La società occidentale sembra spaccarsi in merito alle questioni dell’inclusione e del diversity: sui media si narrano le nuove storie di conflitto “razziale” negli Stati Uniti gestite a fatica dal presidente Obama. in un quadro così polarizzato nel racconto, le imprese si propongono come modelli di unione attraverso il marketing inclusivo. Resta un modello di riferimento il caso di Old Navy che ha usato su Twitter l’immagine di una famiglia con marito “white”, moglie “black” e figlio “biracial” per comunicare una sconto del 30%. Il messaggio ha generato su Twitter un’ondata di risposte razziste verso
le famiglie interraziali definite “frutto del lavoro di Satana”. Il rigurgito sociale non ha fermato Old Navy, che ha deciso di continuare a pubblicare tweet con messaggi positivi di amore e d’integrazione, foto di famiglie miste e l’hashtag #LoveWins. L’inclusione semplicemente funziona in termini etici e di business. Il fatturato di Mattel è esploso grazie all’incredibile successo delle Barbie di diversa etnia e forma fisica. Quando Facebook ha celebrato la prima elezione del 1920 nella quale le donne americane ottennero il diritto di voto, ha dovuto gestire un momento di crisi reputazionale: nel 1920 votarono infatti solo le donne bianche, dal momento che le donne di colore non potevano ancora partecipare al voto. Il marketing inclusivo supera il concetto di diversity management: non si tratta di promuovere specifiche azioni di riconoscimento verso questo o quel target. Si tratta di ridiscutere in modo complessivo gli unconscious bias, ovvero i pregiudizi inconsapevoli, che spesso condizionano in modo negativo il processo di definizione delle strategie di marketing.
Gli opinionisti di Mark Up – Andrea Notarnicola
Occhio alle imprese che uniscono (da Mark Up n. 254)