Flying Tiger Copenhagen, un business davvero originale

I motivi del successo di un'insegna che ha messo a punto un modello organizzativo che prevede una partnership paritaria con la casa madre. (da Mark Up n. 252)

Nata 21 anni fa in Danimarca dalla creatività di Lennard Lajboschitz, partito come venditore e aggiustatore di ombrelli nella piazza centrale di Copenhagen, oggi conta 650 punti di vendita a livello internazionale, con l’Italia seconda nazione per fatturato: stiamo parlando di Tiger, insegna specializzata in prodotti design, conosciuta anche come il fast fashion del design. Dal primo giugno ha modificato il proprio marchio in Flying Tiger Copenhagen per porsi nuovi obiettivi, soprattutto a livello di sviluppo internazionale. “Il mercato europeo è consolidato e per arrivare ad una rete di 1.500 store entro il 2020 bisogna guardare altrove, Usa e Corea, in primis”, spiega Roberto Valvo, Ad di Tiger Italy 2, una delle tre società che operano nel nostro Paese, che racconta le prospettive future dell’azienda e le sue caratteristiche distintive.

Il vostro modello di sviluppo è particolare. Ce lo spiega?
La crescita nei diversi Paesi avviene attraverso la creazione di una società in una partnership al 50% tra la sede centrale e ogni operatore locale, con chiare distinzioni dei compiti: la casa madre si occupa di marketing, prodotto, visual merchandising, layout, mentre il partner locale è concentrato sull’operatività; si occupa dell’offerta, della ricerca delle location, della gestione del personale e dell’amministrazione. È una gestione molto fair, che funziona nello stesso modo in tutto il mondo, anche dopo che il fondatore ha venduto il 70% dell’azienda a Eqt, il più grande private fond scandinavo. In Italia operano dal 2010 tre società: una al Nord, una al Sud e una al Centro, la Tiger Italy 2, per metà di Frida Srl -di mia proprietà- e per il rimanente controllata dalla casa madre tramite la società Zebra A/S. A differenza del franchising, la casa madre non è interessata solo al sell-in del punto di vendita, ma anche al sell-out finale e al buon andamento dello store, con effetti virtuosi per entrambe le parti.

Allora, parliamo di assortimento ...
Ogni negozio acquista i prodotti che ritiene più opportuni per il proprio mercato, scegliendo tra 18 mondi e gli eventi stagionali (come Natale, Halloween, Pasqua), momenti di grandi vendite. Si tratta di prodotti divertenti, originali e disegnati dai nostri team interni.

Spieghiamo il format ...
Uno solo, uguale per tutti, ovunque: circa 200 mq, oltre al magazzino, con percorsi prestabiliti, che comprendono anche prodotti food, nella parte finale del percorso, per lo più snack e bibite. Solo a Genova abbiamo maperto un Tiger Cafè, che unisce l’esperienza di Tiger a quella della socialità all’italiana, con eventi di arte e cultura. Inoltre, nel nostro flagship di Piazza Venezia a Roma abbiamo realizzato uno spazio ludico dove i clienti pissono giocare liberamente a calcio balilla o a ping-pong, lavorare al pc, usare il wi-fi, semplicemente rilassarsi e ricaricare i cellulari.

Come è stato lo sviluppo in Italia?
Tiger Italy 2 ha aperto il primo store a Roma nel dicembre 2012, ma negozi Tiger erano già presenti a Nord. Il grande successo del primo negozio ci ha permesso, con il cash flow realizzato, di aprirne altri tre l’anno successivo. Il risultato oggi è una rete di 24 negozi, attivi in Lazio, Marche, Umbria, Abruzzo e Molise (per noi Muam) che hanno fatturato, nel 2015, 18 milioni di euro. E pensare che l’accordo iniziale prevedeva che aprissi 12 store in 5 anni ...

Una crescita che manterrete anche nel prossimo futuro?
Non c’è un limite massimo di negozi per territorio: a Copenhagen, che ha 1 milione di abitanti, sono attivi 18 negozi; a Roma, con circa 4 milioni di abitanti, ce ne sono 16 punti di vendita. Credo ci sia spazio per altri store, non oltre 24. Fuori dalla capitale, tra Lazio e centro Italia, prevediamo mcirca 40 negozi. Al Nord saranno molti di più. Del resto la strategia di Tiger è chiara: i partner devono aprire rapidamente nuovi negozi e reinvestire gli utili in nuove aperture.

Con questi ritmi, non correte il rischio di saturare i bacini di utenza?
No, perchè come succede da Ikea, Zara e H&M, c’è sempre voglia di acquistare le ultime novità: come dice il nostro fondatore, da Tiger si possono sempre trovare “prodotti di cui si ha bisongo, che si sono sempre desiderati o di cui non si immaginava l’esistenza!”.

Quali le location privilegiate?
Vige la flessibilità massima; non esistono regole: se il conteggio mprofit&loss è in attivo e porta Ebdt, apriamo. Certo, con uno scontrino medio piuttosto basso (7 euro), che, per reggere dal punto di vista economico, richiede l’emissione mediamente di 400 scontrini al giorno, circa 12mila al mese, i centri cittadini, con il loro flusso continuo di clientela la settimana, rappresentano la soluzione ideale.

Ha collaborato Barbara Trigari

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