La feed economy vale 127,5 miliardi di euro e impegna 891 mila aziende. È quanto emerge dal report promosso da Assalzoo (Associazione nazionale tra i produttori di alimenti zootecnici), in collaborazione con l’ente di ricerca indipendente Nomisma, presentato al Senato.
Lo scopo è fare emergere la connessione tra la mangimistica e il consumatore finale come spiega Michele Liverini, vicepresidente di Assalzoo, associazione che riunisce 100 aziende che rappresentano il 75% del comparto. “Il primo anello della catena vale quanto l’ultimo perché tutto parte dall’alimentazione degli animali”, afferma Liverini. Porta l’esempio dell’albo dei mangimi di cui si nutrono i bovini che forniscono il latte dedicato alla produzione del Grana padano dop. “La filiera parte da noi che siamo un patrimonio italiano responsabile e sostenibile”. Sottolinea quindi la sostenibilità del settore, che da sempre è impegnato in un utilizzo virtuoso di economia circolare con il riutilizzo degli scarti alimentari dell’industria e dell’agricoltura.
Il report fotografa dunque l’economia derivante dal feed, il mangime, all’apice della catena produttiva che lega la produzione agricola, l’allevamento, la trasformazione industriale e i servizi commerciali. Una filiera che viene letta per la prima volta in maniera unitaria, evidenziando come il prodotto finale che arriva sulle tavole del consumatore abbia una stretta connessione con il ruolo fondamentale svolto dalla mangimistica.
Si giunge al valore di 127,5 miliardi di euro sommando il giro d’affari della componente agricola dedicata all’alimentazione animale (che con circa 20 miliardi rappresenta il 15% del totale); della produzione alimentare legata alla zootecnica (che con circa 51 miliardi di valore rappresenta il 40% della produzione complessiva); della spesa alimentare degli italiani (che con altri 57 miliardi circa, vale il 44% del totale). Dei 127,5 miliardi 71,1 sono rappresentati dal giro di affare derivante da agricoltura e alimentare, e 56,4 miliardi da spesa alimentare.
Mangimistica in crescita ma pesa la guerra in Ucraina
Ersilia Di Tullio, responsabile Nomisma del report, spiega che la produzione mangimistica italiana negli ultimi anni ha subito un incremento, rallentando però nel 2022 soprattutto a causa del conflitto russo-ucraino. “L’industria mangimistica usa le materie prime agricole che in questo momento scarseggiano: il disinvestimento in colture come mais e soia, che sono quelle che importiamo di più, il mais dall’Ucraina, la soia dal Nord America, ci ha portato a questa situazione di rallentamento”.
“Dipendiamo dall’esterno per il mais –afferma anche Liverini– importando il 60% del nostro fabbisogno mentre la Francia è autosufficiente al 120%. Questo ci costringe a importare non più dall’Ucraina, ma da paesi lontani come il Nord America, in cui spesso si fa uso di ogm”.
L’industria mangimistica al 2021 contava su un fatturato di oltre 9,6 milioni di euro, derivante per il 68% dai mangimi composti, per il 21% dal pet food, e per l’11% dai premiscelati, ed era in crescita dell’11,6% nel periodo 2017-2021. Nel 2022 l’inversione di tendenza con l’apertura del conflitto russo-ucraino che ha portato a una contrazione del -4,3%.
Un calo che oggi viene portato all’attenzione istituzionale con il report. Di Tullio, infatti, fa osservare quanto la feed economy abbia un peso non solo economico, ma qualitativo arrivando in modo importante sia all’horeca che alla gdo. In particolare nel retail arriva il pet food, i prodotti derivanti da animali di allevamento, quindi la macellazione, il pesce, i prodotti lattiero caseari, i salumi, le uova, le conserve. Quindi, considerando che il 70% del mais e il 95% della soia sono destinati ai mangimi zootecnici, la scarsità della superficie destinata a queste colture in Italia è largamente insufficiente a coprire il fabbisogno nazionale.
Mangimistica, il governo vuole spingere sul made in Italy
Il senatore Luca De Carlo ha sottolineato a questo proposito come sia importante sviluppare il nuovo concetto di agricoltura e rendere maggiormente attrattivo questo tipo di imprenditoria in Italia per tornare a produrre cereali di qualità. Ugualmente Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, ha rilevato che “con una produzione annuale di oltre 15 milioni di tonnellate di mangimi distribuiti in tutto il mondo dagli oltre 400 stabilimenti, l'Italia si conferma un pilastro nella nutrizione di una vasta gamma di animali. Il fatturato complessivo del comparto sfiora i 12 miliardi di euro e registra una crescita del 23% rispetto allo scorso anno”. Tuttavia, ha aggiunto, “è un successo non immune dalle minacce delle sfide internazionali che interessano il comparto, a partire dall'aumento dei costi delle materie prime e dalla contrazione produttiva dovuta all'aviaria, solo parzialmente compensata dai risultati particolarmente positivi dei prodotti per il pet food, per la filiera bovina e l'acquacoltura. L'industria dei mangimi ha dimostrato una capacità e una determinazione ammirevoli nel fronteggiare le attuali sfide congiunturali –ha dichiarato Urso- non solo avete mantenuto attive le linee produttive, ma avete garantito quella qualità e continuità che sono indispensabili per il nostro prestigioso agrifood. L'impegno congiunto ora si deve concentrare sulla ricerca scientifica e sulla valorizzazione di tutta la filiera nazionale, per rispondere alle esigenze di un mercato internazionale che mostra un crescente desiderio dei prodotti alimentari made in Italy”.
Nelle conclusioni Liverini ha sottolineato la necessità del report per dimostrare quanto il settore agro-zootecnico-alimentare sia una filiera fondamentale in termini di valore, di produzione e di occupazione: “Un comparto troppo spesso sottovalutato, o addirittura denigrato, nonostante sia determinante per garantire un bene comune come la sicurezza degli approvvigionamenti alimentari, e che attraverso i suoi prodotti rappresenta una componente fondamentale della dieta tipica del nostro Paese apprezzata nel mondo".