sistema di produzione che non può rimanere ai margini dell’interesse politico, ma deve conquistare sempre maggiore spazio e dare valore al proprio contributo a favore di una reale transizione ecologica. Abbiamo bisogno di politiche che volgano lo sguardo al mondo della piccola scala che non è chiamata così perché rappresenta una minoranza ma solo perché è costituita dalle migliaia e migliaia di piccole aziende agricole che insieme rappresentano tessere di un mosaico di valore inestimabile”. - Francesco Sottile di Slow Food Italia
“Per quanto resiliente –sostiene Denis Pantini, Responsabile Agricoltura e Industria Alimentare di Nomisma - anche il sistema agroalimentare italiano sta soffrendo a causa di uno scenario di mercato dominato dall’incertezza a livello globale, dove la pandemia genera di continuo nuove sfide a cui sono chiamate le nostre imprese. È in questo scenario così complicato che si inserisce la collaborazione tra Nomisma ed Unicredit: attraverso un’analisi innovativa e una condivisione strategica degli obiettivi tra gli stakeholder delle filiere agroalimentari, potrà essere raggiunta una migliore combinazione tra risorse private e pubbliche in grado di permettere una completa riuscita dei progetti di sviluppo necessari a garantire una “competitività sostenibile” al sistema agroalimentare italiano”.
Il focus Nomisma
Secondo i dati Nomisma il settore agroalimentare ha accusato i colpi inferti dalla pandemia da Covid-19. Sebbene nei primi mesi dell’anno (e quindi anche durante il lockdown) le vendite al dettaglio sul mercato nazionale nonché l’export di prodotti alimentari siano cresciuti a fronte di un settore manifatturiero in forte crisi, a partire dall’estate anche le performances del settore agroalimentare sono passate in territorio negativo.
La chiusura della ristorazione e di tutto il fuori casa (che in Italia incide per circa un terzo sul valore dei consumi alimentari ma in paesi come gli Stati Uniti arriva a pesare fino al 45%) e il crollo degli arrivi di turisti dall’estero (nel 2019, la spesa presso i ristoranti italiani dei turisti stranieri era stata di 10 miliardi di euro) rappresentano i principali “colpevoli” di questa riduzione delle performance per il settore e, in particolare, di alcuni comparti. Nel primo trimestre di quest’anno, il calo delle vendite alimentari in Italia nel canale on-trade è risultato più basso del 23% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; nel secondo trimestre (complice il lockdown) il calo è stato del 64%.
Tra chi è stato maggiormente colpito dalla crisi figura il vino, una delle nostre eccellenze del Made in Italy, che nei primi sette mesi del 2020 ha visto calare l’export a valori di oltre il 3%. E all’interno del settore, i vini a denominazione (DOP) sono quelli ad aver sofferto di più (si pensi ai rossi Dop della Toscana che hanno perso quasi il 7% di valore all’export o a quelli veneti, -6%). Al contrario, ci sono stati altri prodotti che proprio grazie al lockdown hanno registrato aumenti nell’export a doppia cifra. È il caso della pasta, cresciuta del 23% o della passata di pomodoro (+10%).
Le sfide che il Covid-19 pone sono tante. Ma la pandemia lascia in eredità mutamenti, i cui effetti si consolideranno nei prossimi anni. La maggior attenzione da parte dei consumatori all’italianità delle produzioni porterà ad un rafforzamento delle relazioni tra gli operatori lungo la filiera, gli obiettivi di sostenibilità ricercati dai consumatori ma anche imposti dalle politiche comunitarie (Green Deal) favoriranno gli investimenti green nelle imprese. Senza dimenticare le altre sfide di mercato che attendono le nostre aziende agroalimentari: dalla Brexit all’evoluzione dei rapporti commerciali con gli Stati Uniti (a seguito dell’esito delle prossime elezioni presidenziali) fino alla necessità di una maggior diversificazione dei mercati di sbocco, i cui limiti sono divenuti evidenti con la pandemia, e per i quali il grado di concentrazione sull’export alimentare italiano risulta pari al 52%, contro il 47% di quello francese o il 44% di quello tedesco.