Editoriale| Scarti o risorse?

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Passare da lineare a circolare è la sfida che sempre più aziende raccolgono. Per vincerla è necessario un cambio di passo culturale che coinvolga tutta l’organizzazione

Mai come in questo momento “fare bene” è premiante, oggi che dalla fedeltà (cieca) si è passati alla fiducia (guadagnata), investire in greening non solo è giusto ma anche remunerativo, basti pensare all’economia circolare: con i costi dell’energia alle stelle, chi ha saputo passare dal modello lineare a quello circolare, sicuramente, può congratularsi con sé stesso. Ma non è mai troppo tardi, molte aziende stanno intraprendendo questa strada, anche se l’economia circolare non è una cosetta che si fa in un paio di mesi e nemmeno uno stunt per compiacere il marketing, non si porta in azienda con uno schiocco di dita ma prevede un lavoro lungo, una rivisitazione dei processi e delle menti.

Ha ragione Alessandro Paciello che, nella storia di copertina di questo numero, dedicato, per l’appunto, allo stato dell’arte dell’economia circolare nel nostro Paese, afferma che serve un’umanocrazia: nulla ha senso, niente è sostenibile se l’essere umano non è messo al centro. “Dobbiamo riprendere la visione di Olivetti che la società e l’economia si devono basare su valori spirituali. L’economia circolare è anche legata ai valori e all’intangibile, non solo alle materie” conclude Paciello. Alla fine si torna sempre lì, alla persona, ai suoi valori, a ciò che dovrebbe distinguerci in quanto umani; esseri pensanti in grado di provare emozioni, sentimenti e le aziende, le organizzazioni ne sono il mero frutto, un’estensione di quel pensiero, di quello spirito. Proprio per questo, l’economia circolare, come altre scelte aziendali di cambiamento ed evoluzione etica o green, sono importanti, importanti per i frutti che offrono, importanti per il pianeta ma anche perché specchio di una cultura aziendale che ha un “valore”.

Attenzione alle aziende che questo valore lo dimenticano, lo lasciano inaridire, che pensano che fare azienda bene significhi avere un più a fine anno, perché i più spariscono, perché i talenti non germinano sui terreni inariditi e perché lo sfruttamento delle risorse, anche quelle umane, alla fine ti lascia senza risorse. E poi smettiamola di chiamarle “risorse” e cominciamo a considerarle “capitale” umano, essere circolari è anche questo: saper valorizzare ciò (e chi) ci circonda. L’economia circolare, infatti, trasforma i rifiuti in ricchezza, guarda agli scarti come risorse. Un processo prima mentale e poi pratico affatto banale: per “vedere” questo è stato necessario maturare una cultura che fosse in grado di cercare soluzioni tecnologiche innovative, di stabilire nuove alleanze, di trovare nuovi partner per creare un modo altro di produrre. No, non è banale, ma forse non è meglio decidere di cambiare invece che trovarsi in balia degli eventi?

Editoriale di Mark Up n. 308 aprile 2022

 

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