Il tema lavoro è sempre più di primo piano. Nonostante in Italia il livello occupazionale è attualmente uno dei più elevati di sempre, il mismatching tra domanda e offerta rimane critico, così come gli elevati livelli di turnover che mettono in difficoltà le imprese. Il retail è uno dei settori economici maggiormente labor intensity ed è una frontiera importante per lo studio dei cambiamenti delle politiche del lavoro, dell’evoluzione organizzativa e per l’interpretazione complessiva del significato stesso del lavoro oggi.
Per approfondire il tema, Mark Up ha incontrato Francesco Massara, professore associato dell’università Iulm di Milano e coordinatore del Retail People Quality Store Barometer, una ricerca sullo stato delle cose riguardante il lavoro della font line nel settore retail in Italia.
Quando nasce l’idea della ricerca?
La ricerca nasce nel 2019, prendendo spunto dai dati sui trend demografici che mostrano una forte contrazione della società italiana. Un fenomeno che perdura da anni, ma che recentemente sta assumendo dei contorni drammatici. Il numero di giovani impiegabili è sempre minore e questo costituisce un reale e grave problema.
Una dinamica non solo del retail...
Ovviamente questa considerazione non vale solo per il retail, ma per tutti i settori, compreso quello della formazione universitaria di cui abbiamo una visione ravvicinata. La scarsità delle risorse umane nel retail è un problema ancora maggiore rispetto a molti altri settori, in quanto si tratta di un ambito scarsamente automatizzato in cui le persone sono ancora l’asset più importante e strategico. La scarsità di risorse fa sì che i turnover non siano più gestibili in modo agevole. Occorre quindi prendere le misure di questa nuova realtà, soprattutto a livello manageriale.
Quali gli obiettivi della ricerca?
Operativamente, siamo partiti nel 2021 104 dicembre gennaio | 2024 con un’indagine esplorativa attraverso diversi focus group che ha coinvolto diversi livelli di management: dal top fino agli operativi. Il tema del capitale umano e della sua gestione è emerso spontaneamente. In quanto in piena era Covid, e lo sviluppo della prima edizione ha richiesto più tempo.
Quali ruoli sono stati considerati?
Tutti quelli di front line. È stato scelto appositamente questo ambito in quanto si tratta di ruoli particolarmente soggetti a stress. Il contatto tra la dimensione interna dell’azienda retail e l’esterno è svolto proprio dal front line, che assume anche un ruolo di rappresentanza continuamente sottoposto a sollecitazioni dall’esterno e che richiede un costante adattamento.
Quanto sono consapevoli i retailer dell’importanza delle risorse umane di front line?
Sono poco consapevoli. Uno degli obiettivi della ricerca è infatti proprio quello di sensibilizzare gli Hr dei retailer, e in generale i retailer, a prestare più attenzione alle istanze delle risorse umane che fungono da interfaccia tra interno ed esterno dell’azienda. Valorizzare il personale significa soprattutto aiutarlo nella mitigazione dello stress.
Gli addetti nel settore retail sono fedeli rispetto al settore stesso?
Diciamo che le persone, pur muovendosi molto all’interno del settore, mostrano fedeltà. Spesso cambiano azienda ma tendono a rimanere nel retail. Questo anche perché il 60% dei posti di lavoro è stabile. Cosa diversa è considerare il problema del turnover nel medio-lungo periodo, una tendenza che appunto è preoccupante se letta alla luce del calo demografico.
La ricerca misura il livello di benessere dei lavoratori nel retail. In che modo?
Lo studio ha puntato a considerare i fattori di pressione, o di stress, e i fattori di sollievo, o di welfare, mettendo a punto il barometro della forza vendita. Nel barometro gioca un ruolo centrale lo stress del lavoratore perché è la variabile che compromette qualsiasi altra, comprese le misure di welfare aziendale e la soddisfazione per remunerazioni sopra la media. La domanda da farsi è quindi quanto il benessere complessivo riesca a mitigare la pressione subita.
Quali sono le evidenze principali di quanto rilevato?
La scala del barometro individua nel non-food l’ambito retail in cui i lavoratori stanno meglio in termini di condizioni di stress. Questo ambito è migliore rispetto alla media nazionale e corrisponde a una posizione di loyalty di impiego più alta. In posizione più arretrata rispetto la media nazionale vi è la somministrazione. In quest’ultimo caso l’indice di benessere complessivo vale circa i due terzi del riferimento non-food, e l’intenzione di abbandono è più alta di oltre l’11%. All’ultimo posto troviamo l’alimentare, in cui l’indice di soddisfazione è ancora inferiore rispetto alla ristorazione e le intenzioni di abbandono sono superiori del 18% rispetto al non-food. In definiva il grocery è il più problematico.
Rispetto al vissuto nel punto di vendita, il barometro mette in evidenza processi definiti pregiudicanti e virtuosi. Cosa si può dire a riguardo?
Premettendo che ogni realtà ha le sue peculiarità, possiamo dire che a livello aggregato le politiche organizzative che vanno incontro allo sviluppo e alla realizzazione del personale restituiscono sempre del valore: il barometro ne individua diverse. Poi ci sono anche altri fattori che contribuiscono ad accrescere valore: rapporti informali, momenti di incontro, assenza di tensioni o scarsa gerarchia percepita, incentivi economici, opzioni individuali e collettive. In sintesi, la ricerca evidenzia quanto sia importante introdurre una nuova filosofia di gestione delle persone che devono essere considerate risorse operanti e non risorse manipolate (o passive) come spesso avviene, alla stregua di ingranaggi da azionare.
Alla luce della ricerca quali indicazioni generali si possono dare ai retailer?
Direi che è consigliabile e necessario investire in conoscenza delle proprie persone. E questo è un approccio strategico che andrebbe discusso anche nel board dell’azienda in modo da mettere a terra gli approcci più efficaci. Da qui deriva anche la necessità di mettere a punto dei percorsi di carriera chiari e trasparenti in modo che le persone possano valutare la propria posizione e trovare motivazioni forti. Inoltre, con la conoscenza dettagliata delle proprie risorse umane, l’azienda retail non rischia di veder sprecati dei talenti che dispongono di skill in grado sia di portare valore in termini generali, ma anche di andare a ricoprire ruoli importanti o che possono diventare importanti sui quali l’azienda retail, con l’evolvere del mercato, può dover trovarsi a investire.
La ricerca
Veniamo quindi alla ricerca, uno strumento che possa dare un feedback scientifico circa il grado di benessere dei lavoratori di front line nel mondo retail è oggi particolarmente utile per valutare la situazione e agire per migliorarla. Allo scopo è giunta alla seconda edizione la ricerca Store Barometer dell’Osservatorio di Retail Brand Communication dell’università Iulm. Tra i diversi obiettivi vi è anche comprendere quali processi di store management sono virtuosi e quali non lo sono per il benessere aziendale. Diverse le rilevazioni tra le quali la job satisfaction, la performance lavorativa, l’identificazione con l’azienda, il rapporto con il cliente, la motivazione, l’intenzione di abbandono e welfare percepito. La rilevazione ha preso in considerazione la demografia sociale, i tipi di contratto (indeterminato vs. determinato), il reddito mensile e il ruolo (store manager vs. sales assistant/addetto cassa). Oggi la forza lavoro retail che si interfaccia con il consumatore finale è composta in Italia dal 67,85% di donne e 30,58% di uomini. In termini di età, la fetta più grande è rappresentata dalla fascia tra 26 e 35 anni con il 37,33%. Segue la fascia 36-45 (28,99%), quindi 18-25 (16,07%), a seguire le altre. Le regioni di residenza vedono al primo posto la Lombardia, quindi Veneto e Piemonte. Circa il ruolo, il 63,19% è assistente alla vendita, il 20,28% cassiere, il 15,98% ha ruolo manageriale o di assistenza al ruolo manageriale. Oltre la maggioranza del campione gli addetti titolari di un contratto a tempo indeterminato (60,52%). Tutti i dati raccolti sono stati computati in un modello che ha permesso di ricavare un indice di benessere percepito dei lavoratori mettendo in rapporto i fattori di sollievo con quelli di pressione.
Risultati in sintesi
La ricerca mette in evidenza che il benessere dei dipendenti nel settore retail è influenzato sia da fattori strutturali, come le caratteristiche demografiche, sia da fattori comportamentali, legati ai processi lavorativi. È importante tenere sotto controllo entrambi gli aspetti in modo continuativo. Questa analisi è significativa poiché ha rivelato una relazione con le intenzioni di lasciare il lavoro. Ci sono processi che promuovono il benessere aziendale e altri che possono danneggiarlo. Pertanto, è fondamentale che i retailer si concentrino sul potenziamento dei processi positivi e sulla limitazione di quelli negativi. In aggiunta, c’è una terza categoria di processi che riguarda l’innovazione e il cambiamento. Anche se questi possono comportare dei costi per il team, tendono a generare un impatto positivo sull’ambiente di lavoro. In pratica, le novità nelle interazioni con i clienti e gli elementi che rendono vivace l’attività del negozio sono generalmente apprezzati dai membri del team. Va notato che ci sono alcune differenze tra i vari settori analizzati. Il non-food si distingue come il settore più favorevole rispetto all’alimentare e alle catene di ristorazione ma ogni area ha le sue caratteristiche specifiche da considerare. Secondo i ricercatori è fondamentale riconoscere queste peculiarità per sviluppare strategie efficaci per migliorare il benessere dei lavoratori.