Gli studi manageriali e finanziari da tempo si sono concentrati sul delineare e approfondire il concetto di incertezza e del suo impatto sul business, sui comportamenti sociali e sul processo cognitivo individuale. In particolare, l’incertezza determinerebbe un’alterazione di come si percepisce il futuro in relazione alle condizioni presenti, alterazione dovuta al così detto status quo. Inoltre, la presenza di diversi condizionamenti cognitivi determinerebbe l’impossibilità di effettuare scelte massimizzanti.
In breve, più siamo radicati e ancorati alle nostre abitudini, più abbiamo investito in un progetto, più, dunque, siamo portati a credere che esso possa avere successo e non consideriamo la possibilità di fallire o di eventi che potrebbero determinare outcome negativi.
L’imprevedibilità e la globalità della pandemia Covid 19 ha generato una fortissima crisi, oltre che sanitaria, anche sociale ed economica, caratterizzata da incertezza estrema. L’incertezza si sostanzia nell’impossibilità di prevedere la durata, l’impatto sanitario e demografico, come la pandemia cambierà gli stili di vita, di consumo e il modo di fare business.
Dunque al conto del Covid 19, oltre al costo umano ed economico, si aggiunge un pesante costo psicologico in termini di incertezza che ha forti ripercussioni sui modelli sociali e imprenditoriali/manageriali.
La sfida, dunque, è ridurre tali costi e delineare dei percorsi possibili e condivisi.
Oggi, presi alla sprovvista dall’ondata pandemica del COVID 19, il modo di lavorare di imprenditori e manager, di vivere e di comunicare, ha subito notevoli ed indiscutibili trasformazioni: passando da una parziale “embrionale” digitalizzazione ad una “quasi coercitiva” totale immersione tecnologica. Vieppiù l’intensità crescente di questa trasformazione ha sconvolto la dinamica d’interazione e condivisione, non solo per il singolo individuo singolo, ma per tutto il sistema impresa. Da qui, l’assurgere a protagonista di riflessioni e speculazioni intellettuali che sembra richiamare prodromicamente l’immagine di un’impresa sistema “aperto” e “vivente”. Ma che, in realtà, si riplasma brillando alla luce della digital transformation, del machine learning, dell’Artificial Intelligence, riformulando dinamiche operative d’interazione dal sapore di novelty, ma nella sostanza tuttora un po’ vintage, nel modo in cui formatta il rapporto con internal ed external customers.
Similmente, va letto il contributo di Rey, Chinchilla e Pitta, “Objectives Are SMART, Missions Are WISE”, i quali, in un recente articolo, descrivono l’importanza della gestione manageriale non più basata su obiettivi specifici, misurabili, raggiungibili in un tempo stabilito e rilevanti ma sulla capacità dell’imprenditore di far accettare la propria missione, fondata su principi di saggezza, ispirazione, orientamento al servizio e controllo. Una gestione manageriale, dunque, guidata dalla missione imprenditoriale. Ma a questo punto potrebbe venire spontaneo chiedersi quale sia oggi il vero senso della missione imprenditoriale. Paul Collier, in un passo del recentissimo libro “Il futuro del capitalismo” (p. 43), scrive “…le obbligazioni reciproche sono decisive per il benessere, ma in che modo si formano? Qualsiasi trattazione al riguardo deve tener conto dell’evoluzione, includendo i desideri e i valori che costituiscono la base della reciprocità stessa. […] Ma per quale motivo aneliamo anche ad avere un senso di appartenenza e a ricevere stima? Perché attribuiamo valore alla lealtà, all’equità ed alla cura del prossimo? [..] L’evoluzione è stata un brutale processo di selezione con caratteristiche non vantaggiose; potrebbe quindi sembrare che un materialismo egoista sia tutto quello di cui abbiamo bisogno: non possiamo mangiare stima e appartenenza, e i valori ci soffocano. [..] Essendo privo del desiderio di appartenenza e di stima, l’uomo economico era troppo egoista perché gli fosse consentito di rimanere nel gruppo, e ne fu estromesso. La selezione naturale escluse l’uomo economico razionale favorendo invece la donna sociale razionale: siamo strutturati per desiderare appartenenza e stima, e non solo cibo”. Sembra emergere con chiarezza una responsabilità sociale e razionale, dunque, alla base dell’agire e della sensibilità di chi faccia impresa. Responsabilità verso la cura, l’appartenenza, l’altruismo sociale ed il rifiuto ostracizzante di un egoismo capitalistico travolto dalla selezione naturale. Una responsabilità sociale che fornisca un lasciapassare a chi voglia appartenere non solo a sé stesso, ma ad una più ampia comunità di riferimento.
Una rinnovata weltanschauung sociale mai come oggi messa in discussione dalle ricadute economiche degli eventi contingenti di crisi, che diventa portavoce di una missione sistemica di sostenibilità intimamente legata ai principi di “benessere” e di “sopravvivenza” sociale. Ma orientarsi unicamente al benessere ed alla sopravvivenza appare chiaramente riduttivo in quanto, entrambi, sono null’altro che bisogni. Eppure è stato Adam Smith, tra i primi, a ricordare come le persone siano spinte da motivazioni non solo riconducibili ai “bisogni” (il riferimento è chiaramente alla Ricchezza delle Nazioni), ma anche ai “doveri” (come appare nella Teoria dei sentimenti morali).
Pertanto, andando oltre la classica teoria organizzativa della divisione del lavoro industriale e quella neoclassica basata sull’orientamento agli obiettivi di un’impresa, nasce l’esigenza di percepire l’impresa su un fronte maggiormente umanistico, fatto di bisogni ma anche di doveri. Di ispirazione economica ma anche di socialità razionale. Un approccio umanistico che delinei rinnovate linee guida di sviluppo di best practice maggiormente adattabili al cambiamento dei mercati e delle impese.
Spinti dalla speranza che “andrà tutto bene”, ogni individuo ha, pertanto, la necessità di esprimere i propri desideri con determinazione e creatività al fine di raggiungere un obiettivo superiore di “sostenibilità imprenditoriale” che, equilibrando sapientemente bisogni ma anche doveri, spinga l’economia d’impresa nella direzione di performance relazionali maggiormente consapevoli e socialmente responsabili.
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(*) Veronica Scuotto (PhD, FHEA, MBA, BA-Honour)
Ricercatore (Rtd B) – Abilitato come Professore Associato in Economia e Gestione delle Imprese
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(**) Beatrice Orlando, Ph.D
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