Il concetto di circolarità si sta espandendo rapidamente non solo all'economia ma anche ad altri contesti. Uno di questi è il mondo del lavoro, caratterizzato tradizionalmente da un percorso lineare: prima ci si forma poi si lavora. Oggi il mercato del lavoro non garantisce più questo approccio e spesso richiede di ricominciare da capo con la formazione e la carriera.
Il tema della flessibilità è agganciato anche alle competenze, come se la circolarità fosse indissolubilmente legata a una continua ri-formazione. Un contesto nel quale le abilità personali (che i tecnici della materia chiamano soft skill) quasi diventano importanti come le competenze oggettive e acquisite. Valutando le attuali configurazioni del mercato del lavoro, non è difficile riscontrare che oggi sono le aziende una delle principali fonti di formazione per il capitale umano, un contesto dove si incontrano situazioni e incarichi che prevedono ri-formazione. Tuttavia, questi nuovi paradigmi si trovano a fare a pugni con alcuni fenomeni che hanno caratterizzato il mondo del lavoro negli ultimi anni.
Uno di questi è l'"Hope Labor", una forma di lavoro che si ripaga con la speranza che gli sforzi del lavoro gratuito, o quasi dell’oggi, possano essere adeguatamente ricompensati domani. La moneta di scambio di questo regime lavorativo è la visibilità. Questo delinea una relazione asimmetrica tra lavoro presente e guadagno che forse si realizzerà in un futuro non precisato, con costi e rischi a carico del lavoratore. E soprattutto un'esclusione dai meccanismi di ri-formazione garantiti dalle imprese, lasciano il lavoratore all'auto ri-formazione, non sempre adeguata alle richieste.
Un altro aspetto limitante la ri-formazione anche quando l'inserimento in azienda è presente, è il progressivo abbandono del paradigma per il quale le persone si identificano con ciò che fanno. Oggi non è più così e fenomeni come il Quiet Quitting lo dimostrano: interpretare il lavoro facendo solo il giusto ma nulla di più. Tutto questo non è altro che il risultato tangibile dei fenomeni economico-sociali che hanno progressivamente allontanato il lavoro dal reddito.
La conclusione è che al lavoratore è chiesto in generale una flessibilità non prevista da alcun contratto ma indispensabile in un mondo che cambia a velocità forsennata. Tuttavia la sfida per le imprese è ricostruire le condizioni affinché il capitale umano di domani possa disintossicarsi dalle scorie che diverse storture della globalizzazione e della trasformazione digitale hanno prodotto e continuano a produrre.