L’enciclica di Papa Francesco Laudato sì chiama tutti gli uomini di buona volontà a prendersi cura del Pianeta (“la nostra casa”) e a trovare soluzioni non solo tecniche, ma fondate su un’ecologia (o sullo sviluppo sostenibile) “integrale” all’attuale crisi ambientale e sociale. Si tratta di una sfida complessa, i cui diversi elementi (ambientali, economici e sociali) sono strettamente interconnessi e in cui ciascuno deve riconoscere, attraverso una “dolorosa coscienza” di ciò che sta accadendo al mondo, qual è il contributo che può portare.
Il Pontefice, che entra nel merito di diverse tematiche proprie della crisi ecologica, critica la “fiducia irrazionale nel progresso e nelle capacità umane”, mentre è favorevole ad un cambiamento che sappia mantenere i ritmi della natura propri della dinamica dei sistemi complessi. Con l’ecologia integrale si è chiamati a superare l’attuale modello di sviluppo, dove ad un consumo eccessivo di risorse da parte del mondo occidentale si accompagna una crescente disuguaglianza nella qualità della vita e nell’accesso ai servizi essenziali, soprattutto da parte dei paesi in via di sviluppo e delle fasce marginali della popolazione.
Ciò significa, innanzitutto, porre rimedio alla “cultura dello scarto” e riconoscere l’esemplarità degli ecosistemi naturali, capaci di riutilizzare i rifiuti e le scorie che diventano risorse in un modello circolare. I progressi nella direzione dell’economia circolare sono ancora molto scarsi e qui il messaggio del Papa sembra orientarsi direttamente verso i policy maker della Commissione Europea chiamati in questo periodo a dare consistenza alla strategia verso la circular economy.
La natura, infatti, non è una “mera cornice della nostra vita”, ma con l’ambiente occorre raggiungere un equilibrio basato sulla reciprocità. Si supera la prospettiva antropocentrica dell’uomo signore dell’universo, considerandolo più come un “amministratore responsabile” del creato che deve porsi in una prospettiva comunitaria.
In questa prospettiva, tra l’altro, il Pontefice esprime un esplicito riconoscimento al mondo associativo che si occupa del bene comune, difendendo l’ambiente naturale e urbano, recuperando così legami, generando un tessuto sociale locale, coltivando un’identità comune.
E le imprese? Il Papa non è particolarmente indulgente nei confronti di una visione in cui la logica di mercato ha preso il sopravvento sulla solidarietà. “La crescita degli ultimi due secoli non ha significato con tutti i suoi aspetti un vero progresso integrale e un miglioramento della qualità della vita”. Occorre che le imprese non si limitino alla ricerca del profitto, o che interpretino la responsabilità sociale ed ambientale come “una serie di azioni di marketing e comunicazione”, in nome di un’ecologia superficiale che salvaguarda gli attuali stili di vita, di produzione, di consumo. Serve un cambiamento più radicale.
In ogni iniziativa imprenditoriale, che il Papa definisce come “una nobile vocazione orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti”, ci si dovrebbe porre una serie di interrogativi per comprendere se è in grado di favorire un vero sviluppo integrale.
Per Papa Francesco il modello di sviluppo deve essere fondato su un’economia che favorisca la diversificazione produttiva e imprenditoriale (come quella di sistemi agricoli e alimentari locali basati sulla varietà), con un forte radicamento territoriale. In questa prospettiva le dimensioni ambientale e sociale sono chiamate ad integrarsi pienamente e un imprenditore deve comprendere che la creazione di posti di lavoro è parte imprescindibile del suo servizio al bene comune. In sintesi la nuova enciclica ci propone un Papa ambientalista e rivoluzionario nella sua visione integrale che lega la cura della natura con quella dei deboli, la visione sistemica con l’approccio comunitario. In questa prospettiva strategica c’è spazio per un ruolo responsabile delle imprese che vada anche aldilà di quanto nell’enciclica è esplicitamente evidenziato.