In un paese dove la disoccupazione giovanile si colloca da anni oltre il 35%, non di rado, accade che un’azienda interessata ad assumere una persona portatrice di competenze legate alle nuove professionalità (soprattutto del mondo digitale), non la trovi, se non dopo lunghe e faticose ricerche. Perché si verifica questo paradosso? Com’è possibile che molte imprese debbano avviare percorsi formativi interni per risolvere il problema dello skill shortage, (letteralmente, carenza di abilità)? La risposta è complessa e nasce dalla rapidità con cui l’innovazione ha accelerato la sua corsa, in tutti i settori, grazie, soprattutto, alla diffusione della rete internet e alla connettività pervasiva che hanno favorito la condivisione delle informazioni a livello globale. Su questo elemento sistemico si è innestato un ritardo strutturale nell’adeguamento dei percorsi scolastici e della formazione professionale insieme a una elevata resistenza all’innovazione da parte di una percentuale importante del management aziendale e, purtroppo, dell’intera società. Il risultato della combinazione di questi elementi è un paese, l’Italia, che, invece di trarre grandi vantaggi dall’era digitale, l’era dove la carenza di materie prime non è più un forte limite allo sviluppo, si trova a dimenarsi in una situazione di perdurante stagnazione economica e di elevatissima disoccupazione. Occorre davvero una svolta e ogni cittadino può essere un promotore del cambiamento, innanzitutto aprendosi all’innovazione ed esigendo una classe dirigente altrettanto aperta e realmente convinta della necessità di un cambio di marcia. Solo in questo modo la percentuale della disoccupazione giovanile potrà davvero diminuire.
Gli opinionisti di Mark Up – Massimo Giordani
I paradossi del mercato del lavoro - di Massimo Giordani digital architect