I consumatori leggono di più le etichette e cercano informazioni sul prodotto, in particolare per quanto riguarda i dati nutrizionali, la provenienza delle materie prime e la sostenibilità. Il Made in Italy è ormai un fattore competitivo di primo piano soprattutto se è associato a un certificato di alta qualità come igp o dop o se fa parte di una filiera controllata. Secondo GS1, oggi un prodotto su quattro venduto in gdo dichiara esplicitamente in etichetta la sua italianità. Negli ultimi anni è diventata sempre più importante la presenza dei claim ovvero le informazioni che compaiono sull’etichetta per descrivere i prodotti.
Chi non ce l’ha cresce meno dei suoi concorrenti o addirittura registra un trend negativo. Gli italiani sono sempre più consapevoli delle loro intolleranze e allergie, per questo acquistano di più prodotti free from (liberi da) come senza glutine o senza lattosio. Contestualmente crescono i consumi “sofisticati” e costosi che esprimono un valore aggiunto. Per esempio, i prodotti rich, “ricchi di” che in etichetta segnalano l’apporto di iodio, vitamine o magnesio. In questo caso i claim più diffusi sono “fibre e integrali”. “L’Italia”, afferma Marco Cuppini, research and communication director di GS1 Italy, “ha una tradizione agroalimentare straordinaria e per gli italiani il cibo è da sempre un tema fondamentale, che nell’ultimo anno ha visto una trasformazione importante a causa del lockdown. I consumi domestici sono aumentati ed è cresciuta anche l’attenzione alla qualità e alla composizione degli alimenti nella speranza che nel cibo ci fosse una protezione ulteriore all’epidemia o almeno per essere più forti e resistenti”.
“In 12 mesi”, spiega Alessandro Perego, full professor of logistics and supply chain management del Politecnico di Milano, “l’ecommerce è cresciuto come sarebbe cresciuto normalmente in tre anni. In particolare, è aumentato l’acquisto di prodotti alimentari anche se nel totale del commercio elettronico rappresentano ancora un peso piuttosto basso. Quindi un fenomeno evidente, ma ancora all’inizio. Dietro gli alimentari, c’è una filiera complessa e articolata che deve essere ridisegnata proprio per utilizzare il nuovo canale digitale. Ė quindi già complesso e costoso preparare la spesa per il consumatore finale: tanti prodotti con caratteristiche diverse e anche con necessità logistiche differenti, alcuni sono fragili, altri sono freschi. A tutto questo si deve aggiungere la trasformazione digitale. Dal punto di vista dei consumatori il commercio elettronico è letteralmente esploso, ma c’è ancora un legame molto forte con i canali tradizionali che garantiscono esperienze di acquisto finora precluse all’online”.
“Durante il lockdown”, dichiara Marco Cuppini di GS1 Italy, “abbiamo avuto una spesa fortemente condizionata da lunghe code e da poco tempo a disposizione, soprattutto per motivi di sicurezza. Una situazione che rischiava di mettere in crisi il modello dell’esperienza d’acquisto più consapevole. Ma il consumatore, con le analisi di mercato, ci ha confermato che le informazioni di prodotto sono importanti perché consentono di fare scelte di acquisto consapevoli. L’approccio del consuamtore può essere sintetizzato con una frase: ‘Non diteci cosa dobbiamo maggiore, ma diteci cosa mangiamo’, in questo modo è possibile scegliere e per scegliere bisogna essere informati. Molte delle informazioni sono cercate nel punto vendita e l’industria e la distribuzione hanno capito che l’etichetta è un vero media per raccontare il prodotto e per parlare al consumatore”.
“All’inizio della pandemia”, dice Marco Bianchi food mentor e divulgatore scientifico, “c’è stata una spesa compulsiva, si metteva di tutto nel carrello favorendo un po’ troppo i grassi saturi, il sale e gli zuccheri finché ci siamo accorti che il pack parla e contribuisce ad aumentare la consapevolezza. Con il passare del tempo, la spesa è diventata più attenta, più riflessiva e meno di impulso, e questo ha indirizzato la scelta verso prodotti ‘funzionali’, arricchiti di omega 3, zinco, Vitamina D, di fibre e così via. Rispetto al lockdown dell’anno scorso è stato fatto un passo qualitativo. La mia community sceglie sempre più in base a ciò che contiene un prodotto: siamo più attenti a quello che c’è dento a un prodotto rispetto al prodotto stesso”.
Quindi è sempre più vero che un prodotto può (e deve) essere giudicato dall’etichetta. Al supermercato la forma diventa sostanza e di fronte ad un’ampia scelta i consumatori guardano con attenzione le informazioni di prodotto prima dell’acquisto. Il problema più importante è il tempo siamo costretti a scegliere in pochi minuti. Secondo l’Osservatorio Immagino di GS1 lo fa almeno il 56% dei consumatori, fidandosi dell’etichetta. E uno su quattro cambia idea leggendo proprio l’etichetta. Ecco perché per le aziende è diventato importante spiegare in maniera dettagliata i loro prodotti: un modo per distinguersi dalla concorrenza. Solo il 19% dei prodotti ha un solo claim in etichetta, il 2% ne ha fino a sette contemporaneamente. Sull’etichetta i consumatori cercano soprattutto la data di scadenza e l’elenco degli ingredienti. Poi le modalità di conservazione e la sede dello stabilimento. Per gli alimentari fanno attenzione anche alle proprietà nutrizionali e come il prodotto è stato realizzato. Sempre più spesso sulle confezioni è presente un QR Code che fornisce informazioni aggiuntive.
“La tecnologia”, sottolinea Marco Bianchi, “fa ormai parte del background quotidiano e del resto siamo sempre più digitali. I siti e i profili social delle aziende aiutano tantissimo. Il pubblico vuole sapere perché un prodotto fa bene. All’inizio della pandemia c’è stato il boom delle app che spiegano come fare la spesa. Successivamente, il pubblico ha iniziato a ragionare di più sulla provenienza di un prodotto, sul Made in Italy. Le aziende hanno cominciato a tranquillizzare i consumatori con claim rassicuranti. La spesa sta diventando sempre più intelligente e anche più sana. E tutto questo grazie ai social”. “C’è una parte di packaging che possiamo definire tacito”, spiega Alessandro Perego del Politecnico di Milano, “che lavora per noi e contribuisce alla conservazione del prodotto assorbendo l’ossigeno o l’umidità oppure rilasciando sostanze come gli antimicrobici. C’è poi un packaging ‘parlante’ che ha lo scopo di trasferire informazioni al consumatore e, in alcuni casi, è perfino in grado di bloccare la vendita di quei prodotti che siano ormai invendibili. Possiamo immaginare le potenzialità di un carrello intelligente capace di dialogare con il packaging digitale.
Potenzialità applicabili anche a casa come un packaging capace di parlare con il frigorifero per conoscere la data di scadenza, per creare una lista della spesa in modo automatico oppure per effettuare direttamente un ordine on line”. E Marco Cuppini di GS1: “Il caro vecchio codice a barre continua a fare il suo lavoro, però ha già figli e nipoti. Per esempio, il DataBar che all’interno riporta la data di scadenza. In via sperimentale è stato applicato su alcuni prodotti freschi ed è stato collegato a uno sconto legato alla data di scadenza: più vicina era la scadenza, maggiore era lo sconto. Tutto questo in automatico con il vantaggio che una volta scaduto, il prodotto non si poteva più passare alle casse e quindi non poteva essere venduto neppure per sbaglio. Il consumatore ha recepito positivamente questa opportunità e c’è stata la corsa al prodotto con la scadenza ravvicinata. Il Digital Link è una sorta di QR Code evoluto con un Url che rimanda su un sito dove l’azienda produttrice può raccontare quello che vuole: tramettere uno spot pubblicitario, dare i consigli su come usare il prodotto o indicare l’origine delle materie prime e così via”.
Grande attenzione è riposta nella sostenibilità del packaging: riciclato, riciclabile, biodegradabile sono i termini più ricercati quando si analizza un’etichetta e aumentano le chance di acquisto. Da alcuni anni, i prodotti “senza antibiotici” registrano un costante aumento delle vendite. Per Marco Bianchi la prima cosa per essere sostenibili: “Ė variare la dieta. Nel tempo abbiamo diminuito il consumo di carni rosse e siamo ritornanti alla dieta mediterranea. Abbiamo ridotto il consumo di sale e ridotto leggermente il consumo di bibite gassate e zuccherate. Il primo consiglio è fare una dieta varia, apportando proteine vegetali italiane. Integrale corrisponde sempre più a integrità e quindi a una maggiore capacità nutriente. Inoltre, sia molto attenti al pack, sempre di più scegliamo quello di carta, cartone, plastica riciclata o riciclabile. Cresce l’attenzione ai surgelati perché abbiamo capito che la surgelazione è sinonimo di conservazione e ci permette delle buone scelte su alcuni tipi di vegetali. E sempre più spesso andiamo a fare la spesa in bicicletta”.
“Ė fondamentale”, afferma Alessandro Perego, “misurare la vera impronta ecologica di una filiera o di un ciclo produttivo: dall’inizio fino alla fine. Al Politecnico di Milano stiamo facendo delle ricerche per misurare l’impatto ecologico dell’ecommerce rispetto ai canali tradizionali. Molto interessante è il tema dei prezzi dinamici, come abbiamo accennato prima, come aumentare lo sconto all’avvicinarsi della data di scadenza. C’è poi il tema delle eccedenze alimentari che possono diventare spreco. L’eccedenza è in parte fisiologica ed è generata nei diversi stadi della filiera, si può quindi ridurla con un sistema più efficiente. Ma, una volta generate le eccedenze non devono trasformarsi in spreco cercando di riportarle nel ciclo dell’alimentazione umana e se non è possibile inserirle nell’alimentazione animale o destinarle alla creazione di energia. Le tecnologie possono davvero aiutare tantissimo perché interconnettono gli attori, pensiamo ad esempio ai punti vendita dove si generano le eccedenze e alle realtà caritative che possono in tempi brevi raccoglierle e ridistribuirle alla loro rete solidale”.