La pandemia rappresenta uno stress test importante per l’intera società che impone una serie di riflessioni e analisi utili per fare il punto su quanto strutture ed organizzazioni si siano rivelate adatte a supportare il cambiamento e procedere ad un ripensamento delle stesse. È indubbio che la diffusione del Covid-19 abbia indotto cambiamenti repentini, rispetto a delle dinamiche più sistemiche e prevedibili come quelle già in atto della rivoluzione digitale: il binomio urgenza e capacità di problem-solving ha scellerato i piani delle direzioni HR delle aziende rimodulandone le priorità.
Secondo i risultati dell’ultima ricerca dell’Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano, basata su un’analisi empirica che ha coinvolto 198 medio-grandi aziende italiane e un panel rappresentativo di lavoratori realizzato in collaborazione con Doxa, sono emersi tre principali ordini di priorità, riassumibili nell’introduzione o potenziamento del lavoro da remoto (+65% nel 2020); nello sviluppo di cultura e competenze digitali, e nella gestione delle riorganizzazioni (e, nei casi più spiacevoli, di dimensionamenti) aziendali.
Il mondo sconvolto dalla pandemia rimane, tuttavia, sempre quello privo di certezze e stabilità, che i professori Statunitensi Warren Bennis e Burt Nanus nelle loro teorie di leadership hanno definito VUCA, perché caratterizzato da Volatilità (Volatility), Incertezza (Uncertainty), Complessità (Complexity) e Ambiguità (Ambiguity), ora ovviamente estremizzate.
Per restare competitive in questa situazione, le organizzazioni devono optare per l’adozione di una metodologia “agile”. Tale approccio si basa su un paradigma organizzativo di autonomia condivisa che fa propri modelli flessibili, fondati sulla comunicazione libera e non sul comando e il controllo delle persone. Parole chiave dell’agilità, sono Purpose, Orchestrazione, Sperimentazione, Liquidità e Trasparenza. Ognuna di queste parole mette in luce aspetti specifici dell’agilità, da cui emerge un evidente spostamento di focus rispetto ai paradigmi tradizionali fondati sulla gerarchia e il command & control. A questi cinque termini auto esplicativi dell’approccio agile, si accompagnano quattro leve che sono a disposizione delle organizzazioni per accelerare la trasformazione verso un modello di “Agile Organization”. Infatti, perché i principi dell’agilità siano effettivamente funzionali, bisogna intervenire sulla struttura (con team multidisciplinari autonomi, con una risoluzione dei problemi in maniera diretta, e una definizione fluida dei ruoli), sui processi e le practice (coinvolgimento delle persone, approccio sperimentale e miglioramento e monitoraggio continuo), sulle competenze (autonomia nel definire i proprio percorso di sviluppo, autorità decisionale basata su know-how e esperienza), sulla cultura (leadership di servizio per lo sviluppo dei collaboratori, che sono i primi ambasciatori dell’organizzazione), e sull’ecosistema (confronto con attori esterni – anche competitor – come fonte di stimolo e innovazione).
In Italia, ad oggi, solo un’organizzazione su 5 ha fatto proprio l’approccio agile. La criticità maggiore si registra nella cultura aziendale, con ancora uno scarso commitment del top management su questo fronte. Ci sono però molte realtà in cammino verso l’adozione di tali approcci, che cercano di vincere la resistenza da parte delle popolazione aziendale, cercando di condividere i risultati che l’agile produce: i modelli agili riescono a incrementare mediamente del 26% (dati Politecnico) il livello dei lavoratori su tutte le dimensioni della work performance, ma soprattutto nella capacità di introdurre miglioramenti in maniera proattiva a vantaggio dell’organizzazione.
Già in un articolo su Forbes del gennaio 2018, “Agile is eating the world”, Steve Denning, il “Warren Buffett della business communication”, metteva in evidenza il successo dell’agile nella sfida competitiva con i vecchi modelli gerarchici a waterfall, basati su attività sequenziali, funzionali in un mondo statico, con scenari facilmente prevedibili e un il tasso di innovazione molto contenuto.
Interessante notare come questo approccio mantenga la sua efficacia anche nello shock della pandemia. Infatti, gli stessi dati della sopraccitata ricerca del Politecnico dimostrano come le organizzazioni “agili” siano più pronte di quelle tradizionali a rispondere ai cambiamenti dell’emergenza Covid-19: su una scala da 1 a 10 il loro valore è di 7,7 rispetto alla media delle aziende di 6,8. Risultano più preparate nella trasformazione digitale dei processi HR e sono capaci di creare ambienti di lavoro più coinvolgenti e partecipativi, valorizzando le persone e i talenti: mediamente nelle organizzazioni agili il livello di engagement dei lavoratori è superiore del 25% a quello delle aziende tradizionali, la learning agility del 24%, le performance di lavoro del 26%.
Non è un caso, quindi, che, nelle organizzazioni agili, siano in forte aumento rispetto allo scorso anno programmi di upskilling per arricchire le competenze digitali e di digital reskilling per formare i lavoratori alle nuove competenze digitali, diffuse nel 69% rispetto al 43% delle altre. Le organizzazioni agili, inoltre, si sono concentrate sulla progettazione di programmi di formazione specifici per sviluppare competenze digitali “hard” (53%) e di iniziative per diffondere cultura e conoscenza riguardo il digitale coinvolgendo le persone in percorsi di innovazione (53%).
Tra queste esperienze formative si trovano spesso anche approcci di “Unlearn to learn” – disimparare per imparare, con lo scopo di sperimentare per la prima volta cose nuove, che aiutino a massimizzare il “Return on people”, il ritorno sugli investimenti sulle persone: engagement, learning agility, work performance.
“In una situazione di cambiamento senza precedenti, come quella che ci siamo trovati a fronteggiare nell’emergenza Covid-19, le organizzazioni che hanno dimostrato di essere più resilienti non sono quelle con più risorse o dotate di piani e procedure più strutturate, ma quelle capaci di adattarsi e rispondere velocemente alle discontinuità. Anche per questo le organizzazioni devono diventare “agili”, organismi sociali di persone in grado di coordinarsi e adattarsi man mano che gli eventi accadono, reagendo tempestivamente e in modo adattativo alle trasformazioni dell’abbiente. Si tratta di una trasformazione profonda che investe cultura, competenze, processi, la stessa organizzativa e il modo di relazionarsi con l’ecosistema. I nuovi principi organizzativi su cui si basarsi sono quelli di una leadership non gerarchica, ma flessibile e partecipativa, capace di ingaggiare le persone in profondità ed esaltarne e orchestrarne le diversità” ha dichiarato Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice.
Lo studio dell’Osservatorio si concentra, infine, sul nuovo rapporto tra persona e organizzazione, basato sull’osservazione del comportamento delle organizzazioni più resilienti. Si prefigura, infatti, un nuovo ruolo per la Direzione HR di Connected People Care, ovvero un utilizzo delle pratiche HR calate sulle esigenze specifiche di ogni persona, facendo leva sull’utilizzo di tecnologie digitali che raccolgono ed elaborano dati provenienti da diverse fonti. Il digitale si rivela, allora, un asset essenziale anche in questo contesto: l’emergenza sanitaria ha portato a rivedere le priorità di investimento nel digitale, per cui quasi metà (48%) delle organizzazioni agili ha aumentato gli investimenti rispetto al 39% delle tradizionali.
Il processo di Talent Attraction è il più maturo dal punto di vista tecnologico: molte organizzazioni stanno sperimentando l’utilizzo dei social, anche non professionali, per l’employer branding, analytics e algoritmi di intelligenza artificiale per la ricerca dei candidati, algoritmi di elaborazione del linguaggio naturale dei candidati, chat bot a supporto del processo di selezione e onboarding.
Nella gestione individuale del percorso di carriera, il 37% delle realtà ha introdotto iniziative per diffondere la cultura del feedback continuo, ma solo il 25% di queste nuove modalità è supportato da sistemi/app, mentre sono più diffusi sistemi di monitoraggio per il controllo delle performance (45%).
Il futuro si prefigura sempre più come un equilibrio phygital, facendo emergere il potenziale trasformativo delle tecnologie in funzione dei tre assi empowerment, engagement e employability a vantaggio dell’organizzazione e della qualità della vita dei lavoratori.