Dove sta puntando l’innovazione della filiera bakery e pasta? E quali sono le nuove strade della sostenibilità? Anche di questo si è parlato lo scorso settembre durante il convegno digitale di scienza e tecnologia alimentare organizzato da AlimentiPiù. “L’innovazione di prodotto nel settore dei cereali e dei prodotti derivati negli ultimi anni ha riguardato la formulazione, per esempio la ricerca di tecnologie per arricchire un prodotto di fibre o proteine -ha spiegato Alessandra Marti, phd professore in scienze e tecnologie alimentari Università di Milano-. Ci si è spinti anche verso l’utilizzo di colture diverse come la farina di castagne o di ghiande, di sottoprodotti quali germe, crusca e cruschello, oppure di nuovi ingredienti come la farina di insetti. Ma vanno poi valutati gli aspetti nutrizionali e il loro comportamento dal punto di vista tecnologico, senza contare che non sempre si raggiunge la shelf life desiderata”.
Molti dei nuovi lanci del settore sono stati di fatto rivisitazioni di prodotti già esistenti nell’ottica dell’alimentazione sana e funzionale, attraverso il recupero di materie prime più pulite e sostenibili, come il lievito madre. Ora un nuovo e concreto driver di sviluppo sostenibile per la filiera è rappresentato dalla certificazione Made green in Italy (Mgi), uno schema nazionale volontario gestito dal ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica che ha l’obiettivo di valorizzare sul mercato i prodotti italiani con buone o ottime prestazioni ambientali. Il regolamento di attuazione è entrato in vigore con il decreto ministeriale n. 56/2018 e prevede, per i prodotti Mgi, una dichiarazione di impronta ambientale ottenuta con il metodo Pef (product environmental footprint) della Commissione europea e un logo che li rende riconoscibili per i consumatori.
L’adesione allo schema è limitata ai prodotti per i quali esiste una Rcp (regole di categoria di prodotto) in corso di validità: per questi si può calcolare l’impatto ambientale e predisporre una dichiarazione di impronta ambientale di prodotto, che si confronta con il benchmark di riferimento per individuare la classe di appartenenza. L’ultimo step è la verifica da parte di un organismo di controllo accreditato e il rilascio del logo.
“Il ministero dell’Ambiente pubblica sul proprio sito web l’elenco dei prodotti aderenti allo schema e rilascia il logo, corredato da un qrcode o equivalenti o codice a barre specifico per ogni singolo prodotto, al fine di consentire il collegamento al sito web contenente la Diap (dichiarazione di impronta ambientale di prodotto) -ha illustrato Irene Grigoletto, responsabile di schema, innovazione e sviluppo di Csqa, il primo organismo di certificazione accreditato per il Made green in Italy-. Per la pasta esistono già le regole di categoria e sul sito del ministero è disponibile il documento che spiega come calcolarne l’impatto del ciclo di vita”.
Al momento sono una trentina le Rcp pubblicate, sia del settore food, sia non food. La certificazione, l’unica al momento che coniuga le performance ambientali dei prodotti con l’eccellenza produttiva del made in Italy, offre alle aziende nazionali interessanti opportunità sul fronte del marketing e della comunicazione.