Il diversity management, valore aggiunto per competere

Cristina Lazzati, direttore responsabile di Mark Up e Gdoweek

“La società sta cambiando, anche se lentamente”. A dirlo è Lisa Ferrarini nell’intervista poche pagine più avanti. Ha ragione, ancora troppa omologazione nelle aziende, troppi manager tutti uguali, con le stesse esperienze, con lo stesso background. La diversità in azienda è un concetto nuovo, rivoluzionario, guardato con sospetto perchè foriero di cambiamento, ma in anni come quelli in cui viviamo, portatori di continua evoluzione, la diversità da rivoluzionaria diventa indispensabile, necessaria. Riprendendo Ferrarini, la strada è ancora lunga: troppi stereotipi circolano nelle aziende, il politicamente corretto in Italia si è fermato ai confini legali e, talvolta, vengono bypassati anche quelli. Il “genere” è ancora argomento di conversazione fuori luogo ... Omosessualità, femminilità diventano oggetto di battute, i commenti personali spesso sostituiscono quelli lavorativi; si crea così un ambiente che non favorisce lo scambio e l’inclusione, diventa lesivo della dignità personale, del rispetto, che spesso ha pesi e misure diverse secondo che si rivolga alle minoranze, donne, extracomunitari, omosessuali o al mainstream e a farne le spese sono i risultati. La diversità in azienda ha la potenzialità di offrire uno sguardo alla stessa cosa da angolature differenti.

Osservazioni, che arrivano da profili di genere, di religione, provenienza e età dissimili, se gestiti con intelligenza, hanno la forza della coralità; perché questo avvenga è necessario che imprese e imprenditori siano in grado di guardare alla diversità (quando già presente) come un valore da preservare e, quando invece ancora non c’è, come una situazione da creare.

Retail e largo consumo, che della lettura delle evoluzioni sociali fanno lo spartito su cui modulare le proprie strategie di sviluppo, sono i settori che meglio potrebbero utilizzare la diversità come fattore competitivo. Vantaggiosa anche per potenziare e migliorare la comunicazione interna all’azienda, soprattutto nel retail, dove tipicamente “la base” è a prevalenza femminile, mentre il management è al 90% maschile. Inoltre, sempre nel retail, la varietà del personale di servizio mette maggiormente a proprio agio un numero superiore di clienti che si sentono riconosciuti e non fuori luogo: banalmente, troppe commesse donne limitano l’affluenza maschile, nessun commesso medio-orientale, a fronte di una clientela prevalentemente di origine nordafricana, porta queste fasce di clientela a cercare le merci in negozi gestiti da loro connazionali. Il punto è offrire in negozio uno specchio aderente della realtà circostante.

Infine, un’ultima sottolineatura: pur essendo più diffuse le realtà aziendali fatte da “soli uomini”, non meno limitanti sono quelle di “sole donne”; d’altra parte Spartani e Amazzoni si sono estinti da tempo, e una ragione ci sarà.

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