Quante aziende in Italia sono o pensano di diventare una “società benefit”? Ovvero guadagnare lo stato giuridico di un’impresa che, come indica il legislatore, “nell’esercizio di una attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, persegue una o più finalità di beneficio comune e opera in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse”.
Impegni importanti per una missione importante e mi piacerebbe, rispondendo alla domanda iniziale, scrivere molte, o meglio tutte! Ma non è così semplice, il percorso per conquistarsi la B è lungo e non semplice. Intanto per essere una società benefit o, se certificata, una B-Corp, occorre avere chiaro che nella mission convivono il giusto e sacrosanto fine di lucro con fini sociali, ambientali di cui beneficiano tutti. Sono parecchie le asperità da superare, i cambiamenti da apportare eppure sembrerebbe così ovvio: l’azienda è un attore sociale importante, inserita in un territorio specifico cui dà e da cui prende, e non parliamo solo di tasse e di posti di lavoro offerti, di rotonde per la circolazione o di parchi giochi ristrutturati, o ex novo che siano, e nemmeno delle aiuole più o meno fiorite, tutte attività encomiabili ma il “benefit” ancora non c’è.
Recentemente, parlando con un imprenditore, dell’eventualità di attestarsi sui temi di avvicinamento alla B-Corp la risposta è stata “ma noi facciamo già tutto...” e, davanti a questa affermazione, un dubbio mi è venuto e sono andata a cercare in cosa consisterebbe questo “tutto” che trasformerebbe l’azienda in società Benefit. Si parte con la Governance che, tradotta, significa un atto di responsabilità e trasparenza verso l’interno e l’esterno: quanto si è realmente trasparenti? Quanti conti sono in chiaro? Quanto le attività svolte sono rendicontate senza tralasciare nulla? Mah ...
Poi passiamo ai dipendenti dell’organizzazione, parliamo, quindi, di salari, benefit, attività formative, ambiente lavorativo... e qui lascio la riflessione a chi pensa che pagare un salario puntualmente sia più che sufficiente... Il discorso poi si amplia a comunità e inclusione: quali azioni di supporto sono state intraprese? Quali atteggiamenti socialmente utili? Che politiche di fornitura e logistica sono perseguite? Quanti posti di lavoro sono stati creati? Infine, l’ambiente, l'impegno costante per la riduzione dell’impatto ambientale, la gestione dei rifiuti, l’efficienza energetica, la creazione di condizioni per favorire l’economia circolare... La lista si allunga e, a chi ha risposto “facciamo tutto”, domando: ne siete così sicuri?
Editoriale di Mark Up n. 312, settembre 2022