I retailer italiani, pur avendo un margine commerciale (25,6%) di 3 punti percentuali superiore alla media europea, perdono competitività a mano a mano che si scende verso le ultime righe del conto economico: dal 2009 al 2013 l'ebitda (Utile prima di interessi, tasse, e ammortamenti) è passato da 4,5% a 3,9% del fatturato, l'utile netto è sceso a 0,3% nel 2013. I costi principali tra margine commerciale e margine operativo lordo sono il personale (11,2%) e l'aggregato "affitti+pubblicità+altri servizi" che assomma al 9,3%. Nel presentare questi dati (frutto di una ricerca condotta su 70 retailer italiani), nell'ambito del convegno Retail Now, Dario Righetti, Partner Deloitte, ha voluto aggiungere alcune riflessioni non presenti nell'ormai nota classifica annuale dei 250 retailer mondiali di cui Mark Up ha recensito su questo sito l'ultima edizione, per ricordare alcuni gap tra distribuzione europea e italiana. Il primo dei quali però, aggiungiamo noi, è nella scarsissima massa critica e nella altrettanto risicatissima presenza internazionale dei nostri distributori, visto che nella classifica Deloitte ci sono solo 4 retailer nazionali (Coop, Conad, Esselunga ed Eurospin) tutti rigorosamente operativi (e con bravura) nel perimetro della penisola. Eppure manca un'altra impresa italiana nel Deloitte survey (manca perché non viene considerato un retailer puro): Autogrill, rappresentata a Retail Now da Alessandra De Gaetano, group concept industrialization director: il nostro leader nella ristorazione autostradale è presente in 30 paesi del mondo, con un 50% di vendite realizzate negli Usa, e un portafoglio di 250 brand (molti dei quali in concessione).
Crosschannel, non omnichannel
Righetti ha ricordato che in futuro le aziende, di qualunque settore esse siano, dovranno selezionare le piattaforme: la moltiplicazione e diversificazione dei social network renderà necessaria una drastica selezione in rapporto al target, al posizionamento e all'investimento. "Conterà essere solo su uno, due social se quell'uno o due sono davvero importanti per la mia azienda. Essere ovunque perché fa moda è una perdita di tempo". Hanno ragione Claudio Raimondi, country manager e-Bay Italia, e Fabio Gabbiani, repsonsabille formazione Carrefour Italia, nel sostenere che non serve a niente (e son soldi buttati) la presenza on-line se l'on-line (e il social in particolare) non è gestito in un'ottica strategico-continuativa.
Ropo o Topo?
In futuro prevarrà nei comportamenti d'acquisto il modello Ropo (Research on line-purchase off line) o quello Topo (Try off line-purchase on line)? E' una domanda che si devono porre anche i retailer traditional/digital (i "click&mortar") perché la prevalenza dell'uno o dell'altro modello potrebbe decretare il destino dei negozi tradizionali e dello "showrooming" in particolare. Dipende anche molto dai settori, come ha ricordato Fabrizio Valente, fondatore di Kiki Lab, e comunque, nel dubbio, c'è una tendenza sempre più forte fra i "click&mortar": quella dell'imputazione contabile e commerciale delle vendite online al negozio: Boconcept è fra i principali retailer a seguire questa strada.Risultato? Aumentano traffico e vendite. La formula del click&collect a punto di vendita va in questa direzione.
Fra gli esempi di integrazione tra assortimento e social, il caso di Nordstrom che dedica apposite vetrine o spazi in negozio ai prodotti più "pinnati".
Nei centri commerciali Qwartz a Parigi (Altarea) è uno degli esempi più avanzati di integrazione tra fisico e online: i supporti per l'acquisto e la consultazione on line convivono con i negozi della galleria, di cui non sono concorrenti perché ampliano in chiave non-fisica l'assortimento complessivo del centro.