Food Court il centro della socialità

Lo spazio della ristorazione diventa l’area destination del centro commerciale. Dove la somministrazione di servizi diventa quasi naturale, se è privilegiata la componente umana (da Mark Up n. 269)

Negli ultimi anni, il progresso tecnologico e la globalizzazione hanno accelerato un processo di trasformazione delle economie mature da una connotazione industriale a una basata sul terziario avanzato. Un fenomeno che, tra i molteplici risvolti, ha impattato sulle persone mixando i tempi di lavoro con quelli privati, ha contratto e dilatato il tempo libero a disposizione, ha determinato uno shift dei valori percepiti dei beni, ha reso la società liquida anche nelle modalità. La concomitanza di questi fenomeni con l’aumento della mobilità ha innescato e fatto esplodere il fenomeno del social network. Si può dire che, il modo di vita delle società ad economia avanzata mostra un elevato grado di compatibilità con l’integrazione delle piattaforme social. In altre parole, si usa molto il social network perché si vivono modalità e si dispone di tempi che consentono di farlo. Tuttavia, nel mondo accelerato in cui si vive, ogni fenomeno è destinato a evolvere velocemente e le relazioni digitali sono diventate “infrastrutturali” in quanto sono il network sul quale viaggiano i flussi informativi. Tuttavia è emerso forte, è tornato vigoroso, il valore della relazione diretta. La necessità di dare valore a momenti “fisici”, sia che si tratti di business sia di tempo libero. A questa esigenza rispondono e risponderanno sempre più le città moderne, capaci di convogliare e dare servizi adatti all’espressività delle comunità attuali in tutti gli ambiti. Ma il tessuto urbano è soprattutto di tipo connettivo: uno dei benchmark con cui l’Ocse misura il grado di sviluppo di una città è l’estensione della rete di trasporto pubblico per la mobilità interna. Dentro questo tessuto connettivo si stanno sviluppando hub innovativi dove le persone condividono delle esperienze.

Da sempre, il social network fisico si può individuare nella piazza della città. Un luogo reale (non virtuale), crocevia di persone e di attività. Nella città fulcro del terziario le piazze, intese come luoghi di aggregazione, si moltiplicano e soprattutto diventano mobili. Gli eventi, per esempio, danno a spazi vuoti significati variabili con il calendario e la programmazione. In questo contesto, il centro commerciale diventa un luogo di sintesi in quanto concentra il retailing, architrave della società dei consumi, con un set di servizi spesso distribuiti nel contesto urbano. Tuttavia, il centro commerciale ha un dna differente dal progenitore, quel destination posto al di fuori del centro urbano, con i big box per gli approvvigionamenti massivi. Stiamo parlando del centro commerciale urbano, spesso fulcro di un processo di gentrificazione che rivede e interpreta il ruolo della socialità. Certo un esempio in questo senso è City Life a Milano, sorto nell’ex area della Fiera di Milano e oggi caso di studio. L’area effettua un reset del tessuto urbano canonico e individua un distretto circoscritto di tipo residenziale, quindi un’area verde costellata di orti urbani, il centro direzionale con i grattacieli e, come luogo di aggregazione sociale, il centro commerciale. O meglio, la food court del centro commerciale. Questa è posta infatti al piano zero ed è accessibile direttamente dall’area verde antistante. Massima accessibilità dall’interno ma anche dall’esterno, grande area disponibile e un layout attrezzato per consentire anche lo stazionamento oltre il momento di consumo.

Il centro commerciale, interpretato in chiave urbana con food court quale elemento di socialità, mette quindi in pratica un cambio di paradigma di cui tenere conto. La food court con annessi servizi anche ludici (il cinema per esempio) diventa il magnete, scalzando da questo ruolo l’ipermercato. Che sparisce e diventa supermercato ad elevato tasso di valori evocativi. Nel centro commerciale tradizionale (destination, ai bordi della città) il login si faceva entrando nell’ipermercato; nel centro commerciale urbano il login diventerà sempre più spesso la food court. Anzi il supermercato alimentare, prima elemento di login, nel centro commerciale urbano diventa elemento di logout, luogo ultimo di frequentazione prima di lasciare il centro commerciale stesso. La food court assume quindi il ruolo di piazza del centro commerciale che, essendo uno dei tanti hub urbani, è facente funzione della piazza. Ma in modo evoluto. Una piazza connessa, climaticamente protetta, che non aspetta altro che di essere riempita di contenuti di un rinnovato marketing.

Nuovi paradigmi di progetto

La progettazione di una food court richiede la valutazione di molteplici aspetti. Mark Up ha incontrato Tomaso Piantini di arcHITects per approfondire il tema.

Quali sono le progettualità più recenti che ha affrontato?

Abbiamo riprogettato il quinto piano del Centro Commerciale Campo di Fiori di Gavirate, in provincia di Varese, attraverso due macro progetti: l’area della food cort con quattro punti di vendita e l’area del cinema. Questa, di nuova apertura, è complementare alla food court stessa.

Quali sono state le richieste?

Per la parte di food court la richiesta è che … non sembrasse una food court! Massima fruibilità degli spazi anche al di fuori dell’orario di servizio. Si tratta di una food court di dimensioni limitate che non deve avere l’apparenza di uno spazio vuoto.

Allo stato attuale, quali sono i limiti delle food court esistenti?

Tranne alcune eccezioni, le food court sono caratterizzate dall’essere tendenzialmente anonime. Più precisamente, si identificano facilmente all’interno del centro commerciale, ma difficilmente evidenziano qualche elemento distintivo che dia unicità.

Come si ovvia a questa minus?

Noi cerchiamo di progettare questi spazi come se fossero una piazza. Si tratta di riprendere concetti che sono patrimonio della storia italiana: dalle piazze coperte, ai campi e campielli di Venezia, dove si concentravano le attività commerciali. Questo è il punto di partenze di un progetto e nel centro commerciale di Gavirate abbiamo potuto mettere in pratica questa filosofia grazie a una committenza illuminata.

Quali sono le dicotomie tra le esigenze del consumatore e quelle di un gestore?

Quest’ultimo spesso si trova a ragionare nella logica di massimizzare la superficie nella sua funzione d’uso commerciale, pensando che uno spazio lasciato libero, sia buttato. Invece questo è ciò che vogliono le persone: uno spazio libero dove trovare la propria dimensione.

Cosa intende per “dimensione” personale del consumatore?

Una food court deve offrire la possibilità di stazionare anche liberamente in solitudine, in compagnia, oppure per fare qualcosa che non sia solo consumare del cibo. Deve offrire un porto franco che lo protegga dal bombardamento delle informazioni che vivono in un centro commerciale. E in questo contesto, si può raggiungere questo obiettivo con servizi di ristorazione a valore.

Come si progetta una food court orientata all’utente?

Tavoli con sedie, panchine, sedie singole, sgabelli in prossimità di luoghi particolari, aree di disimpegno ecc. Quasi un un luogo di coworking o di socializzazione. Come avviene a Campo dei Fiori.

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