Negli ultimi mesi, il tema del greenwashing è tornato sotto i riflettori con nuove accuse che hanno coinvolto colossi di settori come il fashion e l’automotive. Tra nuove normative europee (Direttiva Ue 2024/825) e campagne social virali di denuncia di comportamenti ingannevoli, è naturale chiedersi: come si può comunicare la sostenibilità senza rischiare il boomerang della sfiducia?
Nel nostro studio (“Strategic communication and greenwashing: Theoretical reflections and managerial implications”), pubblicato su Sinergie Italian Journal of Management, sosteniamo che il greenwashing non è solo un problema etico ma, piuttosto, è un grave errore strategico. Le imprese che cadono in questa trappola rischiano di perdere le risorse immateriali più preziose nel contesto attuale: la fiducia e la reputazione. Eppure, la soluzione non è il mero silenzio sulle scelte di sostenibilità, ma una comunicazione strategica, trasparente e riflessiva.
In un’era di accresciuto scrutinio digitale, dove ogni affermazione tende a essere analizzata e decodificata, la trasparenza diventa cruciale. Questo non significa solo dire la verità, ma saper raccontare anche le complessità. Secondo un’ampia rilevazione della Commissione Europea (2021), il 42% delle dichiarazioni “green” delle aziende risulta ingannevole o poco chiaro. È il sintomo di un approccio che spesso privilegia l’apparenza alla sostanza, che provoca una crisi di credibilità che colpisce l’intera filiera di un settore e rischia di generare sfiducia nell’intero sistema produttivo. Adottare una prospettiva sistemica è essenziale: le imprese non devono solo comunicare le loro iniziative, ma anche vigilare su quelle della loro filiera. Altrimenti, il rischio è quello del “vicarious greenwashing”, fenomeno che si verifica quando le aziende subiscono ripercussioni negative sulla propria reputazione per errori, omissioni o comportamenti non etici dei loro fornitori o, comunque, dei partner nell’ambito della supply chain.
Una comunicazione efficace non può essere un monologo. Le aziende che vogliono costruire legittimità nel lungo termine devono investire nel dialogo con i propri stakeholder e nel loro engagement. Il coinvolgimento degli stakeholder è essenziale per prevenire pratiche autoreferenziali e costruire un consenso attorno alle iniziative di sostenibilità. Trattasi non solo di una buona pratica ma di una necessità strategica. Le accuse di greenwashing sono più frequenti quando la comunicazione è percepita come opportunistica o disallineata rispetto ai fatti. Esempi virtuosi vengono dalle imprese che integrano i feedback di consumatori e ong nei loro piani di sostenibilità. Questo approccio permette non solo di ridurre il rischio di accuse, ma di creare un circolo virtuoso di fiducia e collaborazione.
Ma cosa fare se il rischio di sbagliare è così alto da generare una sostanziale paralisi? Alcune aziende scelgono il “greenhushing”, ossia il silenzio strategico sulle proprie pratiche di sostenibilità, per evitare critiche o accuse di incoerenza. Evitare di comunicare le proprie azioni per timore di opinioni avverse può sembrare, nell’immediato, una scelta prudente, ma nel lungo periodo rischia di rivelarsi controproducente. In un mercato che ricerca sempre di più condizioni di trasparenza, il silenzio può infatti essere interpretato come una mancanza di impegno.
Il greenwashing è un sintomo, non la malattia. La vera sfida per le imprese è imparare a gestire la complessità della sostenibilità, in modo coerente e strategico. Questo approccio richiede non solo una comunicazione più riflessiva, ma una trasformazione culturale che privilegi la comunicazione strategica come asset fondamentale del management aziendale. Perché, in definitiva, la sostenibilità non è solo una promessa, ma costituisce un impegno che definisce il valore di un’impresa.
Per ulteriori dettagli: Vollero A., Siano, A. (2024). Strategic communication and greenwashing: Theoretical reflections and managerial implications, Sinergie Italian Journal of Management, 42 (3), 181-199. https://ojs.sijm.it/index.php/sinergie/article/view/1761/992
*Agostino Vollero, Full Professor of Management Università di Salerno
*Alfonso Siano, Full Professor of Management Università di Salerno