L’online è stato la forza motrice della crescita nel retail negli ultimi cinque anni. Una scuola di pensiero sostiene, e teme, che il futuro del retail tradizionale (i negozi fisici) sia a rischio e che in un domani non lontano il punto di vendita sarà defunto. Più di un campanello d’allarme è già suonato, ricorda Natasha Patel, global retail research di Cbre London, ripensando alla chiusura di molti progetti e brand in Cina nel 2017, e alla crisi dei “mall” negli Usa con chiusura di centri commerciali soprattutto quelli trainati da grandi magazzini.
Gli smartphone hanno ampliato molto l’universo del commerce everywhere. Quali sono le conseguenze?
La prima conseguenza di rilievo è che chiunque può comprare qualunque cosa quando vuole e in qualunque momento. Ma questo non limita di per sé nessuno: i marchi/prodotti sono disponibili su più canali, 24 ore al giorno, quindi sempre a portata d’acquisto per il consumatore: i siti web non hanno orari di apertura e chiusura e non distinguono tra festivi e feriali. I progressi della tecnologia permetteranno l’acquisto immediato semplicemente cliccando o catturando una foto. Il product placement sarà ovunque attraverso tutte le forme di media. Programmi televisivi, cinema, giornali e riviste condurranno tramite link il consumatore direttamente al prodotto. Aumenterà il bisogno di disponibilità immediata a stock del prodotto e questo richiederà un miglioramento delle soluzioni logistiche.
La robotica e l’automazione sostituiranno molti lavori nel retail?
Molti studi prevedono un calo del 20% del prezzo dei robot industriali e dei software nel prossimo decennio, con un miglioramento delle loro prestazioni pari al 5% annuo.
L’aumento del costo del lavoro renderà la Cina un mercato meno attrattivo di quanto è stato nel passato recente. I robot sono molto più veloci degli esseri umani e hanno una capacità decisionale più rapida e accurata di quanto avviene nel lavoro manuale e umano.
La robotica è già presente nell’industria retail con realtà e supporti come i “robo-chef”, gli schermi tattili per gli ordini e il servizio clienti a riconoscimento vocale. Le previsioni variano in rapporto alle tipologie di lavoro e mansione o ai settori di mercato, ma è certo che i lavori più robotizzabili saranno quelli più ripetitivi, semplici o meccanici.
L’automazione promette un’esperienza d’acquisto e di punto di vendita più ininterrotta (seamless) permettendo ai clienti di entrare nei negozi, acquistare e uscire senza dover fermarsi alle casse tradizionali per pagare.
Grazie agli sviluppi nella personalizzazione e nell’interazione umana, l’intelligenza artificiale è quanto mai efficiente nel customer service. Robot “friendly” mimano il linguaggio umano fornendo un servizio veloce e facile a costi minori.
Una contraddittoria convergenza tra automazione e umanità ed esperienze nel retail
È opinione diffusa che le tradizionali società del benessere abbiano raggiunto un picco nei consumi. Siamo più interessati alle esperienze che al possesso di beni e prodotti. Mangiare fuori, andare ai concerti, agli eventi, partecipare ad attività gratificanti sono tutte esperienze che attraggono quote sempre più importanti dei nostri portafogli, oltre che dei nostri interessi. Sintomatico di questo fenomeno è lo slogan della “Instagram generation”: “Yolo” (“You Only Live Once”).
L’economia dell’esperienza diventa più diffusa e quotidiana. A prescindere dal contesto macroeconomico, scegliamo di investire più tempo nel fare e meno nell’acquistare.
L’aumento della sharing economy dimostra che molta gente preferisce la fruizione di un servizio piuttosto che il possesso in proprietà. Al crescere della concorrenza sulla spesa, il middle market sarà compresso tra il value e il luxury. Più spazio fisico sarà dedicato a prodotti e servizi affittabili che per articolo in vendita. Per sopravvivere i retailer dovranno pensare creativamente e incorporare esperienze che fanno desiderare al consumatore di ritornare.
Rientra nell’ambito esperienziale anche la crescita del mercato food & beverage?
Sempre più retailer indipendenti aprono e apriranno nelle high street, e i consumatori cercano brand nuovi. Nel food & beverage gli indipendenti stanno lanciando servizi ritagliati sulle esigenze dei clienti. Le comunità locali prospereranno mentre i centri città sono dominati dalle catene, dando così maggiori opportunità alle aziende locali. Le catene riconosceranno le opportunità esistenti sviluppando altri e nuovi concetti locali e insegne, per trasmettere l’immagine di un’offerta indipendente.
Il successo del F&B come trionfo della convivialità e del vivere felici e nello stesso tempo l’aumento del wellness (sport, diete, vegan).
Assisteremo a una crescita di consapevolezza verso ciò che contribuisce al vivere sano. Shopping malls e siti urbani punteranno ad avere strutture fitness per generare footfall e nuove opportunità di spesa.
La “Instagram generation” continua ad evolversi e avrà un bisogno sempre più accentuato di apparire e sentirsi bene.
È un business anche assicurativo perché le compagnie offrono iscrizioni a centri saluti e sportivi (fitness club). Questi diventeranno comuni nei mall, nelle aree urbane e nelle nuove proprietà residenziali. Ma diventeranno molto popolari anche i Lifestyle stores perché la gente mira ad acquistare abbigliamento e accessori legati alle loro aspirazioni salutistiche e di vita sana. Aumenterà il numero di atleti non professionisti che si preparano per maratone ed eventi sportivi estremi.
I centri commerciali manterranno questo nome o cambieranno anche definizione?
No, secondo me verranno definiti sempre più “centri” tout-court. Mentre aprono nuovi progetti, asset più vecchi, e che non sono stati rinnovati, diventano più difficili da affittare e aumentano gli spazi sfitti (vacancy). E una gran quantità di shopping fatta nei centri commerciali può essere svolta facilmente online. Gli attuali shopping center hanno generalmente un ventaglio limitato di opzioni in materia di divertimento, tempo libero, che includono food & beverage, cinema e in certi casi bowling o altre attività ricreative.
Risultato. Gli shopping center diventeranno destinazioni miste con promotori e tenant sempre più focalizzati a consegnare quello che la gente vuole, e dove vuole. L’invecchiamento della popolazione aumenterà il fabbisogno di strutture per la salute e l’assistenza. Questo trend condizionerà le scelte di posizionamento geografico e urbano, e di layout. I nuovi centri commerciali offriranno sempre più servizi e strutture educative, attività per il tempo libero, spazi in co-working e spazi per la distribuzione e il ritiro/ raccolta di prodotti. Gli spazi per gli eventi all’aperto diventeranno comuni nella maggior parte dei centri. Risultato: il divario tra retail e leisure sarà sempre più indistinto, con i retail brand che soddisfanno l’esigenza di esperienza nei loro store. Aumenterà il numero di negozi che la doppia funzione di showroom e luoghi di acquisto. La gente andrà in un ambiente commerciale per passare il tempo più che per andare a far la spesa.
Gli specializzati troveranno una conferma del successo del loro posizionamento rispetto ai despecializzati?
Le insegne devono differenziarsi attraverso la specializzazione, anche perché i consumatori, tramite l’online, hanno possibilità illimitate di accedere a milioni di referenze e marche. Di fronte a questa crescente e quasi spaventosa sovrabbondanza di scelte, i consumatori sono sempre più attratti dagli specialisti soprattutto nelle categorie più segmentate come l’abbigliamento tecnico-sportivo, il cibo biologico e organico, e le calzature. Una delle conseguenze sarà l’aumento di spin-off specialistici da parte delle grandi catene e dei brand internazionali, con linee focalizzate su specifici target di acquisto e consumo. Lo specialista retail è un consulente e selezionatore dell’offerta: un ruolo cruciale in un mondo dominato dall’interazione fredda e veloce dell’online.