Selex – Il retail tra sfide generazionali e voglia d’innovazione

Intervista a Alessandro Revello, presidente di Selex e ceo di Dimar, sul futuro del retail e sulle strategie per affrontare le sfide attuali

Alessandro Revello, sia per la sua posizione in Selex di cui è il presidente, sia come ceo di Dimar, è un personaggio conosciuto ma non per questo facile da acchiappare. Una volta “preso” ci ha offerto uno sguardo sul mondo del retail alimentare decisamente importante, ma andiamo a leggerlo...

Sei al tuo terzo mandato come presidente: quanti hai intenzione di farne?
Penso che sia l’ultimo. Per questo mandato abbiamo dovuto fare un cambio di statuto, visto che il limite era a due, ma siamo in una fase di cambiamento in Selex, anche in termini di consiglieri: tre sono usciti per lasciare il passo alle nuove generazioni. Serviva, quindi, continuità per proseguire a lavorare ai progetti in itinere e a quelli in arrivo, molti dei quali in ambito tecnologico. Per questi motivi mi è stato chiesto di continuare e io ben volentieri ho colto questa richiesta: abbiamo deciso tutti insieme che era la cosa migliore. Rimane il fatto che si tratta di straordinarietà, sono comunque convinto che la figura del presidente sia giusto che ruoti e non diventi troppo baricentrica su una persona sola. Presiedere un gruppo come Selex, per 9 anni consecutivi, è sicuramente un onore.

... e avete fatto un ottimo lavoro finora, visto i risultati presentati recentemente da Selex... Hai parlato di cambio generazionale: quanto è complicato affrontarlo?
Il passaggio generazionale è un momento molto complesso in un’azienda, che sia di retail o meno. Nessuno di noi nasce imprenditore, quindi, credo che sia un percorso da seguire, e non solo con il buon senso ma è necessario pianificarlo anni prima. Rimane, comunque, un momento di discontinuità che quindi va gestito. Noi ad esempio, ci siamo fatti aiutare da società di consulenza che sono esperte in questo percorso. Ritengo necessario costituire una serie di strutture e di infrastrutture, di regole, di patti, di patti di famiglia, di patti di governo, e così via, ma anche di percorsi di inserimento che vedano intervallare esperienza di completamento delle soft skill. Di fatto, chi della famiglia entra in azienda con un ruolo manageriale avrà alcuni diritti e alcuni doveri e non è detto che sia per tutti, che le capacità che servono ci siano e per appurarlo sono necessari passaggi che determinino che la persona in questione abbia le caratteristiche necessarie per coprire quel ruolo. Questa è una fase molto delicata nelle aziende familiari, perché può succedere che venga confuso il ruolo in famiglia rispetto a quello in azienda di manager. Non è detto che tutti nascano con il sacro fuoco del retail, a prescindere dalla famiglia in cui nascono e dalle loro capacità personali.

Tu hai sempre desiderato lavorare nel retail?
Probabilmente sì e, ammetto, non ho mai pensato a un’alternativa. Sono nato in questa azienda, già da piccolo andavo a fare il banconista e lavoravo nei supermercati anche mentre studiavo; da lì mi sono innamorato di questo mestiere, è nato un amore, che mi ha portato ad avere investito, in questi 28 anni, gran parte della mia vita all’interno di questo mondo e di questa azienda.

Come comunicheresti questo entusiasmo, in un momento in cui il retail fatica a reperire personale?
Questo è il problema numero uno che abbiamo: noi facciamo fatica, molta fatica rispetto ad altre industry a trovare personale, a reperire competenze, soprattutto tecnologiche e di marketing. Abbiamo rilevato che un ostacolo -lo è per Dimar, ma anche per altri colleghi- è dove siamo dislocati, perché, naturalmente, un conto è avere una sede a Milano o a Torino che, con due giorni di smart working, permette di fare una vita di un certo tipo, un altro conto è essere a Cherasco, in provincia di Cuneo, dove si sta bene, c’è dell’ottimo cibo ma venirci a vivere è una scelta che non in molti fanno.
Il secondo punto è la creazione delle competenze: il retail non è stato in grado fino a oggi di costruire un percorso idoneo ad attrarre specialisti in Data Science Analytics, di marketing automation, di Crm, ciò rappresenta un problema per tutto il sistema e ci stiamo lavorando. Stiamo cercando di costruire dei centri di competenza che possano lavorare da Milano. È il caso dell’eCommerce, un progetto nazionale che ha la sede nel capoluogo lombardo, la cui ubicazione ci ha permesso di fare scouting e trovare delle competenze adeguate.
Per le maestranze di negozio è ancora più preoccupante, perché di fatto manca proprio la volontà di fare questo mestiere. Stia- mo avviando tanti progetti in collaborazioni con università, scuole superiori e professionali per costruire percorsi e far comprendere ai ragazzi quanto il mondo del retail può costruire delle professionalità e carriere interessanti, però è complicato perché mancano i numeri a monte del processo. Noi, purtroppo, ci scontriamo con orari infelici, chiediamo il massimo impegno quando gli altri sono a casa, il sabato, la domenica so- no i giorni più impegnativi. Che fare? Dobbiamo cercare di costruire infrastrutture di un certo tipo, percorsi, progetti che vadano a ingegnerizzare tutta la parte di preparazione, questo snellirebbe un po’ ma la differenza, comunque, la fa ancora la persona dietro al banco, il nostro macellaio, il nostro gastronomo, sono le nostre maestranze che fanno la differenza tra il successo e l’insuccesso di un reparto, del negozio, ed è bello che sia così, perché questo ci consente distintività, rispetto a formule più industrializzate che non hanno necessità di quel tipo di professionalità, ma comunque non danno nemmeno quel tipo di servizio.
Però fatichiamo ed è, penso, il tema che tutti gli amministratori delegati della gdo hanno sul tavolo.
È necessario trovare delle soluzioni soprattutto per i negozi, che versano in una situazione preoccupante, siamo sotto organico da tanto tempo e anche chi è in organico è ormai stanco.

Hai parlato di data automation, di Crm: qual è oggi il ruolo di Selex ?
Selex ha già dimostrato che è qualcos’altro rispetto a una centrale d’acquisto, abbiamo ampliato i perimetri di confronto, fatto progetti, adeguato il supporto offerto in base ai bisogni dei singoli imprenditori dell’universo Selex. Ci sono aziende che hanno già un processo molto automatizzato e che hanno fatto dei percorsi di ottimizzazione molto spinti anche nella parte di tecnologica, un punto importante è che non sempre la dimensione fa testo in questo campo: ci sono aziende piccole molto virtuose e invece aziende grandi che devono ancora fare dei passi importanti. Passi che vanno fatti perché sono convinto che la tecnologia è e sarà un asset che creerà distintività, un reale propulsore di competitività.

Parliamo di marca del distributore... ha cambiato i rapporti con l’industria di marca?
La mdd è cresciuta probabilmente perché c’è un cliente che si è dimostrato interessato. Certo abbiamo costruito politiche assortimentali e di prezzo che l’hanno messa al centro della nostra politica commerciale. ln questi mesi, il trend è in continua crescita ma non in termini di quota.
L’industria ha un altro compito: deve preoccuparsi di essere distintiva e di avere un ruolo ben specifico nella categoria, questo le consentirà di mantenere la propria leadership. Negli ultimi mesi, ho notato un cambiamento nell’atteggiamento dei leader di categoria, c’è la voglia di costruire dei percorsi virtuosi che mettano al centro il comportamento del proprio shopper, c’è desiderio di costruire dei tavoli di discussione per valorizzare l’insieme della categoria ed essere un partner che ci aiuta a fare business e costruire insieme un percorso meno muscolare e più partecipativo. Questo dovrebbe essere il futuro dei rapporti con l’industria di marca.

"Spero che il rapporto tra industria e distribuzione possa evolvere, mettendo sempre di più i bisogni del cliente al centro"

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