I nuovi volti della pubblicità italiana: Nicola Belli

Belli (Armando Testa): approccio comparativo, memorabilia, vincere la sfida, fattore D

Cosa significa oggi fare pubblicità in Italia? Quale futuro si prospetta per lo scenario della comunicazione tra televisione e nuovi media? La parola passa alle menti creative del nostro tempo, al confronto su sfide e ambizioni di una contemporaneità dove il rapporto con la committenza è cambiato insieme al modello lavorativo e alle esigenze di business.

010_MARKUP06_2016_CStory_Domande1.Mi piacerebbe che si potesse sperimentare qualche nuova forma di approccio comparativo, che in Italia non ha mai goduto di particolare attenzione. Ci sono case history internazionali di grandissimo successo, come quella Pepsi/Coca Cola, dove marche leader hanno “giocato” con il loro diretto competitor. Cercare di abbattere la barriera del finto buonismo sarebbe un esercizio al quale vorrei davvero potermi dedicare insieme a tutti i miei colleghi. In fin dei conti, se fatto con garbo, anche questo è sempre un modo di intrattenere la platea, no?

2.Ho sempre amato, pur non piacendomi il prodotto, il concetto strategico della campagna Guinness: “good things are for those who wait.” Lo trovo vero, per davvero. Poi, visto che questa coverstory inizia parlando di Gavino Sanna, cito la campagna Barilla di tanti anni fa dove l’auto, lentamente, torna a casa in collina. Per i tempi si è trattato davvero di una campagna memorabile.

3.’CI’ chiedono, non ‘MI’ chiedono. Questo è quello che chiedono oggi i clienti. CI, non MI. Un lavoro di squadra, che unisca diversi talenti e professionisti ormai sempre più lontani e diversi l’uno dall’altro, che coprano tutto lo spectrum delle discipline di comunicazione. Tutti, però, rigorosamente uniti da un comune obiettivo: vincere la sfida insieme alla marca che ti ha scelto come partner unico.

4.C’è sempre bisogno di tanto, tantissimo fattore D. Oggi c’è bisogno di Differenza. Dobbiamo sempre avere come primo obiettivo quello di uscire dall’omologazione e rompere la parità. Ci sono troppe marche, troppi messaggi, troppi media e tutto è troppo uguale. E soprattutto ci sono sempre meno tempo e attenzione. Inoltre, con le difficoltà degli ultimi anni di mercato, tutto è stato troppo timido e tutti hanno eccessivamente guardato nello specchietto retrovisore preoccupandosi di quello che facevano gli altri, anziché davanti a sé per capire cosa avrebbero potuto fare di nuovo  e di diverso.

 

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