Se qualcuno si sta chiedendo chi sia Beatrice Ramazzotti, significa che non frequenta Linkedin, almeno non nel mondo del retail e del largo consumo ma Beatrice è democratica e i suoi post non risparmiano nemmeno gli altri settori. Opinionista su Mark Up si è definita spesso “l’impiegata”, identificandosi in quella categoria di persone che in azienda non hanno grande voce in capitolo ma vedono tutto e qualche opinione la darebbero pure ma troppo spesso non sono interpellate. Ma andiamo a conoscerla insieme...
Chi è realmente Beatrice Ramazzotti?
Sono una donna di 47 anni, toscana, maremmana. Da generazioni vivo in provincia di Grosseto, sono fiera della mia provenienza! Mi occupo di comunicazione da tanti anni, dal 2000, quando ho iniziato a lavorare per Unicoop Tirreno. Attualmente svolgo il ruolo di ufficio stampa e responsabile della comunicazione interna, un ruolo cui tengo molto, perché comunicare con i miei colleghi mi dà spesso molta più soddisfazione che parlare con gli esterni. Ultimamente mi rendo sempre più conto dell’importanza di questa attività.
Chi sono gli esterni?
Sono i nostri contatti, quelli che vengono chiamati stakeholder, fondamentali per una realtà come la nostra che è una cooperativa ma altrettanto importante è non lasciare mai indietro i colleghi. I colleghi sono sia le persone che lavorano in ufficio sia e soprattutto i colleghi che lavorano nei punti di vendita, alle casse, ai banchi, gli addetti alle vendite, perché rappresentano la vera connessione tra l’azienda e il pubblico, i clienti soci che ogni giorno ci scelgono.
Come sono nate le tue rubriche su Linkedin?
È iniziata per caso, perché io avevo un profilo Linkedin, ma era un profilo dormiente che nessuno considerava. Poi quattro anni fa, mentre ero in ferie, continuavo a guardare le notizie, un po’ per deformazione professionale, e vidi l’inaugurazione di Festa Ambiente, questo Festival di Legambiente fatto ogni anno in Maremma, bellissimo e mi colpì la foto di questo taglio del nastro, un nastro lunghissimo dove gli uomini al centro tagliavano e c’erano queste due signore a reggere i due capi, quasi colte di sorpresa perché avevano la borsa sotto il braccio e una faccia un po’ tirata, un sorriso, come se qualcuno avesse detto loro “venite, tenete il nastro”. Questa foto mi colpì e la misi quella sera su Linkedin e il giorno dopo aveva avuto migliaia di visualizzazioni. Rapidamente ho capito che era una foto che non avevo mai guardato bene, la vedevamo tutti, ma non la guardavamo e quello che non vedevamo era proprio questo stereotipo, questo continuo far reggere il nastro alle donne, che fossero hostess, promoter oppure dipendenti ...infermiere. Anche nelle inaugurazioni dei negozi mettiamo sempre due ragazze... Pubblicare queste foto ha scatenato una rincorsa positiva, perché io ricevo di media una o due segnalazioni al giorno, mi arrivano in privato e nella maggior parte dei casi da uomini: ci sono tanti nostri colleghi che non sopportano più questi teatrini e quindi chiedono che intervenga, scriva qualcosa.
Il nome Nastriadi invece gliel’ha dato un professionista dell’informazione, Fabrizio Brancoli, mi piace citarlo, adesso è direttore del Piccolo di Trieste, è lui che le ha battezzati così e poi il nome e ha attecchito. Gli altri tormentoni sono venuti di conseguenza, i “Convegnomini”, convegni di soli uomini e “Donne a bordo”, foto di barche dove gli uomini sono sempre alla guida e la donna viene sempre fotografata in costume, distesa, a poppa o a prua, in un contesto di abbellimento, non è mai vestita, mentre l’uomo che porta la barca ha sempre la T-Shirt e i pantaloncini.
Sono tutti dei tasselli che vedo scorrere ogni giorno su quello che è il mio principale strumento di lavoro, ossia il computer e soprattutto sui giornali. Nel tempo, sono diventati dei tormentoni che però mi hanno dato la soddisfazione di aver toccato un punto cui nessuno faceva caso e che adesso invece è diventato di dominio pubblico, tanto che alcuni l’hanno inserito nel loro protocollo aziendale: “Come fare un taglio del nastro senza finire nelle Nastriadi”, insomma è diventato tipo il Tapiro d’oro del business. Io cerco sempre di usare l’ironia e di sdrammatizzare, portando avanti una battaglia verso la parità, facendo riflettere, soprattutto il pubblico maschile. E questo lo vedo perché sono loro, le mie talpe, gli uomini. L’ultima segnalazione mi è arrivata da un’università e il commento era: “Dopo il magnifico rettore, le magnifiche ‘rettrici’” perché neanche all’università sono stati in grado di mettere un uomo a reggere il nastro.
Qual è la regola?
Non c’è una regola, diciamo che la regola sarebbe quella di rappresentare la società nella sua interezza e non tutta al maschile. L’errore non è nel taglio del nastro nell’azienda o nell’ente pubblico o in quello che si inaugura ma nel sistema per cui la donna è una cornice, un bell’esemplare, è l’ancella, colei che regge il nastro, a volte anche le forbici, il cuscino, insomma qual che c’è.
Occuparsi di comunicazione interna cosa significa?
La comunicazione interna serve per far sì che ogni dipendente venga informato delle attività aziendali, senza differenze di livello e di inquadramento. È importante che tutti sappiano tutto, perché la principale regola della comunicazione è che se io non ti dico una cosa, qualcun altro te la dirà e spesso succede che le informazioni arrivino per vie traverse, per passaparola sbagliati e quindi si ricevono spesso delle informazioni errate. Il problema spesso è l’azienda che non comunica, se invece l’azienda parlasse con tutti? Indistintamente, in modo chiaro, democratico. Poi può succedere che i colleghi non leggano la Intranet, non prendano le informazioni ma è un problema della persona. Però l’azienda l’informazione la deve dare, deve usare tutti i mezzi a disposizione e oggi ce ne sono tanti. Quando ho iniziato a lavorare, c’era il fax, facevamo una rassegna stampa che, dopo pranzo, veniva data solo al Presidente e a pochi eletti. Adesso la rassegna stampa viene messa sulla intranet e può essere letta da tutti i miei colleghi, anche su smartphone, privato, personale, in qualsiasi momento del giorno. Noi cerchiamo di pubblicare notizie di ogni genere, sia ufficiali, istituzionali ma anche quelle ludiche, le foto che vengono dai negozi, le inaugurazioni, i tagli del nastro; anche le attività sui territori, che sono le più lette, perché ovviamente i colleghi vogliono vedere gli altri colleghi. Nasce così una sana competizione, quando si fotografano i banchi, gli allestimenti di Natale, diventa uno stimolo a fare ancora meglio. E poi c’è il linguaggio, che deve essere comprensibile e chiaro, che non significa essere superficiali o leggeri, ma neanche quel misto italiano inglese che siamo soliti usare nelle presentazioni e poi, una volta usciti dall’ufficio, non viene compreso da nessuno.
Qual è il tuo prossimo bersaglio?
La figura dell’illuminato, uso il maschile volutamente, perché la maggioranza, lo sappiamo, sono uomini. Su Linkedin, sui palchi dei convegni sono aperti, innovativi, inclusivi, però, quando tornano in ufficio, quando tornano nella loro azienda, sono davvero in quel modo o creano un personaggio? Perché non mi sembra che nelle aziende ci sia quell’evoluzione. E quella modernità di cui invece sento tanto parlare.
Per finire una raccomandazione...
In questo momento vorrei che ci fosse più realismo e anche più coraggio anche quello di dire “ho sbagliato”, di dire “noi siamo un po’ indietro su certi fronti” e ritorno sull’aspetto delle relazioni umane e del personale, perché il nodo è quello. Adesso tutti parlano del caporalato, però poi magari si ignora che nella nostra azienda ci sono persone che subiscono il mobbing e non dicono nulla. Certo, c’è una bella differenza tra i braccianti a quattro euro l’ora e un impiegato che subisce mobbing in ufficio, però siccome tutto poi va riparametrato e proporzionato, anche quello fa un danno. Allora che si fa? Concentrarsi sulla conoscenza delle persone che lavorano per noi e aiutarle nei momenti di défaillance, credo che in questo momento sia una delle cose principali su cui puntare. Credo anche che, vista la difficoltà che ormai ha tutto il retail, e non solo la gdo, nel trovare personale, sia il momento di farsi delle domande.
I miei post, le “nastriadi” o i “convegnomini” sono fatti sul filo del sorriso. Perché con il sorriso si fanno più battaglie che arrabbiandosi