Il cavalier Pomarico è uno dei “padri fondatori” della distribuzione moderna, un uomo con la mente costantemente rivolta al futuro e un forte senso di responsabilità verso il presente. “Amo più parlare del futuro che del passato -dice-, perché il futuro ti spinge ad adeguarti, non ti aspetta; il passato lo puoi raccontare come vuoi, ma il futuro non lo racconti: lo vivi, lo cavalchi, lo precorri, lo anticipi. La vera aggregazione di valori la trovi quando sai interpretare il futuro”. Un uomo saggio, il Cavaliere, lo incontriamo a Trani (Ba) insieme al figlio Francesco, suo braccio destro, nella sede della loro Megamark (Selex). Iniziamo con la domanda di rito ...
Come avete cominciato?
Sono figlio d’arte: papà faceva questo mestiere in un negozio poco sotto i 200 mq ad Andria, a pochi km da Trani. Era più che altro un bazar: vendeva di tutto, ma mi andava stretto. L’ho capito quasi subito, tant’è che, a quei tempi, erano gli anni 70, l’ho ristrutturato tre volte, ma di più non si poteva ed era difficile trovare altri spazi. Andria era, ed è, una città difficile per chi vuole spazi grandi per il commercio, ma questa difficoltà ha fatto emergere il fiuto che mi ha accompagnato fino ad oggi. Cominciai a visitare le città limitrofe, finché, una sera, molto tardi, un amico mi portò a vedere un immobile, a Barletta. Lo vidi attraverso le grate della serranda: non c’era corrente elettrica, ma capii che era l’occasione giusta. Testardo come ero (e come sono ancora), tanto dissi tanto feci che, all’una e mezza di notte, firmammo l’accordo. Così nacque il primo supermercato di 800 mq. Da lì partii a razzo: nacque una squadra di collaboratori fantastici, ancora oggi attivi, a parte due o tre andati in pensione. Ed è stato l’inizio dell’avventura: una startup fantastica che ci ha riempito sempre di propellente per continuare a investire. Poi è venuto il secondo negozio, il terzo. Ci fu anche un momento di riflessione: il troppo successo delle prime aperture portò con sé difficoltà nella gestione della vita privata. In quegli anni capii che la chiave non stava nel continuare ad aprire punti di vendita, ma nel realizzare una rete di negozi sostenuti da un centro di distribuzione; oggi è un concetto antico, ma nel 79 quando aprii il nostro, non lo era affatto, soprattutto al Sud, in Puglia. In più c’era anche il problema di reperire superfici.
Parla di una difficoltà specifica?
Bisogna risalire alla legge 426, 11 giugno 1971, che limitava le grandi superfici, la famosa Tabella VIII. Confcommercio allora difendeva a spada tratta il ritorno degli immigrati che nel frattempo stavano rientrando in Italia. Da un punto di vista umano era una cosa giusta: si decretava la volontà delle pubbliche amministrazioni a frenare o impedire l’apertura delle grandi superfici, per aiutare il ritorno di chi era andato a lavorare in Belgio, Francia, Germania. Lo sviluppo di queste piccole imprese era lo sfogo naturale per gli emigrati di ritorno: chi apriva il bar, chi la salumeria, chi la macelleria o il fruttivendolo. Si assisteva a un continuo proliferare di piccole attività. All’epoca, invece, io venivo visto come l’espressione della grande distribuzione, anche se di grande non avevo nulla, per cui spesso ho dovuto penare, tanto, per avere le autorizzazioni. Poi nacque la distribuzione organizzata, l’entrata nella centrale Un.Vo. (Unione Volontaria), il mio trampolino di lancio. Così arrivammo nel 1996 e a Selex.
Nel 1996 quanti negozi aveva?
Non tantissimi, penso una quarantina. Lo sviluppo è stato possibile aggregando persone, imprenditori che mi davano la possibilità di aumentare i volumi, perché il nostro è un business di volumi. Questo ha portato sempre più alla necessità di impostare un’unica politica commerciale: prezzo unico per tutti, volantino unico. Aggregato, negoziante, affiliato o somministrato, la parola d’ordine era prezzo uguale per tutti, onestà assoluta, pianificazione di tutti gli interventi a parità di condizioni senza nessuna
discriminante. In aggiunta, in quegli anni, fu deciso di fare guadagnare l’affiliato: se
l’affiliato guadagna, diventa regolare nei pagamenti, nei flussi e anche nella fedeltà.
Potremmo definirla un aggregatore ...
Un aggregatore di persone: ottima definizione, precisa e ancora oggi valida perché continuiamo ad aggregare. Siamo anche in Campania: partiti con l’acquisizione di Mida 3 e alcune affiliazioni, grazie alla collaborazione con la AP Commerciale sul format Edlp a marchio Sole 365 abbiamo visto allargarsi in maniera sostanziale la nostra presenza.
Io la chiamo la galassia di Megamark: una galassia di persone di valore. Questo alla fine è quello che determina il successo di una azienda di distribuzione.
Il Sud versa in grandi difficoltà e non da ora, come risollevarlo?
Credo che la chiave passi attraverso la ripresa dei consumi. Noi come Italia abbiamo perso smalto, sicurezza, serenità. Bisognerebbe ricostruire un clima sereno dando lavoro alla gente; il reddito di cittadinanza ha una debolezza di fondo: trasferisce risorse, che sono limitate, togliendole alla parte che può dare lavoro, cioè le imprese, gli imprenditori, le buone idee, le buone pratiche, i valori. Tutti elementi che devono scendere in campo per risolvere le problematiche di un Sud che da sempre annaspa, arranca, ed è relegato nel fondo delle varie classifiche.
Una situazione che nel tempo è anche peggiorata, perché è sempre stata data assistenza a pioggia.
Ma questa genera l’illusione di fregare il prossimo ... e noi siamo imbattibili sulla furbizia.
Dovrebbe essere ricomposto un modello sociale, al centro del quale devono stare i valori, gli imprenditori. E sì, ci vorrebbero dei corsi di formazione per gli imprenditori, perché come diceva ai suoi tempi il buon Quintino Sella: ci vogliono imprenditori poveri e aziende ricche. Al Sud abbiamo sempre sbagliato i calcoli, quando abbiamo un po’ di soldi nel cassetto abbiamo comprato la barca, la villa: non va bene; devi essere al servizio di questo meraviglioso mestiere, devi essere datore di lavoro in tutti i sensi, un propositore, un creatore di stimoli e di buon esempio. Io guardo il mare, ma non la mia barca nel mare, perché non ce l’ho.
Imprenditori poveri e aziende ricche
Ecco #ilsegretodelsuccesso di Megamark raccontato da Giovanni Pomarico. Una riflessione sul valore dell'essere imprenditori in un Sud che deve ritrovare il suo splendore (da Mark Up n. 268)