L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha decretato l’emergenza Coronavirus pandemia; ma non solo dal punto di vista sanitario. Per la prima volta nella storia, infatti, lo stato di pandemia è parallelo a quello di infodemia, ovvero, secondo la definizione dell’OMS, “una sovrabbondanza di informazioni, alcune accurate e altre no, che rendono difficile per le persone trovare fonti affidabili quando ne hanno bisogno”. La circolazione troppo elevata di informazioni, che rende difficile la verifica della qualità delle fonti, ha generato anche un vero e proprio “virus delle notizie” che ha determinato (e sta ancora determinando) situazioni di grande criticità. Per rendersi conto della portata infodemica dell’attuale congiuntura, basti pensare che, da fine gennaio 2020, quando si è iniziata a percepire la reale pericolosità del virus, le sole digitazioni del termine “Coronavirus” su Google sono aumentate esponenzialmente e, ad oggi, i risultati disponibili hanno di gran lunga superato il miliardo, senza contare la grande quantità d’informazioni circolanti nell’offline, fornendo un pericoloso upgrade al fenomeno fake news.
Nell'attuale contesto emergenziale, il peso delle parole, che già in situazioni di normalità conta prepotentemente nel determinare gli scenari futuri, acquista una risonanza tale – amplificata, poi, all'ennesima potenza dal sistema interconnesso di piattaforme tipico dell’era digitale – da suscitare reazioni e portare a situazioni di grandissimo impatto. A maggior ragione, quindi, se gli autori dei messaggi in questione appartengono ad istituzioni a cui è riconosciuto un ruolo di guida. A questa fattispecie si iscrive quanto avvenuto nella giornata del 12 marzo 2020, quando, in seguito alle parole dell’attuale presidente della BCE, la francese Christine Lagarde ("Noi non siamo qui per accorciare gli spread. Non è questa la funzione né la missione della BCE. Ci sono altri strumenti e altri attori deputati a queste materie"), è trascorsa una delle giornate più nefaste per il sistema-paese Italia, innescando una lunga successione di sospensioni per eccesso di ribasso dei listini europei (FTSE MIB -16,92%) e il rialzo dello spread (+262 punti base). Con la sua frase “non voglio essere la Whatever it takes numero due”, un chiaro riferimento all’operato del suo predecessore Mario Draghi, la Lagarde ha confinato i risultati delle Borse in territorio decisamente negativo, ma soprattutto ha deluso le attese per un intervento massiccio dell’Eurotower, in ottica di solidarietà a sostegno di uno degli Stati fondatori dell’UE così duramente colpito dall'emergenza sanitaria ed impegnato in giornate di immane sforzo per contenere il contagio e far sì che non si abbatta così violentemente negli altri paesi dell’Unione.
Questo grossolano errore di comunicazione ai vertici della BCE non ha potuto lasciare indifferente il Presidente Sergio Mattarella, che, con una nota, ha espresso la necessità che l’Europa sia solidale e non ostacoli l’Italia, dato che tale esperienza di contrasto alla diffusione del virus sarà utile a tutti i paesi UE in futuro.
Sottolineando che la BCE “non consentirà che lo choc derivante dal Covid-19 possa provocare una frammentazione del sistema dell’area euro”, da Francoforte si è cercato di correre ai ripari. Infatti, per cercare di mettere una pezza a questo danno reputazionale per l’Europa, è intervenuto il capo economista della BCE, l’irlandese Philip Lane, stemperando la tensione sui mercati con l’impegno "a utilizzare la piena flessibilità integrata" nel programma di acquisto di titoli di Stato e non escludendo un taglio dei tassi di interesse nel caso in cui la situazione precipiti, intaccando il target di inflazione di medio termine.
Sempre nell'ottica di riparare alla gaffe della Lagarde, si aggiunge il “Whatever is necessary” della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che nella conferenza stampa di venerdì 13 marzo 2020, ha annunciato lo stanziamento di 37 miliardi di euro, nell'ambito della politica di coesione, per la lotta contro la crisi del Coronavirus, rinunciando quest'anno all'obbligo di chiedere la restituzione dei prefinanziamenti per i fondi strutturali.
In seno al Parlamento europeo, la commissione sviluppo regionale è pronta a trovare il modo più efficiente possibile per consentire l'adozione e la rapida attuazione della “Corona Response Investment Initiative”, ovvero una misura mirata al sostegno dei sistemi sanitari, alle PMI, ai mercati del lavoro e ad altre parti vulnerabili delle economie degli Stati membri dell'UE, colpiti dall'emergenza sanitaria.
Questi provvedimenti saranno quanto più strategici che mai, per determinare la sopravvivenza dell’Italia, ma non solo. Di fatti, oggigiorno l’economia è talmente interconnessa, che è, quindi, evidente che un eventuale default dei conti italiani avrà molteplici ripercussioni anche oltreconfine. Da uno studio del 2019, redatto in collaborazione dalla Banca mondiale e dall’OMS, era emerso che, in termini generali, l’impatto economico di una pandemia, si tradurrebbe in più di un transitorio shock, intaccando il Pil globale tra il 2,2 e il 4,8% (“The World Bank estimates that a global influenza pandemic akin to the scale and virulence of the one in 1918 would cost the modern economy US$ 3 trillion, or up to 4.8% of gross domestic product (GDP); the cost would be 2.2% of GDP for even a moderately virulent influenza pandemic”).
Oggi queste stime sono ancora alla prova dei fatti, perché ancora non si sa di quale entità sarà il contagio, quando finiranno le misure restrittive sulla mobilità delle persone, quale sarà il tasso di mortalità e quanto prolungata sarà l’interruzione dell’attività produttiva. Bisogna, inoltre, sottolineare che questa interconnessione non è solo europea ma mondiale, e i canali di “contagio economico” si estendono lungo tutta la lunghezza della supply chain, con la relativa dipendenza da importazioni ed esportazioni. La Cina, ad esempio, produce molti beni nei quali sono presenti parti importate dall'estero da molti dei paesi che oggi si ritrovano a dover sospendere il lavoro nelle fabbriche, perché a loro volta in emergenza sanitaria, e viceversa. Quindi, l’effettiva recovery di tutti i processi è molto condizionata dall'evolversi dell’emergenza sanitaria a livello globale.
Nel frattempo, si può cercare di prendere spunto dalle buone pratiche che stanno emergendo nei paesi già colpiti dal Coronavirus, nell’ottica di velocizzare i tempi di ripresa, per quanto possibile. Oltre a quelle più tecnicamente mediche, ovviamente di maggior importanza, anche alcuni strumenti dell’ITC si stanno rivelando particolarmente interessanti. In Cina, Vietman, e Corea del Sud, le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, infatti, si stanno rivelando di grande aiuto per raccogliere e sistematizzare informazioni utili per far fronte alla pandemia. L’app cinese Alipay Health Code calcola, grazie al sistema di geolocalizzazione, il rischio che l’utente rappresenta per la società in una scala di tre colori: rosso (quarantena), giallo (mobilità ridotta), verde (nessuna restrizione). Gli applicativi sudcoreani forniscono invece una “mappa” dei contagiati o dei luoghi dove è stato registrato il virus attorno all’utente. Un’app vietnamita permette al contagiato di registrare giorno dopo giorno il proprio stato di salute e di indicare casi sospetti nel proprio quartiere.
L’intelligenza artificiale si sta dimostrando, in Cina, uno strumento funzionale alla guerra contro il Coronavirus: dai robot intelligenti per le prime diagnosi a distanza, evitando di intasare pronto soccorsi e ospedali, ai software che prevedono i numeri del contagio con un grado di accuratezza del 90%, fino ai controlli sul rispetto della quarantena, fatti anche grazie al riconoscimento facciale.
L’utilizzo di questi mezzi apre a scenari non trascurabili di cybersecurity e privacy, che vanno sicuramente esplorati e presi in considerazione in un’analisi costi-benefici generale di questa lotta al virus, in cui però la componente solidaristica dovrebbe venire al primo posto.