di Anna Tuteur e Pasquale Quaranta Think&Link
Mancano poche settimane all’apertura di Expo 2015 e tra gli eventi più attesi ci sarà Fab Food, una mostra dedicata all’alimentazione industriale sostenibile promossa da Confindustria e curata insieme al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano con la collaborazione di 10 associazioni del sistema.
Fab Food, che sarà all’interno di Padiglione Italia, racconterà il modello alimentare italiano: da un lato, la storia dei produttori, le tradizioni, la loro capacità di scegliere le materie prime e di lavorarle; dall’altro, lo sviluppo scientifico e tecnologico che ha permesso, negli anni, di ottenere prodotti alimentari sempre migliori.
Per capirne di più, abbiamo incontrato Lisa Ferrarini, imprenditrice e donna di successo, oltre che vicepresidente di Confindustria con delega all’Europa.
Dagli ultimi dati, il Pil italiano sembra ritornato, se pur di poco, a crescere. Una casualità o un segnale da tenere in considerazione?
Non è una casualità: spero che questa fase sia semplicemente la coda della lunga crisi che da tempo sta affliggendo il nostro Paese. Nel 2013, il Pil italiano aveva registrato un -1,9%, preceduto da un -2,4% nel 2012, anno in cui abbiamo toccato il fondo.
Oggi non possiamo fare stime precise: per quanto riguarda il comparto alimentare abbiamo bisogno di un biennio per capire meglio le prospettive anche perché la situazione sta cambiando anche da un punto di vista culturale. Da un lato, la multietnicità in campo alimentare ci porta verso consumi diversi creando bisogni alternativi; dall’altro, le famiglie italiane, anche per colpa della crisi, fanno molta più attenzione al cibo.
Un fatto, però, è certo: con le dovute riforme questo Paese può ricominciare a correre.
Che peso ha e che ruolo può assumere l’industria alimentare italiana nell’ambito di un’ipotetica crescita economica?
Forte secondo me. Come comparto food, dal 2007 al 2014 abbiamo perso il 3,5% della nostra forza contro il 24,4% dell’industria totale. Questa differenza di 21 punti dimostra che il mondo alimentare è veramente anticiclico e i suoi prodotti, adottando politiche espansive, potrebbero far da traino all’intero sistema industriale italiano.
Naturalmente ci vuole un grande impegno da parte del Governo, primo fra tutti quello di abbattere le barriere tariffarie: certo la loro assenza aiuterebbe le esportazioni. Attualmente abbiamo un bilancio attivo di 34 miliardi, 400.000 addetti ai lavori e 56.000 imprese che ogni giorno provano a produrre ed esportare.
Se si aiutassero le imprese semplificando i sistemi, si potrebbe arrivare al grande obiettivo di 50 miliardi di esportazione.
A questo scopo, basta abbattere solo le barriere tariffarie?
No, bisogna puntare alla creazione di aree di libero scambio. Facciamo un esempio: un grande problema per gli imprenditori italiani è la guerra tra Russia e Ucraina che coinvolge anche tutta l’Europa. In questo momento, in Russia noi, nel senso sia italiani sia europei, non riusciamo ad esportare, ma, al nostro posto, arrivano aziende sudamericane, che, una volta insediate, difficilmente cederanno la loro fetta di mercato.
Questo vuol dire che il Made in Italy va difeso e valorizzato in modo diverso dal dire solo: “Siamo italiani e abbiamo prodotti italiani top”.
Un altro aspetto molto importante è il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), l’accordo commerciale con gli Usa: bisogna che Unione europea e Stati Uniti, aree molto regolamentate, trovino un accordo al più presto per liberare e creare nuove energie dal potenziale mai visto.
È ottimista su questo accordo?
Lo sono di natura e sono convinta che questo accordo potrebbe far scuola. Credo che ci riusciremo perché tutti trarrebbero benefici. L’obiettivo è creare un’immensa area commerciale nella zona atlantica; se così non si verificherà, gli scambi passeranno sull’area del Pacifico e noi diventeremo un’area povera per i prossimi 1500 anni. Naturalmente, è anche una questione di mediazione e di volontà.
In che termini l’Expo può essere un’opportunità per l’industria alimentare italiana e per la gdo?
Credo che Expo possa essere un’opportunità per tutti: in questa occasione, l’industria alimentare porterà solo eccellenze, quelle che, esportate, hanno creato il Made in Italy nel mondo, grazie a capitani coraggiosi che, nel corso dei decenni passati, hanno creduto e puntato sull’export avendo a disposizione poche risorse, oltre che poche certezze. Detto questo, come sistema confederale, per le aziende, abbiamo organizzato numerose iniziative. Federalimentare, ad esempio, ha realizzato un padiglione ben articolato dove dimostreremo, attraverso una grande mostra in parte finanziata dall’ICE, tutte le nostre capacità di fare “cibo sicuro” nel rispetto della tutela dell’ambiente e del consumatore.
In più ci sarà la mostra Fab Food, organizzata da Confindustria e da altre associazioni: sarà una vetrina della rinomata eccellenza alimentare italiana in grado di nutrire in modo sano, con qualità, in quantità sufficiente e a un prezzo accessibile.
Per tutte queste ragioni sono convinta che, per quanto riguarda la distribuzione moderna, Expo rappresenterà un’opportunità che la farà crescere soprattutto culturalmente: la nostra gdo si confronterà con il resto del mondo, cogliendo l’occasione per pensare a come migliorarsi. Sarà una cosa meravigliosa.
Si parlerà anche di industria sostenibile, probabilmente ...
La sostenibilità è il risultato di ricerca e innovazione. Un’azienda non sostenibile non ha mai puntato sulla ricerca. Fab Food dimostrerà, invece, la forza del rapporto tra chimica e mondo alimentare, tra tradizione e tipicità sostenuta dal mondo scientifico.
Qual è la ricetta vincente per ricominciare a crescere secondo Confindustria?
Il nostro deve diventare un Paese che investe in ricerca e sviluppo, un Paese digitalizzato e con una burocrazia snella. Solo così aumenteremo il nostro livello di competitività. Non possiamo più vivere di congiunture momentanee come il cambio euro dollaro, il piano Juncker, le iniziative di Draghi e così via. Tutto questo non è più sufficiente. Dobbiamo fare programmi di lungo periodo perché siamo al primo miglio di un percorso lunghissimo, che dovrà basarsi su riforme strutturali serie come è stato fatto in Germania.
Là, la riforma del lavoro è stata realizzata venti anni fa da Gerhard Schröder, che non venne rieletto per quella riforma impopolare, di cui Angela Merkel beneficia da quindici anni!
Inoltre, bisogna abbassare le tasse. Come imprenditori abbiamo grandi responsabilità e altrettanti doveri, ma dobbiamo essere messi nella condizione di operare e oggi in Italia abbiamo la più alta pressione fiscale al mondo.
Basta pensare che in Paesi europei a noi molto vicini si ha una pressione fiscale pari al 19%; nel nostro Paese si arriva al 55%.
Per quanto riguarda, invece, la questione relativa all’Irap, siete rimasti delusi dalle scelte dell’Esecutivo?
No, lo sforzo c’è stato. Va detto che questo Governo con la legge di stabilità ci ha aiutato riducendo il costo del lavoro e con il Jobs Act ha rimosso qualche freno. Ma siamo ancora agli inizi. Non mancano altre questioni aperte.
Tra le priorità, la contraffazione: finora in Europa non siamo riusciti a trovare una soluzione a questo problema; per questo dico che non abbiamo bisogno di un osservatorio, ma di un commissario sulla materia.
Il nostro tessuto industriale si basa prevalentemente sulle Pmi. Le politiche di internazionalizzazione possono rappresentare un’opportunità per uscire da un ambito di produzione e di vendita prettamente localizzato nei nostri territori?
Assolutamente sì. A mio avviso, bisognerebbe creare delle piattaforme logistiche in vari Paesi del mondo attraverso il contributo della grande distribuzione.
Questi hub serviranno a veicolare i nostri prodotti a livello internazionale, creando una vera e propria rete di imprese; in questo modo, le Pmi dovranno preoccuparsi soltanto di creare eccellenza, mentre il lavoro dell’esportatore verrà assegnato ad altri, trattandosi di un lavoro che le Pmi, per cultura e capacità finanziaria, non riuscirebbero a fare da sole.
Torniamo ai rapporti con la gdo: Confindustria ha presentato alla Commissione europea una denuncia contro la reverse charge, misura introdotta con la Legge di Stabilità 2015, non ancora operativa ma al vaglio degli organi comunitari. Cosa pensate di ottenere con la vostra iniziativa?
Ritengo la reverse charge un disastro totale. Esattamente: un disastro totale, una violenza nei confronti della distribuzione, del produttore e del consumatore.
La vostra posizione sulla reverse charge è molto chiara e mira a difendere anche i diritti della gdo. Pensa che questa battaglia possa essere un’opportunità per Confindustria di diventare l’unico punto di riferimento come rappresentanza del comparto?
Mi piacerebbe moltissimo, perché è in questi momenti che l’unione fa la forza. Credo che solo dialogando potremmo trovare soluzioni condivise.
Abbiamo parlato di Expo come di una grande opportunità per tutti, sulla cui buona riuscita il Governa si sta impegnando. È lo stesso Governo che ha approvato la reverse charge e, successivamente, l’Imu agricola. Non lo trova contraddittorio?
L’Italia è il Paese delle contraddizioni. Ripeto: bisogna ridurre la pressione fiscale, non aumentarla, altrimenti questo Paese non riuscirà mai a ripartire.
Anche l’approvazione dell’Imu agricola, quindi, può essere considerata un disastro?
Assolutamente sì. È un doppio disastro.
E che dire a proposito di un eventuale aumento dell’Iva ...
Non credo ci sarà: ucciderebbe la ripresa.