Grey market: il mercato parallelo del lusso

Esemplificazione della pratica economica dell’arbitraggio, il mercato grigio impatta sul retail di determinati settori in maniera sostanziale. Nuove tecnologie sono però disponibili a contenere il fenomeno

Il mercato grigio, grey market, è qualcosa di diverso rispetto al mercato nero, black market. Di fatti, il primo non rappresenta una realtà interamente illegale, tanto da sprofondare nel nero, quanto più una via di mezzo, appunto grigia, non ben definita, e al limite tra il legale e il non.
Bisogna tenere presente che il grey market, oltre che esistere nell’economia reale, ha pure una sua controparte nel mercato azionario. In questa fattispecie, il mercato grigio si presenta come il mercato dei titoli non ancora quotati ufficialmente in Borsa, e pertanto non soggetti a controllo da parte delle Autorità di Vigilanza dei mercati. Si può, quindi, anche trattare di un mercato ufficioso over the counter in cui vengono scambiati titoli che ancora non sono immessi sul mercato.

Concentrandosi, però, sull’economia reale, il fenomeno grey market si configura nell’azione di un cliente in un determinato luogo/Paese che acquista dall’azienda produttrice di un certo prodotto - a cui fa capo nella maggior parte dei casi un brand di prestigio - e interagisce in tempo reale con un possibile acquirente “terzo” che non può acquistare, per svariati motivi, in maniera diretta dalla fonte, ma è ugualmente interessato ai prodotti. Se tutto funziona, fa seguito una triangolazione di fatture, che ad un primo acchito sembra far rientrare tutto nei termini della legalità.
Quanto descritto aiuta ulteriormente a comprendere quanto il “colore grigio” di questo tipo di mercato stia nel canale distributivo: il grey market si muove fuori dai normali canali di distribuzione e per mezzo di società che possono non aver nessuna relazione con il produttore dei beni.
Rappresentando un esempio diretto della pratica economica dell’arbitraggio, essendo un modo di lucrare sulle differenze di prezzo presenti in luoghi diversi, il grey market configura come altamente impattante nel perimetro retail. È, infatti, un fenomeno assai critico e in forte crescita, e concentra nel fashion&luxury la fetta di mercato più coinvolta, per ovvie ragioni legate ad esclusività e scarsità. Infatti, secondo le stime dell’Osservatorio europeo sulle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale (EUIPO) e dell’OCSE, il mercato grigio è responsabile della perdita del 12% delle vendite, causando ai brand danni enormi in termini di reputation e di profitti che ammontano a circa 225 milioni di euro solo in Italia, il 4° Paese al mondo più danneggiato dopo USA, Francia e Germania.

Inoltre, anche la stessa pandemia da COVID-19 ha inciso su questo tipo di commercio, aggravando le tendenze esistenti. La tendenza principale delineatasi è stata costituita dall’intenso uso improprio dell’ambiente online. In una situazione di confinamento, i consumatori si rivolgono e avvalgono dei mercati online per soddisfare le proprie esigenze, determinando una crescita significativa della domanda online, che viene trattata da una pletora di piattaforme più o meno affidabili in termini di rispetto delle regole, contando spesso anche la complessità delle transazioni transfrontaliere. Quest’ultimo punto accade frequentemente nei casi in cui il prezzo di un articolo in un paese è superiore di molto rispetto ad un altro paese.
Ecco, quindi, che profumi e cosmetici, orologi e gioielli, borse, pelletteria, attrezzature fotografiche ed elettroniche in generale e persino liquori e vini sono i target principali, la “merce grigia” più apprezzata. In tal senso i brand proprietari sono sempre più attivi con soluzioni di contrasto e tutela, affidandosi alla tecnologia.
Questo tipo di azione, oltre che a salvaguardia degli interessi del brand, vuole anche arrivare sempre più, grazie ad attività ad hoc di comunicazione, alle orecchie dei clienti finali, la cui salute e i cui diritti vogliono essere maggiormente tutelati da contraffazioni o truffe (scam) a lungo termine.
Tra le soluzioni tecnologiche più in voga vi sono, ad esempio, quelle basate su sigilli elettronici, grazie ai quali i produttori possono certificare l'autenticità dei loro prodotti e monitorare in tempo reale movimenti non autorizzati delle loro merci. Il tag è dotato di funzione "anti-peeling" e protegge dal rabbocco fraudolento. Al contempo, i consumatori possono verificare l'autenticità dei prodotti in maniera “contactless”, semplicemente avvicinandovi il loro smartphone, tramite delle app o una connessione diretta NFC.
Questa è stata, ad esempio, la strada adottata da Authena, provider di soluzioni blockchain-based al mondo per garantire il tracciamento della supply chain, per tutelare i prodotti di profumeria del brand Masque, che ha potuto così garantire l’autenticità e la qualità dei suoi prodotti retail.
Un altro brand, come la maison Acqua di Parma, facente parte del gruppo Lvmh ha voluto puntare su un sistema di tracciabilità del prodotto basato sull’IoT, e nello specifico sull’utilizzo della tecnologia Rfid (“Radio-Frequency Identification”), implementata da 3rand Up Solutions.
In termini generali, il panorama di soluzioni sta diventando sempre più vasto e variopinto in termini di efficacia e usabilità per aziende e clienti.
È comunque molto utile, in questa fase, far conoscere quelle che sono le dinamiche di questi “corpi intermedi” dei mercati che si muovono in zone d’ombra, spesso complesse da valutare, tenendo a mente esigenze concrete legate alla presenza su mercato di prodotti contraffatti e pericolosi che possono arrecare danni alla salute dei consumatori, oltre che importanti ripercussioni per l’immagine dei brand. A ciò si aggiungono ulteriori altri problemi come ad esempio l’importazione illecita, ovvero il dirottamento di prodotti originali in mercati dove un brand non è presente. Tutte questioni su cui bisogna lavorare per ottenere maggiori tutele, sia fronte aziende sia fronte consumatori.

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