I falsi miti attorno al branding nel b2b

I marketer che praticano i principi del brand building nel b2b hanno difficoltà 
a dimostrare il valore del brand: come crearlo, dall’equity all’attivazione (da Mark Up 328)

( * ) deputy head of brand strategy | Kantar

Tradizionalmente, si pensa che le regole di creazione di valore attraverso la marca valgano per il b2c ma non per il b2b, e i primi a pensarlo sono stati a lungo proprio gli addetti ai lavori. Ce lo confermano le interviste svolte da Kantar su un campione di c-level di aziende b2b, da cui sono emersi alcuni falsi miti che ancora circolano nell’ambiente: l’unica cosa che conta è il prodotto; bisogna privilegiare la performance e i risultati a breve termine; ciò che dà valore a un brand b2b è l’availability mentale e fisica, non serve differenziarsi; dato che l’acquisizione di nuovi clienti è difficile e dispendiosa, occorre concentrarsi sulla loyalty.

La sensibilità sta cambiando, nuove generazioni di marketer abbracciano e praticano i principi del brand building nel b2b, scontrandosi ancora però con la difficoltà di dimostrare ai propri stakeholder il ruolo del brand nella creazione di valore economico. I dati di Kantar BrandZ -la piattaforma che ogni anno da più di vent’anni raccoglie 400 studi di brand equity svolti da Kantar in 50 mercati al mondo in più di 500 categorie, per un totale di 17.000 brand monitorati- ci consentono invece di dimostrarlo. I dati ci dicono, infatti, che anche nel b2b come nel b2c, la brand equity è non solo una proxy della market share ma un predittore di crescita economica. A ulteriore conferma, dal 2006 a oggi la crescita finanziaria dei venti brand b2b più forti a livello globale è stata di un vertiginoso 258%.

La Meaningful Difference volano di crescita

I brand con una forte equity hanno tre caratteristiche in comune: sono Salient, cioè vengono in mente rapidamente; sono Meaningful, cioè riescono a soddisfare bisogni e aspettative rilevanti; sono Different, cioè capaci di distinguersi dai competitor. Tutti e tre questi ingredienti concorrono a generare l’equity dei brand, in una proporzione che cambia a seconda delle categorie. Sia nel b2b che nel b2c è soprattutto la Meaningful a impattare sull’equity, seguita dalla Salience. Per il b2b però la Difference è ancora più importante: concorre infatti per il 25% nel determinare l’equity, mentre pesa solo per il 20% nel b2c. Ecco sfatato uno dei falsi miti da cui eravamo partiti. Dati di BrandZ alla mano, sono soprattutto quattro i fattori che alimentano la Difference: essere Purposeful, cioè avere un impatto positivo sulla vita delle persone; essere Distinctive, cioè avere degli asset che rendano il brand facilmente riconoscibile; essere Specialist, cioè avere una competence verticale; essere Disruptive, cioè capaci di ridefinire le regole della propria categoria. Tra questi, il Purpose è il fattore più rilevante, la cui importanza è inoltre cresciuta nel tempo: dal 2015 a oggi, il suo impatto sull’equity è passato dal 13% al 15%. Questo dato, che sfata ogni falso mito sulla scarsa importanza degli elementi intangibili nel b2b, non ci deve stupire: il Purpose, concetto che dialoga intimamente con il tema della sostenibilità, è un criterio cruciale di selezione dei propri partner b2b in un’epoca in cui il Pnrr impone di valutarne attentamente i requisiti Esg.

Convertire la brand equity in sales

Una volta generata predisposizione, si tratta di non disperderla ma di saperla convertire in sales effettive; da un lato occorre portare in vita la propria brand promise in maniera efficace e coerente attraverso la customer experience, per generare advocacy e dunque repeat sales; dall’altro è necessario saper sfruttare le leve in market (Commerce) per generare immediate sales.

In questo ambito di activation della brand equity, la parola d’ordine dei brand b2b negli ultimi anni sembra essere consumerizzazione. Se prendiamo la CX, ci rendiamo conto infatti che benchmark e attese maturate nel mondo consumer stanno diventando riferimenti anche nel b2b, in una logica sempre più human to human. Questo fenomeno comporta una serie di implicazioni che insieme stanno innescando una rivoluzione copernicana nel b2b:

Omnichannel experience: la rapida ascesa della digitalizzazione ha decretato l’avvento dell’era della omnichannel experience anche nel b2b, richiedendo alle aziende un’accelerazione della loro digital transformation e sfide di execution non semplici (per esempio seamlessness, hyperpersonalization);

Hybrid relationships: ai tradizionali canali di relazione (per esempio sales rep) se ne affiancano di nuovi (eCommerce), imponendo di saper fornire al cliente una experience omnichannel integrata e fluida, e di comprendere il giusto bilanciamento tra digital e fattore umano lungo tutto il customer journey;

Social media & content: cresce la rilevanza nel customer journey dei social media (Linkedin), dell’influencer marketing e di nuovi canali (per esempio podcast), rendendo indispensabile padroneggiare nuovi strumenti di marketing;

Customer centricity: ascolto attivo e personalizzione, pratiche date quasi per scontate nel mondo b2c, pongono al b2b un cambio di mindset, con la necessità di predisporre sistemi di data management (anche Ai driven) e di adeguare l’experience erogata ai clienti.

Se pensiamo invece al versante Commerce, il trend di consumerizzazione avviene nella forma di una vera e propria conversione di molte aziende al d2c, in un’ottica di crescente disintermediazione favorita dall’eCommerce. Per cogliere l’opportunità rappresentata dalla transizione al d2c ci sono però alcuni passaggi da affrontare:

Think (and speak) like a consumer: dalla seo al content dei canali eCommerce, è indispensabile costruire una buying experience che sia consumer-friendly, a partire dal linguaggio;

Synergies are king: occorre saper sfruttare l’esposizione sul consumatore per consolidare l’equity anche presso i propri partner b2b; al tempo stesso, la leva pull sul consumatore può generare traffico e business nei canali distributivi b2b tradizionali;

Build (or buy) your brand: il passaggio al d2c implica un percorso di costruzione di una brand equity presso il consumatore finale, talvolta creando o acquisendo un brand appositamente pensato per questo scopo (e se questo brand è frutto di un’acquisizione, occorre saper gestire le implicazioni che tutti i processi di M&A comportano);

Know your customer: quando si apre un canale d2c, parlare di “consumatori” diventa fatalmente generico; è necessario identificare il target strategico a cui ci vogliamo rivolgere e costruire una value proposition Meaningul Different attorno a questa musa ispiratrice.

I brand con una forte equity sono Salient (si ricordano), Meaningful (soddisfano i bisogni), Different (si distinguono).

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