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Con la stretta europea sugli aiuti accoppiati e il venir meno dei regimi delle quote, anche per il settore agricolo il mercato è diventato il principale contesto dove cogliere le opportunità. Precorrendo la sensibilità salutistica, che oggi è nel pieno della sua esplosione, l’agricoltura italiana ha fatto di necessità virtù, virando verso il biologico, alla ricerca di una redditività che il mercato convenzionale non garantisce. La superficie destinata al bio ha raggiunto il 12% della Sau, 1,5 milioni di ettari (+7,5% rispetto al 2014), e gli operatori sono cresciuti dell’8,2%. Considerati i volumi d’affari di 2,6 miliardi nel mercato interno e 1,6 miliardi di export, in crescita a doppia cifra anche nel primo semestre 2016, molti operatori iniziano a rivendicare la dignità di un segmento di massa e non più di nicchia. Ma navigare in mare aperto implica una maggiore esposizione alle fluttuazioni del mercato e alla concorrenza, con il rischio di venire appiattiti verso le quotazioni dell’offerta mass market. Il sistema produttivo italiano è pronto a non farsi travolgere?
Per struttura sì. Rispetto al convenzionale, le aziende agricole che operano nel bio sono più strutturate sia a livello dimensionale (20 ettari di media) che organizzativo, agganciando all’attività in campo anche parte del processo di lavorazione post raccolta. È inoltre più diffusa la contrattazione pre campagna tra aziende e produttori e la creazione di filiere integrate risulta il modo migliore per tutelare agricoltori e consumatori. “La criticità del mercato del bio italiano -commenta Massimo Monti, ad di Alce Nero- è dovuta alla spersonalizzazione del legame tra mondo agricolo e industria che, anche per effetto della globalizzazione, va ad approvvigionarsi dove la materia prima costa meno. Alce Nero ha scelto fin dalla sua fondazione di basarsi su rapporti stabili e duraturi con il mondo agricolo, una scelta strutturale complessa da gestire poiché la qualità del prodotto non è la stessa in tutte le annate e ci sono differenze di prezzo da gestire. Normalmente le trattative sulla remunerazione avvengono dopo la campagna partendo dal valore di vendita del prodotto. Tendenzialmente paghiamo i nostri soci fornitori meglio del mercato e in più offriamo la certezza della collocazione”. Che per mantenere credibilità ed evitare frodi il mercato italiano debba organizzarsi attraverso la creazione di filiere è evidente anche per Federbio: “Le aziende di trasformazione -osserva il presidente Paolo Carnemolla- stanno capendo che è importante avere un rapporto integrato con la produzione sia per non trovarsi senza prodotto sia per avere una filiera garantita rispetto alla quale si possano programmare crescita sviluppi e futuro”.
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