Il Retail Media trova privacy e valore dei dati con il Data Clean Room

Nell’era post-cookie, la pubblicità deve trovare nuove strade. Il retail media e strumenti come le cosiddette “camere bianche di dati” vanno in quella direzione

Il Retail Media è uno “spazio di manovra”, o come alcuni commentatori lo definiscono – un nuovo settore –, che sta prendendo piede in seno alle maggiori realtà retail per superare l’impasse generate dalle restrizioni nell’uso dei dati a scopi pubblicitari, conformarsi alla normativa in vigore, e allo stesso tempo cercare, in prospettiva, di farsi trovare pronti a quello che il futuro ha in serbo.

25 miliardi di euro entro il 2026 è la stima del valore che, secondo i risultati di uno studio Iab pubblicato a Bruxelles lo scorso 13 dicembre 2022, raggiungerà il Retail Media, che viene definito “l’insieme di spazi e dati (online e offline) che oggi possono essere venduti a brand e inserzionisti terzi, interessati a parlare ai clienti del retailer”. Esempi citabili di Retail Media Network (RMN), vale a dire sistemi di advertising creati appositamente per questi scopi, sono quelli di Tesco (Tesco Media and Insight Platform), Walmart (Walmart Connect), e Carrefour (Carrefour Links). Più nello specifico, il Retail Media ricomprende, quindi, media on-site, ovvero gli spazi proprietari come sito, app, newsletter, insegne digitali, ecc, e i media off-site, ovvero quelli in cui è possibile rintracciare dati dei consumatori pur non essendo su canali proprietari come i sopraccitati, oppure forme ibride delle due.

Ed è nell’ambito di quest’ultima fattispecie di media in particolare (perché fuori dai contesti aziendali in senso stretto), che è sorta la necessità di porre particolar attenzione sui temi relativi al controllo dei dati proprietari e della privacy, e che ha dato visibilità ad uno strumento come le Data Clean Room, che alcuni commentatori traducono in “camere bianche di dati”. Una Data Clean Room è un ambiente “magazzino” che funge da filtro di sicurezza in cui vengono collocati i dati personali delle parti coinvolte anonimizzati e dove passano, poi, ad essere analizzati (messi a confronto, utilizzati per ricavare insights ad alto impatto, creare match, arricchiti con dati di prima parte, ecc.) in maniera sicura e conforme alla normativa (al GDPR in Europa per esempio).

In scenari cookieless, soprattutto in ambito di digital marketing, quindi, le Data Clean Room rendono possibile una maggiore attenzione nella gestione dei dati sensibili da parte degli inserzionisti: il focus è sulla Personally Identifiable Information (PII) che è quella da tutelare.

© bringga (2021)
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Queste Data Clean Room (che nella pratica funzionano su licenze offerte vari operatori del settore) sono l’espressione di sottostanti accordi di collaborazione tra le parti, rendendo effettiva una data collaboration in un ambiente che offre garanzie di protezione e privacy dei dati. Sono degli “intermediari” che per un settore come il retail, per sua natura soggetto interfacciarsi con i Big Data in misura importante, può fare la differenza, pur non sostituendosi del tutto ai cookie di terze parti o comunque non avendo ancora raggiunto una rilevante maturità d’utilizzo, e dovendo ben ottimizzare i processi di interoperabilità. Le premesse perché personalizzazione e tutela dei dati possano andare di pari passo sono, quindi, reali e con grande potenzialità e flessibilità perché questo possa avvenire n maniera frictionless tra mondo analogico e digitale.

In conclusione, come scrive Marco Migliorini, Programmatic Media Team Manager, “l’impiego congiunto di retail media e clean room è […] un ponte percorribile che permette di colmare il gap tra online e offline e finalmente misurare l’impatto omnichannel degli investimenti media”.

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