Fiducia nel digitale come tassello fondamentale nella customer relationship

La pandemia ha influenzato gli italiani nella loro attitudine al digitale. Un esempio al riguardo arriva dal rinnovato ruolo del customer service, sempre più digitale e caratterizzato da un’empatia data driven

La pandemia ha rivoluzionato la percezione rispetto all’innovazione digitale. Le nuove tecnologie hanno, di fatto, catalizzato l’attenzione dei più che, per dovere o per piacere, hanno trascorso buona parte di 2020 e del 2021 in corso incollati agli schermi, familiarizzando sempre più con l’ecosistema digitale.

Questa abitudine all’uso del digitale si concretizza in una sempre più sentita forma di “digital trust”, fiducia nel digitale, che se, da un lato, abilita un rapido e funzionale progresso tecnologico con i relativi benefici in termini di semplificazione di determinati task lavorativi e di possesso di informazioni strategiche, dall’altro, presuppone un delicato “lavoro di cura” dei dati delle persone e un costante impegno nella costruzione e nel mantenimento della relazione con il cliente che deve essere sempre più personalizzata ed empatica. Un uso dei dati che, quindi, abilita un’ “empatia data-driven”.

Il digitale ha, infatti, tra le sue enormi potenzialità quelle di fare della persona stessa l’oggetto dell’innovazione tramite i suoi dati, che devono però essere raccolti ed utilizzati in maniera conforme alla legge (leggi sulla privacy e ora Gdpr in primis, nascono con questo scopo) e alle aspettative del singolo. È questo uno dei campi fondamentali in cui si gioca la partita della fiducia nel digitale, specie a fronte di utenti sempre più informati e consapevoli al riguardo.

Sussiste, quindi, una connessione tra boom e recessione dell’attenzione al digitale e la fiducia che un player digitale è capace di ispirare e far nutrire, tenendo sempre a mente che una profilazione “positiva” dell’utente, nel rispetto di tutte le regole, è la vera chiave transizione dall’economia del disturbo, in cui l’utente viene “disturbato” con beni/servizi indesiderati, all’economia dell’attenzione, in cui all’utente viene offerta la migliore esperienza possibile.

A supporto di questo ragionamento è possibile citare un recente studio di Nuance Communications, Inc., azienda specializzata in innovazioni di intelligenza artificiale conversazionale che, in collaborazione con OnePoll, ha preso a perimetro di ricerca undici Paesi a livello globale, e ha indagato lo scenario globale post-pandemico per far luce su ciò che i consumatori si aspettano oggi dal servizio clienti dei brand. Il servizio clienti, infatti, in quanto filo diretto con i clienti, può ben rappresentare l’elemento strategico per comprendere se e quanto le interazioni digitali rimarranno la norma e come le aziende possono guadagnare competitività facendo leva su soluzioni tecnologiche capaci di favorire una migliore esperienza online.

A tal proposito, dalla ricerca di Nuance emerge chiaramente che anche dopo la pandemia i consumatori preferiranno interagire con i brand attraverso i canali digitali rispetto a farlo di persona: si tratta in media di ben quasi tre adulti su cinque (58%) a livello globale, percentuale che in Italia è addirittura più alta e arriva a toccare il 62%. Tuttavia, non sono solo i consumatori tricolore ad esser stati influenzati dalla pandemia nella loro attitudine al digitale: la preferenza per interazioni digitali con i brand raggiunge ben il 70% in Messico, seguito da Germania (66%) e Svezia (65%).

La ricerca, inoltre, sottolinea come praticità e velocità rappresentino i fattori più comuni per la scelta del mezzo di comunicazione preferito (che siano telefonate, e-mail, chatbot, assistenti virtuali e applicazioni mobili, ecc.), mentre il parlare con un "vero" essere umano segue a ruota. Questi risultati dimostrano che i consumatori sono sempre più a loro agio nell'utilizzare la tecnologia per fare acquisti o accedere a servizi, pur aspettandosi che i brand offrano un approccio di tipo umano quando richiesto.

Tutto ciò rende evidente come il ruolo del customer service in era Covid-19 sia come non mai quello di “brand ambassador” capace sì di cogliere e modularsi sulle esigenze del cliente, ma anche di veicolare le specificità e i valori del brand in questione. Interessante citare, in questo frangente, uno dei KPI (Key Performance Index) fondamentali in riferimento al servizio clienti, ovvero il “Customer Effort Score” (CES),  che mira a quantificare il livello di soddisfazione percepito dal cliente nella risoluzione del proprio caso. Questo indicatore, se letto alla luce dell’incerta situazione socio-economica e  alle preoccupazioni legate alla crisi sanitaria, rafforza la correlazione messa in luce da una ricerca di Gartner, azienda di consulenza strategica e ricerca attiva a livello mondiale, già nel 2018 e recentemente aggiornata, tra Customer Effort Score e Customer Loyality (CL). Tale correlazione diretta fa sì che, secondo le evidenze di Gartner, il 96% dei clienti che interagiscono con un elevato Effort (High and Very High) tenda ad essere meno leale nei confronti del marchio in quanto sottoposto a maggiore “sforzo” e frizioni nel ricorso al bene/servizio, rispetto al 9% dei clienti con una interazione a basso Effort (Low and Very Low). Assicurare una “Low-Effort Experience” è, quindi, impattante in termini di maggiore lealtà da parte del cliente e, nel complesso, ad una maggiore fiducia verso il brand, specialmente nell’ambito del digitale dove la percezione di “barriere” e di distanza può essere maggiore.

La fiducia nel digitale, di fatto, alimenta il cosiddetto “Connected Customer”, il cliente digitale, a suo agio tra i diversi touchpoint e, quindi, omnicanale. Curare la relazione con il cliente, presidiando e interagendo con quest’ultimo nei suoi canali preferiti, oltre che assicurare un’elevata sicurezza in rete (ricorrendo anche a sistemi di autenticazione tecnologicamente avanzati come quelli basati sul riconoscimento biometrico, piuttosto che a PIN e password) aiuta  migliorare l’esperienza complessiva del cliente.

“Complice l’affermazione di nuove priorità da parte dei consumatori – ovvero comodità, velocità e, in ultima analisi, il portare a termine una attività – per le organizzazioni diventa un imperativo sviluppare strategie per offrire esperienze digitali sempre efficienti ed efficaci, soprattutto per retailer, banche e aziende di servizi. Da processi di autenticazione sicuri e agili, alla gestione intelligente delle chiamate e alla live-chat, è importante che la tecnologia sia in grado di indirizzare le esigenze specifiche dell'utente finale, pur garantendo la possibilità di passare a un intervento umano nel momento in cui è richiesto” ha dichiarato Saverio Ricchiuto, sales director, Enterprise di Nuance Communications. “Consolidare queste interazioni richiede un approccio integrato che non solo aiuta un'organizzazione a comprendere l'intento del cliente, ma anche identificarne le esigenze e personalizzare la sua esperienza su ogni singolo canale, da quello personale a quello telefonico, fino al web e al mobile. Con la pandemia che sta creando una crescente fiducia, confidenza e preferenza tra i consumatori nell'utilizzo della tecnologia nelle proprie interazioni con i brand, sarà fondamentale che le organizzazioni prioritizzino l'offerta di esperienze digitali superiori se vogliono fidelizzare i clienti e rimanere competitivi”.

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