Human Retail per affrontare e vincere le sfide di questi anni

Il fattore umano può essere il driver principale per cambiare il retail. Non solo per rispondere alle sfide continue, ma anche per innestarsi come asset sociale

Sono movimenti epocali quelli che la società e l’economia sta vivendo. Da un lato il susseguirsi di crisi drammatiche, dall’altra il cambiamento degli stili di vita e soprattutto del rapporto che le persone hanno con il concetto di lavoro. Emerge una forte componente individualista, una tendenza a trovare “la propria soluzione” in modo totalmente avulso da quelle generali. Scema fino a spegnersi il concetto di “sacrifico” applicato al lavoro, ambito in cui le nuove generazioni valutano pro e contro come se fosse una delle tante opzioni e scelgono anche di non lavorare, lavorare in modo diverso, andarsene. Uno scenario in cui trovare addetti soprattutto in diversi ambiti diventa complesso, un po’ per i motivi menzionati, un po’ perché soprattutto in Italia, le remunerazioni non sono plausibili. Perché al di là di ogni studio e valutazione sociologica, un lavoro che, grazie al guadagno che garantisce, permette alle persone di realizzare le proprie vite, difficilmente viene abbandonato. Così, tra sussidi (necessari ad arginare la vera povertà che avanza), lavori fuori regola, stipendi anacronistici e scarse prospettive, il mondo del lavoro perde addetti, perde appeal, perde forza. Tra i tanti settori interessati, il retail e la ristorazione si trovano oggi a fare i conti con fenomeni come la great resignation o similari. E siccome la leva economica dei compensi è bloccata da mille vincoli (reali e speculativi), occorre un nuovo tipo di approccio, una trasformazione dei rapporti. L’idea di base è valutare se il retail con tutte le sue sfaccettature possa diventare un asset sociale o comunque possa collaborare in modo integrato al di la di fornire ai consumatori i beni che necessitano e uno stipendio agli addetti. Nasce così l’idea dell’human retail. Un asset sociale, non più e non solo un comparto economico dei servizi ma un hub su cui far convergere le necessità del bacino di utenza con le sue caratteristiche locali e di contesto. Una caratterizzazione legata allo spazio-tempo reale che punta a rendere al contesto non solo il prodotto al miglior prezzo possibile, ma una serie di correlati che possano davvero aiutare la società che vi orbita attorno a soddisfare le necessità. Questo il tema di fondo del Marketing & Retail Summit 2022 che si è svolto a inizio ottobre 2022 a Milano.

SPOSTARE IL FOCUS

Il retail è lo specchio della società. Il modo con cui si compra e si vende, le relazioni che si innestano e gli spazi che si occupano descrivono dettagliatamente la società in cui si esprimono. Estremizzando, si potrebbe studiare il passato, studiare i mercati che l’hanno caratterizzata, i quali possono dire moltissimo sui tempi e sui luoghi in cui si innestano. In Italia, con tempi più o meno vicini nel mondo occidentale, l’ingegnerizzazione del mercato del largo consumo attraverso la distribuzione moderna ha attraversato diverse fasi. Si è partiti con il trionfo del mercato di massa negli anni 50 (con una società costituita da nuclei famigliari numerosi e consumi tipicamente di una società in crescita), fino ad arrivare all’economia dell’esperienza, evoluzione dell’economia tipica del terziario avanzato. In mezzo c’è stato un mondo in evoluzione che ha visto l’ingresso e l’uscita di player di primo piano, la rimodulazione dei format, il sorgere e tramontare di concept ibridi e chi più ne ha, più ne metta. Diversi i driver di cambiamento: gli stili di vita ancorati alle società localizzate, i baricentri dei consumi, l’evoluzione tecnologica. Oggi si inizia a parlare di human retail. Una tendenza effimera o destinata a prendere piede? E soprattutto cosa si intende per human retail? La risposta non è univoca in quanto tradurne semplicemente il termine (commercio umano) determinerebbe una banalizzazione. Un punto di attacco possibile è quello di immaginare il paradigma del marketing tradizionale ribaltato. Il marketing studia un mercato, ne coglie i trend complessivi e mette a punto dei prodotti e servizi adeguati. Ancor di più, grazie all’innovazione, punta a creare nuovi bisogni e ovviamente le migliori strategie per soddisfarli. Negli ultimi anni, grazie alle tecnologie digitali, le logiche di scala sono cresciute a dismisura e così gli investimenti settoriali. Diversi i settori che sono esplosi come una supernova raggiungendo milioni di consumatori: in generale tutto ciò che legato al digitale, dalle piattaforme di eCommerce a quelle di contenuto in streaming e così via. Questi fenomeni sono tutti caratterizzati da elementi comuni: un offering che parte da un massivo broadcasting (si pensi alle serie tv e al calcio oppure ai milioni di prodotti in Amazon) per arrivare a una personalizzazione basata su meccanismi di profilazione esclusivamente individuali. A tutto questo si associa la totale dinstermediazione tipica del digitale online, smussata solo dal retail phygital con nuovi concept che puntano a un drive to store che parte dal web o dall’app per arrivare al punto di vendita fisico. In ogni caso, il consumatore è un set di dati sui quali i sistemi di marktech guidati dall’Ai insistono con proposte e offerte correlate al machine learing dei consumi pregressi. Ma questi sistemi analitici non conoscono nulla della vita sociale del singolo consumatore: al più conoscono le esigenze personali ma non, per esempio quelle familiari o del contesto lavorativo o del contesto sociale. A tutto questo si somma la disintermediazione tipica del digitale che rende ogni consumatore un “punto di consumo” di cui il retail conosce solo ciò che la collezione di scontrini generati nel tempo permette di conoscere.

L’ALTRA JOURNEY

La tecnologia applicata al retail ha fatto si che la competizione si sia progressivamente spostata non tanto sul prodotto (disponibile ovunque e in modalità multicanale) e non più sul pricing, ma sull’experience offerta. In questo universo percettivo vivono diversi elementi valoriali tesi a dare una soddisfazione unica al consumatore: da processi di acquisto iper fluidi fino a dinamiche molto ingaggianti che possono anche tracimare nel “fun”. Tutto questo è però una costruzione che considera il consumatore, meno la persona. Nel momento in cui si effettua un design esperienziale, il consumatore a cui si somministra il tutto è un target con alcune caratteristiche e il progetto mira a impattare sulla sua customer journey. Ma rimane il resto della “journey” che ne viene esclusa, ovviamente. Questo perché la dimensione del consumatore è solo un sub set della dimensione personale che ha correlazioni con lo spazio-tempo in cui è innestato molto più articolate e diversificate di quanto la conoscenza di un’abitudine di consumo possa portare a concludere. E tutto questo mondo può avere riscontro solo se è preso in considerazione dal retailing attraverso una conoscenza complessiva del contesto. Questo si traduce in un retail che preveda una relazione umana e che sappia leggere olisticamente la realtà in cui opera. In altre parole il suo bacino di utenza e la composizione dei propri addetti. Le persone, tutte, chi vende e chi compra, sono un mondo complesso e interagente che determina una muta influenza che vive in un preciso momento e in un dato spazio. Si può arrivare a dire che lo human retail è un tipo di retail in cui il focus non è il prodotto (o lo è in misura inferiore) ma il servizio inteso come relazione e modulazione dell’attività con il contesto in cui il singolo punto di vendita è calato.

EMPATIA NELLE CRISI

Come detto, lo human retail è stato il tema portante dell’intero Marketing & Retail Summit 2022. In particolare, secondo Accenture, lo human retail cambia il modo di approcciare la forza lavoro da parte dei retailer. In altre parole, le risorse umane che lavorano per un retailer non sono solo degli addetti che svolgono un’attività o un processo ma il tramite per trasferire i valori del brand ai propri clienti. È un passaggio importante perché si innesta in una fase in cui ripetute crisi, stanno mettendo alla prova molteplici capisaldi dell’organizzazione sociale.

Siamo in un’epoca di crisi continue che si susseguono colpendo in modo imprevedibile. Basti pensare alla crisi pandemica e alle ripercussioni su molti settori economici. Nessuno poteva prevedere che, superato il periodo di restrizioni, piombasse sul mondo economico e sociale una crisi energetica senza precedenti. In termini economici, queste continue crisi aggrediscono i redditi delle persone e la sostenibilità delle imprese che a loro volta, stressano forzatamente la propria forza lavoro attraverso politiche di contenimento dei costi. Così situazioni di lavoro sotto pagato, personale insufficiente, casse integrazioni ecc, fanno si che la forza lavoro si distacchi dalla causa comune nell’affrontare insieme le difficoltà. E così si assiste a fenomeni come la great resignation che evidenzia il forte malessere attuale delle forze lavoro. Nel retail come nella ristorazione, vi sono numerosi contesti dove non di trova personale. Ma ancor di più si tende a fare l’errore di considerare gli addetti del retail un elemento di processo e non parte del core business. Per Accenture la gestione del personale è un tema slegato al classico Hrm ma che copre dinamiche molto più ampie: gli addetti di vendita sono parte dell’offering, una parte importante e centrale. La loro gestione e valorizzazione fa parte del core business ed è l’elemento che permette di competere.

HUMAN RESOURCE: UN TREND DI ALLONTANAMENTO

A fonte di quanto detto, è un cortocircuito potenziale quello che oggi si sta verificando sul lato umano del retail. Gli addetti sono persone ed essi stessi clienti. Le continue crisi non solo abbattono la fiducia delle persone che vedono il loro potere di acquisto ridursi sempre più, ma aumentano anche la disaffezione verso il lavoro che oggi, spesso non è più la soluzione reddituale alla propria vita. L’ultimo studio pubblicato di Accenture attraverso i Fjord Trend mette in evidenza diverse sfaccettature del cambiamento in corso rispetto all’individuo che sta ridisegnando il mondo delle relazioni umane. È particolarmente eloquente il primo trend individuato: Come as you are (Siate voi stessi). Secondo Accenture le persone stanno rivalutando in profondità tutto ciò che determina la propria autonomia, puntando decisamente alla propria persona e incrementando l’individualismo. Non ci si sente più parte di un “noi” ma prevale il focus sull’”io”. Tutto questo a causa del contesto e di nuove opportunità come quelle offerte dai secondi lavori (side-hustle economy) che rendono poco vantaggioso inserirsi in situazioni tradizionali, molto sacrificanti e che non rispondono adeguatamente alle aspettative economiche. Sono diverse le opportunità legate ai secondi lavori e lo studio Fjord ne individua diversi: per esempio in Usa le persone arrivano a guadagnare una media di 10.972 dollari all’anno con attività secondarie: insegnamento, scrittura di blog/newsletter, affitto delle loro case, programmazione freelance e altro. Di questo fenomeno le imprese devono tenerne conto e soprattutto le imprese del retail che hanno rispetto la loro forza lavoro il fronte di relazione con la customer base.

DA CANALE A PIATTAFORMA

Secondo la vision di Accenture, lo human retail considera le persone come parte del core business. Se finora sono state considerate elementi necessari da inquadrare in una gestione di asset in backoffice, d’ora in avanti devono essere inquadrati nel core business dell’impresa in una piattaforma che connette e tratta i talenti valorizzandone le capacità. In altre parole, il talento delle persone come elemento centrale del business dei retailer. Questo approccio appare in generale sottovalutato ma è attraverso di esso che si riesce a rispondere ai bisogni non codificati di tutti. Questo vale per il consumatore ma anche e soprattutto per gli addetti. Engagement e mantenimento dell’attrattività di un’azienda retail sono elementi di competizione sempre più importanti. Altro fattore portante dello human retail sono le tematiche Esg. Si tratta di un elemento delicato e un po’ inflazionato ma di importantissima attualità. Il retail deve declinare la sostenibilità nella misura in cui riesce ad avere un impatto positivo sulla società facendosi carico di ben distinte problematiche. Per esempio, rimanendo nel mondo del lavoro, spostare i problemi di sostenibilità economica lungo la filiera (per esempio con cooperative o altro) è una pratica distorta ma ormai superata. Oggi il consumatore è attento a tutta la filiera e questa deve offrire una posizione sostenibile rispettosa delle persone. Su questo punto non si può più derogare. E se l’etica per alcuni non è una leva sufficiente lo è sicuramente il business che ne risente pesantemente. Questo perché le nuove generazioni puniscono i brand scarsamente sostenibili. Le nuove sfide si devono poter affrontare sfruttando tutti i propri punti di forza. La collocazione territoriale, il contesto, il potenziale del bacino di utenza sono asset di valore per il business ma solo se il retailer è in grado di rispondere a qualsiasi nuova sollecitazione senza impedimenti. Per questo motivo è necessario far si che la retail machine sia una piattaforma aperta e interoperabile, che possa integrare nella propria offerta qualsiasi prodotto o servizio senza vischiosità, anche sfruttando partner che di volta in volta si rendono disponibili. Oggi il retailing è un business sempre più fatto di dati, poi di prodotti. Senza pretendere che ogni soggetto si trasformi in una tech company come Amazon, diventa necessario che trasformi la propria organizzazione in una piattaforma cooperante per condividere dati, persone e servizi anche con partner esterni, in funzione delle opportunità di business. L’integrazione con il mondo esterno all’azienda senza frizioni diventa un must irrinunciabile.

MISSIONE: ATTRATTIVITA'

L’evoluzione del retail è un percorso complesso in cui si intrecciano tecnologie, stili di vita e di consumo, cambiamenti socio-economici. Un movimento globale che ha delle specificità locali. In questo contesto si innestano elementi di rottura come le crisi che si susseguono. Lo Human Retail riassume tutto ciò che risponde alle necessità e alle aspirazioni delle persone nel momento in cui interagiscono con il retailer.

Mark Up ha incontrato Matteo Arata di Accenture.

Matteo Arata AccentureCosa si intente per human retail?

Lo human retail è un nuovo approccio complessivo del settore, che consente alle organizzazioni commerciali di raccogliere la sfida di adattare l’offerta di lavoro e l’offerta commerciale al fattore umano. Oggi non ci si può aspettare che sia il dipendente/cliente ad adattarsi. Diventa sempre più necessario applicare un vero e proprio reset del retail che passa da una gestione di backoffice a una gestione integrata. Secondo uno studio globale di Accenture, il 57% dei dipendenti del settore retail dichiara di non essere adeguatamente considerato per il proprio talento e per il valore potenziale che può portare all’azienda. Questo impatta negativamente anche sulla crescita individuale e sulla capacità dell’azienda di mantenere attrattività. Fenomeni in corso come la great resignation sono una delle sfide per il retail che non possono essere trascurate.

Che tipo di approccio è utile per ingaggiare le risorse umane?

Oggi occorre prestare molta attenzione alla relazione tra azienda e dipendente. Accenture da sempre ha nelle risorse umane un elemento fondamentale per il successo del proprio core business. L’utilizzo delle ultime tecnologie può essere di grande aiuto in quanto consente di ingaggiare le persone efficacemente, di formarle e motivarle. Ad esempio lo scorso anno Accenture ha creato One Accenture Park, un luogo nel metaverso che ha lo scopo di fornire ai nuovi assunti, che si affacciano per la prima volta in azienda, la migliore esperienza e tutti gli strumenti necessari per affrontare al meglio ed efficacemente il nuovo percorso lavorativo. Al contempo rimane luogo di riferimento per coloro che sono già dipendenti: si va ad aggiungere e integrare agli uffici dove lavoriamo e ad altri strumenti digitali. Nell’anno 2021 sono stati 11.000 i nuovi dipendenti di Accenture che hanno utilizzato la realtà virtuale in fase di training e onboarding ed entro la fine del 2022 ci si attende di raggiungere le 150.000 persone.

Il concetto di piattaforma che introduce lo human retail in cosa si traduce nel concreto?

Con piattaforma si indica un modello che prevede la gestione di prodotto e servizio in termini commerciali aperti aggiungendo, quale elemento di core business, anche la gestione del talento degli addetti. I retailer devono sviluppare delle capability che permettano di interagire con partner esterni in modo da sfruttare qualsiasi opportunità: in altre parole cambiare l’organizzazione da monolite a ecosistema interagente con partner esterni a secondo delle opportunità. La gestione del talento nell’ambito retail ha necessità di essere sviluppata su ampia scala. Vi sono tuttavia degli esempi virtuosi che possono essere presi come esempio. Nel fashion e nel luxury gli addetti alla vendita sono dei veri brand ambassador. La sfida è portare questo approccio anche nel food & grocery e, in generale, nel retail a minore marginalità.

BCORP, una risposta

Il consumo di risorse ambientali, energetiche e umane è evidente. Il profitto fine a se stesso non è un modello sostenibile. Una presa d’atto di questa situazione viene dalle benefit corporation, aziende che ottengono una certificazione che garantisce un’azione positiva verso l’intero ecosistema. Le BCorp garantiscono che oltre le performace economiche a bilancio, corrispondano anche performance ambientali e sociali misurate in maniera oggettiva. Una presa di coscienza su temi etici e un allineamento alla sensibilità dei consumatori.

LAVORO: un lavoro imponente

Secondo i dati dell’Osservatorio Inps sul precariato, le dimissioni dal lavoro nei primi sei mesi del 2022 hanno raggiunto 1.080.245 unità. Un incremento del 31,73% rispetto al 2021 ma con un raddoppio dei licenziamenti di natura economica (da 135.115 a 266.640) a causa della fine del blocco imposto per legge per far fronte alla crisi Covid. Nel settore privato, nei primi sei mesi del 2022 il saldo tra cessazione e assunzioni è positivo con oltre 946 mila contratti in attivo: 4,27 mln di assunzioni circa contro 3,32 mln di cessazioni.

Alla ricerca di ENGAGEMENT

I dipendenti delle aziende non si sentono coinvolte nella propria attività lavorativa. Nel settore retail, il livello di insoddisfazione è di circa il 57% come indicato da uno studio di Accenture ma si tratta di situazioni anche eterogenee che dipendono molto dalle aziende in cui si lavora. Comunque, il fenomeno delle grandi dimissioni non deve essere letto solo con la lente dei numeri, ma anche in relazione a tutto l’ecosistema che vi ruota attorno. L’insoddisfazione nel mondo del lavoro spesso non sfocia nella dimissioni (la persona non ha alternative), ma in comportamenti di distacco che meritano attenzione: il fenomeno del “quiet quitting”.

COSA VUOL DIRE HUMAN RETAIL?

Abbiamo chiesto a retailer e discussant che partecipano al Marketing & Retail Summit il 5 ottobre una definizione per #humanretail, il filo conduttore del convegno. Ecco le loro definizioni:

"Come dice Kotler, la settima regola per il retail 4.0 è Be Human. Siamo pervasi dalla tecnologia nella vita di tutti i giorni con impatto ampio su ogni aspetto quotidiano. Ma siamo essere umani che necessitano di relazioni.

Da qui l’importanza delle persone: i retailer non devono dimenticarsene, ma anzi investire per differenziarsi e creare una esperienza unica".

"Da anni siamo abituati a parlare di big data, ma ancora oggi facciamo fatica a capire che dietro quei numeri ci sono persone, con bisogni (e sogni), aspettative (ed esperienze pregresse), preferenze (e pregiudizi). Da anni ci illudiamo che la tecnologia possa colmare il vuoto relazionale del moderno retail (abbattendo barriere tra eCommerce e brick & mortar), inseguendo la parola d’ordine della customer experience omnichannel. Oggi è tempo di accorgersi che il retail non esiste senza la sua dimensione umana, ovvero senza quelle relazioni che si basano sulla conoscenza, che a sua volta è fatta di scoperta e confronto. Il retail, insomma, è chiamato a riscoprire la sua autentica vocazione e dimensione umana -quello delle botteghe per intenderci- che mette al centro le persone (anche per ricordarsi dell’enorme impatto che hanno le sue scelte sulla natura e sul futuro dell’umanità)".

"Ci troviamo in un momento in cui le risorse risultano scarse. Il supermercato così come lo abbiamo conosciuto per decenni si trova “sotto attacco” sia dall’interno, con l’arrivo di nuovi format che puntano alla convenienza e alla rapidità come i discount, sia dall’esterno a causa dei nuovi player dell’eCommerce pronti a cambiare le abitudini dei consumatori. In tal senso, ci rendiamo conto che il futuro dei retailer, sia essi online o fisici, non sarà tanto la tecnologia quanto le persone e la loro soddisfazione. E con persone non stiamo parlando solo di consumatori, ma anche di collaboratori: chi avrà modo di comprendere questa tendenza si assicurerà un vero e proprio vantaggio competitivo".

"A me sembra tutto abbastanza semplice: le relazioni umane avvengono quando siamo fisicamente coinvolti. È innegabile che una mail sia meno umana di una chiacchierata. E questo avviene anche nell’esperienza d’acquisto: andare fisicamente in un punto di vendita crea una relazione umana con i nostri collaboratori, con i nostri clienti e con i prodotti stessi. Un’esperienza che con l’acquisto online non si verifica. Ma perché il retail possa essere definito human retail bisogna che all’interno degli store siano presenti servizio, socialità e sostenibilità, tre elementi fondamentali per dare la giusta attenzione al fattore umano negli spazi fisici. Il servizio si traduce in accoglienza, ascolto, competenza; la socialità in condivisione, confronto, scambio; la sostenibilità in una riposta sempre più necessaria per un pubblico attento al benessere proprio e del pianeta".

"Il retail è un incrocio tra il territorio, con le infinite particolarità del localismo, e le merci con le dinamiche delle categorie che l’industria porta avanti. Al centro di queste due logiche si trovano le persone. I dipendenti che rendono tutto questo possibile, che creano la differenza per il loro impegno e senso dell’accoglienza, e soprattutto i clienti che votano ogni giorno facendo la spesa per chi avrà la loro preferenza".

"Fare retail è servire il cliente! E servire si fa con persone accuratamente selezionate, formate e motivate. Questa è la parte più semplice, ma anche la più difficile del fare retail, perché le persone, per definizione, sono uniche, che siano commesse o impiegate o clienti non cambia. Il successo o l’insuccesso lo fa chi guida, il leader, e anche lui o lei è una persona".

"Formazione del personale e comunicazione interna sono leve fondamentali, oggi più che mai, perché i social hanno reso tutto più fluido e democratico. Lavoratrici e lavoratori vanno coinvolti di continuo nelle scelte aziendali, stimolati, informati. Quanti di loro potrebbero dare anche idee utili al management? Per comunicare ci affidiamo sempre più spesso agli influencer. Ma gli influencer ci sono già e senza costi aggiuntivi: sono i nostri colleghi. Sono loro che parlano bene o male dell’azienda con amici e parenti. Se non vengono mai coinvolti, se si sentono solo esecutori, se non capiscono le attività che poi devono spiegare alla clientela, che situazione si crea? Si spreca potenziale e i risultati sono palesi: forza lavoro demotivata, che fa il minimo sindacale per mantenere il posto di lavoro. 'Buongiorno, lo sa che questo miele è prodotto da una cooperativa di ragazzi down?' 'Davvero? Che bella cosa... mi racconti un po'' ".

"Il concetto di human retail è legato indissolubilmente a quello di empatia. Un’empatia che si deve sviluppare, costruire, valorizzare tra il personale di vendita e il singolo cliente. Ma anche, e soprattutto con l’evoluzione del commercio, tra coloro i quali sono a contatto con il cliente nell’ultimo secondo. Parlo del personale addetto alle consegne di eCommerce e qCommerce. Il sorriso, la capacità di vendere un’insegna nei tre secondi di consegnati a casa dei prodotti: anche questo è empatia. E poi, in generale, un’empatia tra cliente e insegna: sempre più il consumatore sceglierà l’insegna in base alla capacità di riconoscersi nei valori. Human retail significa empatia"

A volte la gestione delle dinamiche dei prezzi, la velocità delle promozioni, la mutevolezza degli assortimenti distolgono l’attenzione dai valori del brand, dalla piacevolezza della creazione di una shopping experience che noi di Banco Fresco cerchiamo di creare affidandoci al nostro capitale più grande, ricordando ogni giorno ai nostri collaboratori di essere “to be personal”. Fai come se l’azienda fosse tua!

 

Coverstory Mark Up n. 313, ottobre 2022

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