I temi Esg in generale e Csr in particolare sono sugli scudi da anni. Tuttavia, la loro traduzione non è sempre nitida nel percorso evolutivo d’impresa. Mark Up ha incontrato Josef Nierling, amministratore delegato di Porsche Consulting Italia.
Le tematiche Esg sono in primissimo piano da alcuni anni. Le ultime crisi hanno determinato nelle imprese un rallentamento della loro applicazione?
Occorre dire che il tema della Csr e in generale dell’Esg, è presente nelle agende dei ceo da alcuni anni. Tuttavia, l’avvicendarsi di continue crisi a partire dal Covid, ha inevitabilmente spostato l’attenzione del management sulle soluzioni necessarie per gestire il contingente inaspettato. Un fenomeno nato con il Covid e proseguito con la crisi in Ucraina che ha mandato in crisi molte catene di fornitura. Nonostante questo, dal nostro osservatorio, possiamo dire che le imprese non hanno comunque allentato la presa sul tema. Diverso è il discorso per le Pmi che avevano e hanno difficoltà strutturali per tradurre in azioni concrete ciò che è legato alla sostenibilità ambientale e dei propri dipendenti. Un nostro recente studio in materia ha dato dei risultati eloquenti: solo il 4% delle imprese indagate ha integrato questi temi nella propria strategia. Altre hanno messo in campo progetti legati alla Csr/Esg ma si tratta di casi isolati, avulsi dalla strategia complessiva. Tornando all’ultima crisi ancora in corso, la guerra in Ucraina ha spostato le catene del valore in quasi tutti i settori. E in queste situazioni, possono emergere elementi di criticità anche in ambito Esg.
Quali i tipi di criticità?
Un cambiamento delle catene di fornitura ha costretto le imprese a rivolgersi altrove, a cambiare fornitori. Se pensiamo a tutte le materie prime provenienti dalle aree interessate dalla guerra, è facile concludere che senza alternative, molte imprese avrebbero rischiato la continuità aziendale. Tuttavia, lo spostamento dei fornitori genera dei contraccolpi anche importanti. Per esempio, tornando al settore agroalimentare, come risposta ai mancati approvvigionamenti da Russia e Ucraina, il mercato si è rivolto altrove innescando investimenti in America Latina, necessari per poter dare risposta alle imprese alla ricerca di alternative. Questo ha spostato gli equilibri inducendo i nuovi fornitori ad aprire nuovi canali di approvvigionamento per sostenere l’extra produzione. In sintesi, questa dinamica ha cambiato gli equilibri in essere. E questo determina dei rischi, anche e soprattutto di reputation in ambito Esg in quanto la necessità di reclutare nuovi fornitori velocemente, collide con la necessità di verificare che quest’ultimi rispondano ai requisiti standard abbracciati dall’impresa cliente in termini di sostenibilità ambientale e condizioni sociali sui lavoratori.
In generale, oggi le aziende vivono i temi Csr/Esg come opportunità o costo aggiuntivo?
Dipende dall’approccio. Se la sostenibilità è vissuta come elemento strategico di competitività allora è sicuramente un’opportunità di business. Se invece si tratta di un progetto aggiuntivo, diventa un corpo estraneo all’azienda e quindi anche un costo. In generale, quest’ultimo caso, si traduce in una dinamica d’impresa finalizzata alla difesa della propria reputation oppure alla minimizzazione dei rischi. In questo momento occorre dire che l’accezione strategica è in essere in poche imprese: la maggior parte investe (poco) in progetti tattici. Tuttavia con queste scelte si rinuncia ad acquisire un vantaggio competitivo.
Come la scelta sostenibile può generare un vantaggio competitivo?
Se le imprese puntano sulla sostenibilità complessiva, allora possono puntare a livelli di posizionamento più redditizi. Il consumatore dimostra infatti di accettare un premium price se ciò che acquista è oggettivamente sostenibile. Inoltre, facendo della sostenibilità un elemento di sviluppo strategico, si ottiene un accesso migliore e più facilitato ai capitali. Ultimo ma non meno importante, un’impresa strategicamente orientata alla sostenibilità diventa attrattiva per i talenti che, in ultima analisi, sono i soggetti che determinano il successo di un’azienda stessa. In linea di massima diventa necessario abbandonare la linea di pensiero che conduce a una dicotomia tra sostenibilità e profitto: un’impresa deve necessariamente puntare al profitto ma generando un benessere sociale. Da questo punto di vista le imprese diventano oggetti sociali parte integrante di una comunità.
Quindi l’impresa deve puntare a un ruolo diverso da quello tradizionale?
Le aziende sono fatte di persone e sono parte di una comunità. Ma ancora di più, a mio modo di vedere, le aziende sono uno dei principali driver di innovazione formando in continuazione le persone. Dobbiamo considerare che la popolazione lavoratrice adulta, riceve formazione dall’impresa in cui lavora, impresa che quindi concorre alla crescita sociale. Quantificando, secondo i nostri studi, il trasferimento della conoscenza alla popolazione adulta da parte delle imprese vale il 45% del complessivo, determinando un ruolo centrale delle aziende stesse nella sensibilizzazione delle proprie persone sui temi della sostenibilità che, a cascata, si trasferisce all’intera società.
Le imprese hanno oggi una struttura specifica dedicata al Csr?
Nel passato le strutture dedicate di Csr erano tradizionalmente vicine alla comunicazione. Oggi le aziende più lungimiranti portano il Csr su ruoli più strategici impattando su prodotti e persone. Questo shift organizzativo prevede che il background di base non sia quello del marketing e comunicazione ma quello del prodotto e delle persone. Oggi il mondo del lavoro assiste a fenomeni come la great resignation e big quit. Quanto tali fenomeni sono correlati a un approccio alla Csr inadeguato? Con il fenomeno del Covid il modo di lavorare è cambiato notevolmente. Questo ha mutato gli assetti tra vita privata, attività lavorativa e rapporto lavoratore/impresa. Da qui si è sviluppata una rapida e grande trasformazione, innescando un bisogno di nuove competenze e persone. Inoltre, a una fase di taglio e riduzione delle risorse dovuto alle chiusure, si è succeduta una fase di picco della domanda. E questo ha determinato un forte turnover. Non credo quindi che i fenomeni della great resignation siano legati a un tema di Csr, piuttosto a un cambio del mercato.
In conclusione, qual è il percorso più efficace per un’interpretazione strategica dei temi Esg/Csr nelle imprese?
Le persone devono sentire che il loro successo è legato al successo dell’azienda. E che il successo dell’azienda è determinato da una transizione culturale in cui i temi Esg sono strategici e la Csr strumento per il trasferimento del nuovo purpose alle persone che lavorano e alla società stessa.