“Non c’è crescita in Italia che non passi dal Sud: certo ci sono problemi di carattere ambientale, di infrastrutture e legati al lavoro, che rendono più difficile il lavoro del retailer in queste zone -spiega Francesco Pugliese, Ad e direttore generale di Conad-. In più occorre adattare la propria offerta ai consumi e alla capacità di spesa, che sono diversi. Eppure, noi di Conad lo stiamo facendo con molta soddisfazione lavorando con imprenditori sani e con persone motivate: la nostra seconda posizione sul mercato italiano è legata in larga parte ai risultati registrati nell’Italia meridionale, dove siamo leader in Sicilia, Calabria, Campania, Lazio, Abruzzo, oltre ad avere quote significative in Molise e Sardegna”.
Cosa manca, allora, al Sud per essere valutato per le sue potenzialità e non per le sue debolezze?
Un disegno organico, che vada oltre la piccola e la grande distribuzione, e che ricollochi questa parte d’Italia al centro delle tematiche nazionali. Così facendo, garantiremmo lo sviluppo di tutto il Paese.
Per raggiungere questo obiettivo serve anche un impegno da parte di Governo e istituzioni. Cosa chiedete?
Maggiori interventi a livello di infrastrutture. Basta assistenzialismo: occorre finanziare progetti seri, di lungo periodo e orientati alla crescita dei posti di lavoro e delle attività nel Sud stesso.
Oggi, quando si parla di rilancio del Sud si pensa soprattutto a creare sinergie tra turismo e food, dall’agricoltura alla ristorazione. Cosa ne pensa?
Mi sembra una semplificazione eccessiva. È vero, abbiamo un grande patrimonio turistico ed artistico che offre grandi potenzialità e che, invece, utilizziamo male, ma non si può pensare che il futuro del Sud sia solo quello di essere il parco divertimenti dell’Europa. Nessun territorio può crescere puntando su una sola vocazione: la crescita deve essere necessariamente accompagnata da una copertura più globale in termini di settori coinvolti. Serve un progetto industriale più ambizioso, che valorizzi le imprese leader mondiali già presenti, dalla meccanica come la Fiat a Melfi fino alla tecnologia degli ultraleggeri, e crei le condizioni per crescere.
Torniamo al tema delle infrastrutture, debolezza storica di queste zone. Quali le priorità dal suo punto di vista?
Per giocare un ruolo nel prossimo futuro, il Sud deve essere meglio collegato al resto dell’Europa e del mondo. Questo vuol dire che, se si parla di turismo, occorre realizzare tutto quello che serve per far arrivare in maniera facile le persone: non penso a nuovi aeroporti o autostrade, ma più semplicemente alla ferrovia e alla sua modernizzazione. L’alta velocità arriva formalmente a Salerno, concretamente a Roma, mentre la costa adriatica ne è totalmente sprovvista. Se pensiamo, invece, al mondo del food e all’agricoltura, va affrontato il tema del trasporto delle merci, una grande opportunità ancora da sfruttare, ma dobbiamo muoverci. L’Italia è una lingua di terra al centro del Mediterraneo: con il raddoppio del Canale di Suez oggi la gran parte delle merci provenienti dal Far East va direttamente a Rotterdam, per essere distribuita nel nord Europa: noi siamo tagliati fuori da questi percorsi; eppure sarebbero più naturali e permetterebbero risparmi di tempo e di denaro. Ma servono strutture adeguate per sostenere questi flussi navali: noi non li abbiamo ancora, pur avendo fior di porti, come Taranto, Gioia Tauro e Napoli. La stessa produzione ortofrutticola siciliana non arriva nei grandi centri d’acquisto in Europa perché mancano le infrastrutture di consegna e i relativi collegamenti, come hanno fatto altri Paesi, ad esempio la Spagna.
Il futuro del Sud, quindi, secondo Lei, consiste nel diventare un ponte tra nord e sud del mondo?
Esattamente, il Sud Italia è la portaerei del Mediterraneo. Il tema è come rendere veramente l’Italia il punto di snodo nel Mediterraneo. È l’Africa, indipendentemente dall’instabilità politica e sociale, a rappresentare l’opportunità dei prossimi anni, proprio per la nostra stessa posizione geografica. Ecco perché non dobbiamo dimenticare le vocazioni industriali: dobbiamo agganciarci a questo filone. Ed ecco perché è sbagliato ragionare a compartimenti stagni, privilegiando solo alcuni settori. Bisogna pensare in grande, a ruoli più significativi legati al futuro.
Ha collaborato Barbara Trigari