Dopo diversi passi falsi, infinite polemiche e incomprensioni (più o meno volute), parrebbe scorgersi all’orizzonte una sorta di consapevolezza collettiva in chiave europea di giocare due partite comuni: una sanitaria contro il virus e l’altra economica contro l’inevitabile recessione che il lockdown e tutte le altre misure restrittive causeranno, tentando la mission impossible di non sprofondare in una vera e propria depressione economica. In questa scia si colloca il risultato dell’Eurogruppo del 9 aprile 2020, ovvero l’organo informale dell’UE che riunisce i ministri degli Stati membri dell’euro zona. Tale risultato si presenta come un compromesso, che non ha, quindi, per sua natura né vincitori e né vinti.
Il documento finale dell’Eurogruppo mette nero su bianco un piano del valore complessivo da 1000 miliardi di euro. In questa cornice, quattro risultano essere gli elementi chiave che emergono da tale compromesso: MES, BEI, SURE, e Recovery Plan.
Il MES, ovvero il Meccanismo Europeo di Stabilità, altresì chiamato Fondo salva-Stati, assume temporaneamente una nuova veste, per cui gli sono sospese le condizionalità d’accesso che lo caratterizzano. Più nello specifico, questa azione è definita “Pandemic Crisis Support”, e prevede che la dotazione del MES, ammontante a 410 miliardi di euro, venga messa a disposizione esclusivamente per l’emergenza Covid-19 senza condizioni. Va ribadito che questi importi saranno accessibili al prestito soltanto per coprire i costi diretti e indiretti dell’emergenza sanitaria, e solo per il 2% del Pil di ogni Paese: per l’Italia significa che non ci si potrà spingere oltre i 36 miliardi.
La BEI, ovvero Banca europea per gli investimenti, rientra nel quadro dell’accordo con ulteriori 200 miliardi di euro, che potranno arrivare alle imprese tramite l’attivazione di un Fondo di garanzia dei paesi europei di 25 miliardi. Tale azione consentirà alla BEI di reperire sui mercati fino a 200 miliardi da convertire successivamente in prestiti agevolati alle imprese, con un'attenzione particolare alle PMI.
Il SURE, acronimo di “Support to mitigate Unemployment Risks in Emergency”, è lo strumento recentemente messo in pista dalla Commissione europea, facente le funzioni di una sorta di “cassa integrazione europea”, proprio perché a supporto delle reti di sicurezza nazionali contro la disoccupazione. Questo meccanismo, previa approvazione legislativa dei singoli parlamenti nazionali che andrà necessariamente velocizzata, potrà sbloccare fino a 100 miliardi di euro per integrare strumenti come ad esempio la cassa integrazione italiana o il Kurzarbeit in Germania.
Il Recovery Plan costituisce la parte più ambiziosa (anche in termini di solidarietà) e allo stesso tempo vaga dell’accordo. Tra i punti fermi, come già ricordato, vi è la consapevolezza della necessità di predisporre altri strumenti a copertura di ulteriori 500 miliardi di euro, rinviando una decisione in proposito, però, ai capi di Stato e di governo del Consiglio europeo. Vi è, tuttavia, il riferimento al prossimo bilancio EU 2021-2027, già definito dalla presidente Ursula von der Leyen il cuore del “piano Marshall” europeo contro la crisi da Covid-19, che prevede, però, tempi lunghi di negoziazione ed approvazione.
Parlare di “strumenti finanziari innovativi, coerenti con i Trattati europei” non meglio specificati per affrontare la crisi restituisce quel senso di quella che è stata definita “ambiguità costruttiva”, propria del lessico della diplomazia europea. Emerge chiaramente come, in questa fase, sia sparito dal tavolo qualsiasi riferimento agli Eurobond, così fortemente voluti dall’Italia e da altri paesi del sud Europa, carta che probabilmente sarà riproposta, indipendentemente dalle sue realistiche o meno possibilità d'approvazione. Infatti, bisogna tenere presente che si tratta di un processo negoziale ancora nel pieno del suo svolgimento e che, quindi, ogni giudizio sarebbe parziale perché possibilmente confinato ad una parte del tutto. L’auspicio è che la macchina europea proceda su binari di maggiore coesione e comprensione reciproca, realizzando che l’interconnessione delle economie a livello mondiale (e a maggior ragione europeo) è talmente forte che l’effetto domino sarebbe inevitabile.