Editoriale | Crescere insieme

Il progresso culturale è mandatorio per poter crescere, un primo passo sarebbe abbattere gli stereotipi di genere, se ci riuscissimo in 10 anni il nostro Pil aumenterebbe del 9%

Parliamo di Pil, il Pil che, secondo le previsioni, non crescerà quanto avrebbe dovuto, il Pil che anche pre-covid faticava a tenere il passo con gli altri Paesi europei. Un Paese strano il nostro, in cui il progresso fatica a farsi strada. Utilizzo un termine non a caso: progredire significa andare avanti, costruire passo dopo passo un mondo avanzato. Infatti, il progresso non è solo scientifico, il progresso è prima di tutto culturale.

Se una nazione non progredisce culturalmente, innovazione, evoluzione non attecchiscono, i talenti scappano e gli investitori passano oltre, andando a nazioni ritenute più interessanti, vedi caso Gorillas che ha lasciato o altri che hanno fatto i loro conti e neppure ci hanno provato. Questo significa posti di lavoro persi, ricchezza non prodotta... e il Pil non cresce. Siamo un Paese dove gli stereotipi di genere sono ancora radicati profondamente, dove l’orientamento sessuale conta ed è meglio essere cisgender anche per ottenere un lavoro, per non parlare delle disabilità, del razzismo strisciante. Diffidenti verso chi è diverso da noi, rinunciamo al progresso in nome della continuità, che spesso è una linea discendente.

Siamo circondati da stereotipi ancora così radicati che solo strette regole aziendali (laddove ci sono) riescono a mantenere nei ranghi. Ma poi quando si parla di Pil siamo tutti d’accordo bisogna fare qualcosa... allora meglio dare qualche numero che riguarda solo le donne, metà quindi del genere umano: ci vorranno 135,6 anni per chiudere il divario mondiale di genere. L’Italia è al 63° posto su un panel di 156 Paesi al mondo. La partecipazione economica è messa ancora peggio, a livello mondiale, ci vorranno altri 267,6 anni per chiudere il divario di genere. E l’Italia scivola al 114esimo posto, tra i più bassi a livello europeo.

I motivi? Basso tasso di occupazione (in Italia lavora meno di una donna su due); di queste, quasi la metà part-time (49,8%). Elevata differenza salariale (stimata nel 5,6% dal Wef, ma secondo Eurostat al 12%). sono solo sei le aziende certificate in Italia per la parità salariale, solo una in gdo (Maiora-Despar) mancata possibilità di carriera (solo il 27% dei manager sono donna) e accesso a formazione Stem (16% delle donne contro il 34% degli uomini). Secondo uno studio di McKinsey se, per esempio, l’Europa seguisse il Paese con il miglior risultato (la Spagna che in 10 anni -2003/2013- ha visto crescere l’occupazione femminile dell’1,5% l’anno) potrebbe avere in dieci anni un aumento del Pil del 9% superiore a quello che avrebbe continuando così. Non male vero? Il 9% è un risultato che nessuna politica economica potrebbe portare in così poco tempo. Eppure ...

Editoriale, Mark Up n. 311, luglio - agosto 2022

 

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