La quota della marca del distributore (mdd) in Italia si aggira ormai intorno al 32%, anche se in alcuni paesi europei i valori sono già ben più elevati. Tutte le insegne alimentari in qualche modo se ne servono, e grazie a una dimestichezza con questo strumento che in alcuni casi supera i 20 anni, cominciano a ragionare sulla possibilità di fare un passo in più, per differenziarsi rispetto ai competitor. Vediamo con Romeo Scaccabarozzi, AD di Axiante, cosa sta succedendo alla mdd.
Una quota così alta di marca privata costituisce una minaccia per l'industria di marca?
La quota italiana non è così alta se paragonata alla media europea che supera il 40%. In Gran Bretagna siamo addirittura al 50%. Le insegne che hanno in Italia un proprio marchio – praticamente tutte - in realtà hanno il vantaggio di poter vedere in anticipo cosa è successo ai retailer in Europa, e così farsi trovare preparate. La differenza è che è più complesso fronteggiare come competitor un'azienda che è anche un proprio partner, le armi cambiano. Quel che è certo è che ormai l'mdd ha compreso benissimo cosa sia un marchio, ha tutte le conoscenze per poterlo gestire. In termini generali, non la definirei una minaccia per l’Idm, né un problema che porterà a stravolgimenti, quanto invece un riposizionamento di quote di mercato.
Ci sarà meno spazio a scaffale per la Idm?
Dipende. La Idm, a fronte dell’avanzare dell’mdd, ha cercato di ricavarsi uno spazio nella fascia premium (non tutti, ovviamente). E infatti hanno sofferto i produttori che per forza, capacità finanziarie e rete distributiva non hanno potuto fare la stessa mossa. In definitiva, chi è stato travolto dalla mdd sono i vendor posizionati nella fascia di prezzo medio-bassa, mentre la grande industria si è semplicemente trovata a dover fare i conti con un competitor in più.
I retailer si stanno trasformando in produttori, per avere maggior controllo sul proprio business?
Non ne sono pienamente convinto... di certo ritengo che il retailer abbia un grande vantaggio sull'industria di marca: è molto vicino al consumatore, ha subito il polso dei suoi bisogni, delle sue abitudini. E infatti anni fa, il bisogno del consumatore era apparso chiaro: prezzi più bassi, altrimenti non acquistava o cambiava punto di vendita. I retailer hanno percepito questo trend e hanno inserito alcuni prodotti che costavano letteralmente la metà, rispetto a quelli industriali. Oggi da "alcuni prodotti" siamo passati a tantissime categorie diverse, proposte a prezzi più bassi. Questo ha depotenziato la leva della differenziazione rispetto alla marca industriale e quindi la fidelizzazione, perché ormai l’mdd ce l’hanno tutti i retailer.
Parliamo della fidelizzazione, e di come ottenerla.
Quello del retailer è un mestiere difficilissimo, in un mercato commodity deve convincere il cliente a tornare spesso nel proprio punto di vendita. Visto che ormai l’mdd non è più un driver distintivo di qualche insegna, per differenziarsi occorre fare un passo in più, dare alla marca propria una nuova immagine, una nuova ragione di esistere, facendo un passo in più diventando realmente un produttore. Questa scelta però presuppone anche la necessità di dover selezionare in quali categorie implementare questa strategia in base ai trend emergenti di consumo.
Ebbene, se guardiamo per esempio ai dati sulla popolazione italiana: secondo l'Istat l'età media supera i 48 anni, siamo un Paese di senior, e lo saremo sempre di più. Allora bisogna pensare a prodotti adatti a questo target. Il prezzo non è un elemento differenziante, lo è invece puntare su prodotti attenti alla salute, e anche alla qualità, visto che il consumatore senior è meno impulsivo e tende a informarsi di più perché pone maggiore attenzione a cosa mangia. Possiamo aggiungere il tema ambientale, anche se è una questione trasversale, dunque non legata all'aspetto generazionale.
Guardando la questione dal lato del retailer, quali sono le sfide che lo aspettano?
Finché il retailer si limita a fare private label, ovvero non si occupa di progettare e disegnare il prodotto, perché demanda ai copacker questo lavoro, e non fa comunicazione per non impattare sul prezzo, rimane nel proprio ruolo. Se invece non si accontenta e dalla private label vuole evolvere al private brand, questo è un mestiere nuovo e non banale. Ricordiamoci che l'industria di marca è un'industria specializzata, anche le multinazionali più grosse trattano poche categorie per fare bene. Quindi, come già accennato, il retailer dovrà gioco forza fare delle scelte rispetto a quali sono i prodotti nei quali intende cimentarsi in questo nuovo ruolo, se vuole interpretarlo al meglio. In breve, significa che dovrà predisporre una strategia e un piano esattamente come l’industria di marca, eseguirli e misurare i risultati, raffinarli. Per fare tutto ciò avrà bisogno ancora una volta dei dati.
Perché i dati saranno così importanti per il retailer?
Prima di tutto, il retailer si troverà a competere con chi il mestiere del produttore lo fa da decenni. Sono i dati che gli diranno effettivamente come stanno andando le cose, e cosa cambiare. Altrimenti il rischio è innamorarsi di un'idea senza mai metterla alla prova dei fatti. I dati aiutano a essere obiettivi, se si mira al successo. Altrimenti va bene anche affidarsi all'intuito e all'esperienza. Accanto ai dati, penso che ci sarà anche un travaso di talenti, con product manager e altre figure dell'industria che confluiranno nel retail alimentare, dove questi ruoli non esistono.
Allora la gdo si comporterà come l'industria di marca?
L'importante è che la gdo, come ha sempre fatto, sia attenta a fruttare i propri asset. E tra questi da una parte quella vicinanza al consumatore cui ho accennato prima che rappresenta un'opportunità in più rispetto alla Idm. Dall’altra il retailer come media, perché grazie alla comunicazione digitale e ai device può raccontare il prodotto con grande interattività. Se vogliamo è una sorta di ritorno alla tradizione del retail, quando il cliente che entrava in negozio acquistava facendosi consigliare dal negoziante, riproposta in chiave moderna. Questo dialogo sulle materie prime, le tecniche di lavorazione, la qualità, le ricette in cucina, può rendere il prodotto estremamente concreto e materiale, dare corpo a termini che altrimenti rischiano di rimanere vuoti, come salute, qualità, benessere, sostenibilità.
Si tratta di aspetti difficili da trattare in un volantino, o in uno spot di 30 secondi in Tv. In più, la comunicazione digitale è personalizzabile e il retailer conosce i propri clienti. Le insegne hanno pertanto, a mio avviso, la possibilità di diventare un produttore di successo, e anche di fare meglio dell'Idm, perché si trovano nel posto giusto, ovvero più vicino al consumatore, e possono ascoltarlo e instaurare con lui un dialogo interattivo, che sono tra l’altro i desiderata dell’attuale consumatore. Ovviamente, solo su alcune categorie.
Il maggior rilievo della mdd porterà maggiore complessità nella composizione dello scaffale?
Partiamo da alcune considerazioni. I prodotti mdd, a parità di benefici, rientrano in una fascia di prezzi più bassa della Idm, quindi gli spazi per il margine sono più bassi. Chiediamoci poi come mai in Italia la quota della mdd è così bassa rispetto all'Europa: la risposta è nella specificità italiana di una gdo fatta di poche insegne potenti, di cui molte sono fatte di associati e cooperative, e tante insegne regionali e locali. È la massa critica quella che permette di fare efficienze di costo e di acquisto, quindi a causa di questo fattore strutturale, in Italia è più difficile fare margine con la mdd: togliere dallo scaffale prodotti di marca e sostituirli con quelli a marchio proprio non necessariamente garantisce un maggior guadagno.
...quindi decidere come comporre lo scaffale è più complicato...
Sicuramente è più difficile rispetto al passato. Non solo c'è il tema del margine, ma anche quello di una sfida assortimentale che oggi si gioca molto più di prima su piccole superfici. Qui la cannibalizzazione è certa, e se si elimina un prodotto di marca, è difficile poi inserirlo di nuovo; inoltre, per ogni variazione della composizione dello scaffale passa del tempo pima di poter sapere quanto si guadagna in più o in meno. Infine, non sottovalutiamo che siamo sempre un paese fatto di tante regioni e tanti comuni, ciascuno con le sue abitudini e preferenze: difficile applicare la stessa griglia a Milano e a Barletta.
L'Italia a che quota potrebbe puntare per la mdd?
I momenti di contrazione economica come quello che stiamo attraversando, e che si prevede proseguirà ancora un po', fanno solo crescere la mdd, e più velocemente. All'estero abbiamo visto che si può arrivare anche al 50%, e questo dovrebbe essere la soglia anche per l'Italia. Ma a parte ciò, sarà interessante vedere quanti retailer svilupperanno, come molte insegne all'estero, una dual strategy sul prodotto, quindi entry level su molte categorie e prodotto premium su alcune, da vero produttore. All'estero si fa già, in Italia per ora ci sono alcune piccole iniziative. Vedremo chi avrà la capacità, e prima ancora la volontà, di costruire una private label forte, con un prodotto che non si distingue solo sul prezzo ma anche su altre caratteristiche intrinseche. Direi che viviamo una fase di passaggio, dove tutto tende a essere un po' ibrido, e quindi vedremo se e come insegne famose in un ambito cercheranno di affermarsi anche in un altro. Detto ciò credo che se un retailer vuole avere successo facendo il lavoro dell'industria, deve farlo bene, deve diventare leader, e soprattutto deve fare delle scelte, perché continuare a proporre quello che propongono tutti, non paga.
E l'approdo di alcuni brand premium della mdd sui marketplace come Amazon e Cortilia?
Ritengo sia una scelta normale, quasi scontata, dal momento che ogni retailer cerca di stare il più vicino possibile al consumatore e anche l'eCommerce è un canale di vendita.
Axiante mdd - Axiante mdd - Axiante mdd - Axiante mdd - Axiante mdd - Axiante mdd