L’etichetta è stata sdoganata come un vero e proprio media per “parlare” con i consumatori. Quest’ultimi sono, infatti, sempre più consapevoli e attenti nelle scelte d’acquisto, che vogliono essere informate, per quelle che sono le loro implicazioni socio-ambientali.
Tutto questo fa sì che l’etichetta, così come il packaging, non possa essere lasciato al caso, ma debba essere il frutto di un’attenta riflessione, a partire dalla scelta delle materie prime utilizzate e dal design. L’urgenza della questione ambientale è, infatti, tale che un ripensamento di sistema in ottica green non sia solo un vezzo di moda, ma una necessità pervasiva a tutta la società, che deve improntare ogni attività fin dalla sua origine.
Ciò conferisce al “design” un ruolo strategico nel determinare un cambio di rotta concreto e pensato, e ciò anche nell’ambito del food labelling e packaging, ma non solo. Non è un caso che la Commissione europea, a guida Ursula Von der Leyen, abbia voluto decretare come obiettivo primario per questa legislatura, un’Europa come primo continente a impatto climatico zero entro il 2050, affiancando a ciò la rifondazione di un nuovo movimento Bauhaus europeo. Nella pratica ciò si traduce in una piattaforma collaborativa del design e della creatività, in cui scienziati, architetti, artisti, scienziati, ingegneri, designer e chiunque desideri contribuire possa avvicinare il Green Deal europeo ai cittadini e porre al centro della vita quotidiana il riciclo, le energie rinnovabili e la biodiversità. Se si riconosce il cibo come elemento essenziale con cui tutti devono entrare in contatto e servirsene per vivere, si capisce come un ripensamento anche solo degli aspetti di etichetta e imballaggio, per non voler addentrarsi ora in tutte le complesse dinamiche della produzione, possa avere un impatto fortissimo.
In questo contesto, il ruolo della comunicazione ambientale a tutto tondo dà un contributo fondamentale nella creazione di catene del valore circolari. Bisogna possedere un know-how specifico che possa accompagnare i produttori lungo tutto il ciclo di vita del prodotto, iniziando appunto con la selezione e l'uso consapevole delle materie prime, seguito da una progettazione ecocompatibile ottimizzata e da diverse soluzioni di “fine vita”: il tutto reso fruibile e informativo per i consumatori finali dalle già citate “etichette parlanti”. Ciò dimostra come affidarsi a servizi di etichettatura con una vision green possa rappresentare un tassello strategico per implementare nuove soluzioni per etichette e imballaggi più intelligenti e eco-friendly, utilizzando, ad esempio, etichette rimovibili per consentire il riutilizzo.
Interessante in tal senso è il contributo dell’Istituto Italiano Imballaggio che ha redatto la Carta Etica del Packaging che stabilisce una serie di linee guida a cui dare seguito per un’etichettatura sostenibile, e ribadisce come, in ultima istanza, tutte le persone siano soggetti implicati in un sistema di progettazione, produzione, utilizzo, consumo e riuso dell’imballaggio, sottolineando l’importanza di porre al centro il consumatore. I sostenitori della Carta si impegnano così a operare in coerenza con i suoi dieci punti, a darne opportuna diffusione e proporre iniziative per promuoverne i contenuti. Nello specifico, poi, i dieci punti della Carta Etica sostengono che l’imballaggio debba essere responsabile, equilibrato, sicuro, accessibile, trasparente, informativo, contemporaneo, lungimirante, educativo, e sostenibile.
L’idea di fondo è quella che il labelling possa essere esso stesso esemplare, essendo messo a punto con una gamma di materiali che generino meno rifiuti durante il loro ciclo di vita, rispetto alle etichette standard, e riducano le emissioni generate dalla produzione e dal trasporto. Questo tipo di etichette possono così essere responsabili di un impatto positivo quantificabile in termini di riduzione delle emissioni di anidride carbonica e di maggiore capacità delle foreste di rimuovere le emissioni di anidride carbonica espressa come CO2 (il famoso Carbon Footprint menzionato in tutti i documenti ufficiali a tema clima degli ultimi tempi). Tutto ciò è molto importante perché spesso, anche i consumatori più attenti e accorti, nella pratica della vita quotidiana non hanno contezza del danno ambientale derivante dalla produzione alimentare, che non è attualmente riflesso nei suoi prezzi. Puntare, quindi, sul packaging e sul labelling per avere “etichette climatiche” che vengano incontro alle esigenze dei consumatori flexitarian (termine che nasce dall'unione dell'aggettivo flexible e dal sostantivo e aggettivo vegetarian), oltre che avere importanti risvolti sociali procura un vantaggio competitivo. Secondo un sondaggio condotto tra i consumatori in Europa, negli Stati Uniti e in Sud America a cura del Boston Consulting Group per conto di Trivium Packaging, il 74% dei consumatori è disposto a pagare di più per soluzioni sostenibili.
Nello specifico dei prezzi nella GDO, poi, sono stati fatti esperimenti in Germania dal gruppo Rewe, e della sua catena Penny in quel di Berlino (Berlin-Spandau), che hanno portato proprio alla sperimentazione delle sopracitate “etichette climatiche”, basandosi sullo studio dei tre ricercatori tedeschi Maximilian Pieper, Amelie Michalke e Tobias Gaugler che, in un recente articolo scientifico per Nature Communications, hanno messo in luce quale sarebbe il reale costo delle diverse categorie alimentari, se, nei processi di produzione, fosse incluso pure il loro impatto sull’ambiente. I tre ricercatori, affiliati rispettivamente all’Università tecnica di Monaco di Baviera, all’Università di Greifswald, e all’Università di Augusta, sottolineano pure come manchino ancora, a livello mondiale, delle analisi economiche approfondite e dettagliate su quelle che sono le esternalità ambientali e sociali del settore agricolo, che è per antonomasia uno dei principali emettitori di gas serra. Tra le maggiori evidenze risultanti dallo studio emerge come la carne da allevamenti convenzionali, con una percentuale maggiorata del 146%, è la causa di emissioni più elevate.
Accanto a queste sperimentazioni, si possono annoverare anche quelle nel“Edible electronics”, ovvero nell’elettronica commestibile, che ha lo scopo di realizzare dispositivi elettronici biodegradabili e assimilabili dal corpo umano, le cui ricerche sono portate avanti in Italia dall’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT). Gli usi commerciali dell’elettronica commestibile rivelano un grandissimo potenziale per il comparto retail, e in primis, per la realizzazione di etichette intelligenti che permettano di controllare la qualità di un prodotto alimentare, e direttamente applicabili su quest’ultimo, e poi permettendo al consumatore di ingerire di fatto anche l’etichetta, evitando di produrre ulteriori rifiuti.
Da quanto fin ora sottolineato, l’ambito dell’etichettatura sostenibile appare più che mai in fermento innovativo, con anche la presenza di certificazioni di terze parti che si esprimono in etichette ecologiche e dichiarazioni ambientali ricollegabili a standard internazionali, che stanno cercando di svolgere un ruolo di garanzia in un mondo che continuamente registra casi di green washing e reati ambientali.
La strada verso il 2050 per un continente a impatto climatico zero è lunga e tortuosa, ma affidarsi a partner competenti per definire e ripensare il proprio labelling per i propri clienti e stare al passo di tutte le innovazioni del settore è la mossa vincente per ritrovarsi competitivi e mitigare il cambiamento climatico.