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Considerando il mondo della comunicazione nel suo insieme (valori dei mercati media e intrattenimento), l'Italia rappresenta circa un decimo del comparto in Europa (10,3% a valore). L'attuale fase di contrazione dovrebbe durare nei prossimi mesi, portando il sistema a una perdita di qualche decimo fino alla soglia del 10% di quota europea, per poi eventualmente riprendere vigore verso la fine del prossimo triennio. Previsioni, ovviamente, da prendere con la massima cautela. All'interno di questo scenario macro, l'Italia continua a presentare una rappresentanza superiore alla media nel segmento dei consumer magazine - dove ancora a fine 2011 la quota a livello europeo era del 15%, ma anche nel settore televisivo (12,8%) e, fortunatamente, anche negli investimenti su Internet (11,5%). Viaggia invece su dimensioni decisamente più contenute rispetto ad altre realtà continentali nei segmenti radio, quotidiani, musica, pubblicità esterna, video game e comunicazione d'impresa.
Le stime di PwC
Il monitor che PriceWaterhouseCoopers dedica all'industria specifica calcola che nel 2011 e nel primo semestre del 2012 - quando sono state effettuate le stime di chiusura di fine anno (da rivedere ora al ribasso, per quanto emerso a partire da agosto in poi) - si sia superata quota 50 miliardi di euro. Probabile, dunque, la riconferma a fine anno dei 51,3 miliardi raggiunti nel 2011, mentre andrà verificato sul campo il previsto incremento dello 0,8% ipotizzato ancora a giugno 2012, che darebbe una dimensione complessiva di 51,7 miliardi di euro. Questo nonostante l'accentuato trend di contrazione che caratterizza il comparto pubblicitario. Rispetto al 2007 il contributo dell'advertising è andato scemando con una progressione che ha visto una sola tregua tre anni fa. Difficile pensare di contenere anche nel 2012 il calo sotto il 6%, con una chiusura stimata a soli 8,3 miliardi di euro.
PwC ritiene che nel 2016 il settore potrà superare la soglia dei 60 miliardi, ma afferma anche che il mercato avrà caratteristiche profondamente differenti da quelle note. Il cambiamento è dettato primariamente dall'impulso che deriva dall'end-user spending (spesa dell'utenza finale per prodotti e servizi generati dall'entertainment & media), risultante di una marcata migrazione verso teconologie digitali e dal progressivo trasferimento degli investimenti dal publishing ad altri segmenti.
La sfida odierna
In questo senso la sfida cui sono sottoposte tutte le imprese, da quelle utilizzatrici a quelle di vocazione, è quella collegata alla ormai continua e velocissima evoluzione dei settori di riferimento, per lo più guidata dal rinnovo tecnologico costante. “Ciò costringe le aziende a definire nuove strategie e sviluppare nuovi modelli di business - spiega Andrea Samaja, responsabile Entertainment e Media di PwC Italia - ma soprattutto ne richiede la loro continua ri-valutazione e adattamento”.
Il punto chiave è qui. È terminato un trentennio di stabilità, sostituito non da un naturale passaggio di tipo evolutivo a una fase nuova. L'ultimo quinquennio ha confermato che non ci sarà affatto un consolidamento di un nuovo modello di stabilità cui abituarsi e con il quale confrontare la propria nuova capacità competitiva. La frammentazione e polverizzazione in un continuum in movimento è destinata a perdurare. Quella che Kotler ha chiamato - anche sulle pagine di questo giornale - l'epoca della turbolenza costringe le imprese del mondo multimediale a una specializzazione inedita: quella di saper cogliere e sfruttare al massimo i singoli momenti. Il che presuppone l'apertura di strutture di attenzione e analisi costanti incuranti della velocità di reazione alla quale devono sottostare. “In un flusso di cambiamenti costanti diventa fondamentale dotarsi di strutture che sappiano monitorare l'evoluzione tecnologica e che siano in grado di prevederne le mosse”. Diventa questo il modo più sicuro per influenzare e creare singole opportunità di crescita.
Il rischio evidente è quello di non riuscire a trasformarsi. La marginalità è destinata a svanire soprattutto per chi decide di restare chiuso nel fortino. Eppure non è questo l'unico rischio che si intravede: si prospetta un futuro da tassisti, nel quale ogni strada intrapresa potrà essere verificata solo a corsa finita e senza alcuna garanzia di successo. “Un ritorno al passato semplicemente non ci sarà - afferma Samaja - però, ritengo che nelle singole strategie possano esserci delle ottimizzazioni sull'antico”.
Non solo crisi
Per quali imprese si apre il futuro? “Aziende fortemente flessibili e correttamente gestite. Vincoli e rigidità non sono più sostenibili in questo tipo di mercato e il gigantismo stesso in realtà ha poco spazio”. Nel mercato troveranno posto nuovi attori e imprese trasformate. “Saranno caratterizzate da capacità visionaria (necessaria in termini previsionali) e soprattutto da abilitazione e implementazione veloce”. Le imprese italiane chiamate a trasformarsi hanno dalla loro - chi più chi meno - un'indice di produttività non eccellente. Si tratta di un serbatoio di potenzialità da far emergere ora, sapendo sfruttare e reinvestire le risorse interne.
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