I pastai italiani di Aidepi (Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane), contestano alcune affermazioni fuori luogo emerse in occasione dell’ultima mobilitazione organizzata a Bari da Coldiretti Puglia per protestare contro le importazioni di grano estero. Si continua a parlare di “oltraggio, inganno e speculazione” ma si omettono delle precisazioni oggettive sulle caratteristiche qualitative della materia prima italiana.
Su qualità del grano e salute del consumatore non si scherza. I pastai italiani sono da sempre favorevoli all’indicazione di origine del grano in etichetta e alla trasparenza verso il consumatore, ma contrari a formulazioni che disorientano e confondono il consumatore sulla reale qualità della pasta che nulla ha a che vedere con l’origine delle sue materia prime. Si vuole far credere che la vera pasta italiana sia solo quella fatta con il grano italiano o che sia di buona qualità solo se viene prodotta utilizzando materia prima nazionale. Ma non è così: l'origine da sola non è sinonimo di qualità e non incentiva gli agricoltori italiani a investire per produrre grano di qualità con gli standard richiesti dai pastai.
“Non c’è nessun inganno nei confronti dei consumatori perché le etichette sono conformi alle normative vigenti. L’industria della pasta fornisce il massimo supporto al settore agricolo italiano del grano per riuscire ad avere una materia prima in linea con gli standard necessari per produrre la pasta più buona del mondo – sottolinea Riccardo Felicetti, presidente dei pastai di AIDEPI. E il vantaggio sarebbe reciproco se si riuscisse ad utilizzare solo grano italiano”.
Secondo l’Associazione, infatti, senza importazione di grano estero di qualità, gli agricoltori, paradossalmente, rischierebbero di vendere all’industria solo quello che raggiunge i parametri qualitativi della materia prima previsti dalla legge di purezza, che fissa le regole della qualità della nostra pasta (legge n. 580 del 4 luglio 1967). Il resto, senza il blend con grano estero di alta qualità, potrebbe essere venduto solo per l’alimentazione animale, con una perdita dei ricavi per gli agricoltori di circa il 50%. Quindi, l’import di grano duro di qualità salva più della metà della produzione nazionale, salva il mito della pasta italiana e salva anche l’occupazione di 120 aziende pastarie e 300mila aziende agricole italiane.