Molti attori diversi hanno lavorato per combattere l’emergenza Covid-19: il governo nazionale, quelli regionali, ospedali, organizzazioni di volontariato, protezione civile, ecc.. Ma è stato importante anche il contributo di organizzazioni la cui missione istituzionale non è quella di operare a beneficio della società in caso di crisi sanitarie. E tra queste organizzazioni figurano le imprese.
La letteratura manageriale suggerisce che diversi tipi di shock, come appunto le emergenze sanitarie, possono spingere le imprese a fare ricorso alle loro risorse relative alla capacità di introdurre innovazione nei loro comportamenti, prodotti, processi produttivi, ecc.. In caso di crisi - come quella sanitaria - alcune imprese fanno innovazione per contrastare le difficoltà economiche emergenti, ma anche per fornire prodotti e servizi a beneficio della società, a prescindere da obiettivi di profitto.
In Italia, molte imprese operanti in settori diversi (automobilistico, software, stampa 3D, moda, cosmetici, liquori, prodotti tessili, ecc.) hanno rapidamente aumentato o trasformato la loro capacità produttiva per soddisfare la domanda di dispositivi medici complessi, dispositivi di protezione individuale, maschere chirurgiche, ventilatori, disinfettanti per mani, camici o altri componenti. Si tratta di imprese che hanno scelto di non rimanere passive in attesa della Fase 2 e che hanno risposto rapidamente alla chiamata della comunità, lasciando da parte obiettivi di fatturato. Con coraggio e perseveranza sono andate avanti rispettando le disposizioni di sicurezza prescritte dalla legge, provando a produrre qualcosa di utile, facendo anche turni aggiuntivi, soprattutto a vantaggio delle persone impegnate in prima linea.
Ma che tipo di scopi hanno guidato le azioni di queste imprese a supporto delle comunità nella lotta contro Covid-19? Quali azioni sono state implementate dalle aziende attraverso i loro progetti di ricerca e sviluppo e innovazione durante il Covid-19? Nell’ambito di un progetto di ricerca dell’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna abbiamo analizzato il modo in cui le imprese hanno operato e continuano ad operare nella fase immediatamente successiva al picco della crisi e le loro motivazioni, individuando quattro cluster di comportamenti.
Nel primo cluster abbiamo le imprese “reattive” che, alla luce della gravità della situazione, hanno reagito in tempi molto rapidi per contribuire a combattere l’emergenza attraverso, per esempio, la produzione di mascherine. Nella loro conversione manifatturiera hanno utilizzato le competenze che già possedevano, per esempio nel settore della moda o dell’abbigliamento. In questa categoria troviamo imprese come Baby2, IdeaSposa, Canepa, Passaro, Bc Boncar, e Prada.
Nel secondo cluster abbiamo le imprese “coinvolte”, che hanno utilizzato le proprie competenze per realizzare prodotti come gel e mascherine. Si tratta di imprese che hanno continuato questo tipo di produzione anche dopo il picco della crisi. Esempi sono rappresentati da Cifra, Ramazzotti, Licofarma, Kontessa, Angelo Carrillo, Dedem.
Nel terzo cluster abbiamo le imprese “interventiste”, quelle che sono intervenute nei propri stabilimenti produttivi avviando nuovi progetti in ricerca e sviluppo, sviluppando nuove competenze, comprando nuovi macchinari, ecc. Esempi di questi interventi li troviamo in impese come Waycap, Zucchetti, Isinnova, Aquaflex, Pellemoda.
L’ultimo cluster è rappresentato dalle imprese “evolutive”. Sono imprese che hanno aperto nuove linee produttive, hanno realizzato ingenti investimenti per aumentare la loro capacità produttiva, hanno addirittura dato lavoro a nuove persone, hanno avviato nuove linee di business attraverso la creazione di spin-off. Esempi di queste aziende sono Roncato, Miroglio, Toscano Alta Sartoria, Moda Impresa, Erbolario.
Lo spirito di comunità che ha caratterizzato queste imprese non dipende dall’appartenenza a specifici settori industriali, né a specifiche classi, dimensioni o territori. Ad oggi non è possibile prevedere se queste attività genereranno dei ritorni in termini di nuove opportunità di mercato, intensificazione dei rapporti con altri attori della filiera produttiva, rafforzamento dei valori aziendali, ecc. È però certo che queste imprese hanno fornito un importante contributo alla comunità, mettendo da parte i loro “tradizionali” obiettivi aziendali e agendo a beneficio di comunità in difficoltà. In alcuni casi, enfatizzando e rafforzando un’attenzione verso tutti i portatori di interesse, e non solo gli azionisti, che magari già le caratterizzava da tempo.
(*)
Giulio Ferrigno, socio SIMA e Post-Doc Research fellow of Management – Scuola Superiore Sant’Anna. ( giulio.ferrigno@santannapisa.it )
Valentina Cucino, socia SIMA e Researcher of Management – Scuola Superiore Sant’Anna. ( valentina.cucino@santannapisa.it )
Andrea Piccaluga, socio SIMA e Full Professor in Management – Scuola Superiore Sant’Anna. ( andrea.piccaluga@santannapisa.it )