Cominciamo con una sintesi di cosa è stata la storia di U2 e cosa ti ha insegnato ...
Grazie a U2, sono 8 anni consecutivi che siamo in crescita a parità di rete più del mercato e più di qualsiasi concorrente. Il 2015 si è chiuso con un +4,6% e dal 2006 la crescita è intorno al 35%, sempre a parità di rete. In questi dati positivi il ruolo di U2 è significativo: questo formato ha letteralmente trainato la nostra crescita con incrementi di fatturato del 50-55%, mentre i risultati del format Unes sono allineati al mercato. Aggiungo che, sempre nel +4,6%, la categoria Natale ha segnato +20% e Il Viaggiator Goloso +26%, un chiaro segnale che dopo anni di sacrifici la gente ha voglia di festeggiare. Abbiamo avuto risultati straordinari anche con il temporary: 40 mila visitatori in un mese, e solo nella settimana prima di Natale abbiamo venduto per 145 mila euro, solo con prodotti da ricorrenza Il Viaggiator Goloso senza proporre la marca industriale. Un’esperienza che sicuramente va capitalizzata in un nuovo progetto.
In questo contesto, che ruolo gioca l’edlp?
L’edlp è la risposta che abbiamo scelto di dare alla domanda di 10 anni fa. Oggi è vecchia. Abbiamo attraversato tre fasi con U2: quella iniziale, quando abbiamo avuto l’intuizione dell’edlp per contrastare la bulimia promozionale prendendo spunto da modelli come Mercadona.
Una seconda fase, che ha visto il successo dell’edlp con forti incrementi nelle vendite, da cui la scelta di proseguire con il progetto U2.
La terza fase, l’attuale, è quella in cui la riconversione è all’80% dei pdv e l’edlp non traina più da solo la crescita. Oggi l’edlp è l’elemento della nostra strategia, che ci costringe a guardarci allo specchio, senza perderci, senza farci trascinare dalle scelte dei competitor, senza contare sulla scorciatoia della promozione. Di fatto, il cliente non ha nessun interesse verso le promozioni, ma chiede di risparmiare senza “sentirsi povero”, ed è esattamente l’intuizione che abbiamo concretizzato nel 2006 con U2.
Promozioni no, l’edlp “vecchio”: quali sono le nuove frontiere “controcorrente”?
I negozi della gdo italiana sono tutti uguali, a differenza di quanto si osserva all’estero dove le insegne per concorrere al meglio scelgono la differenziazione. I retailer nostrani, anche Unes, perdono energie, copiandosi l’un l’altro, mentre dovrebbero guardarsi di più allo specchio e decidere “cosa faranno da grandi”, verificando poi costantemente se davvero stanno mettendo in pratica il progetto oppure no.
La differenza rispetto a 10 anni fa, quando abbiamo intuito il cambiamento, è che mentre allora conoscevamo perfettamente i nostri competitor e i nostri clienti, oggi invece siamo di fronte quasi a degli alieni: chi è Amazon? Come ragionano gli acquirenti del futuro? Se davanti a questo stravolgimento i retailer si presentano senza una propria personalità -e la politica dell’industria di marca ha in parte contribuito a fomentare questa omologazione- dubito che continueranno a esistere.
Come influirà l’eCommerce in tutto questo?
Non abbiamo punti di riferimento per fare una previsione, e nemmeno esempi da portare, poiché questa formula per ora si è sviluppata in Paesi diversi dall’Italia e in settori diversi dall’alimentare. Sarà attuabile per i prodotti freschi? Conteranno i negozi fisici? E il click&collect? Non penso sia utopistico immaginare che accada qualcosa di simile a quanto è successo a Internet con l’avvento di Google. All’inizio, ciascuno creava il proprio portale; Google li ha superati tutti ed è diventato una sorta di operatore monopolista: ugualmente si potrebbe immaginare in futuro un’unica piattaforma che comprenda lo sviluppo della supply chain, cui i diversi retailer potranno accedere, come in una specie di centro commerciale universale, potrebbe chiamarsi Amazon oppure avere un altro nome, ma visto così l’eCommerce per noi sarà una facility non un elemento strategico.
Che cosa invece sarà strategico?
La mission dell’insegna: chiara e corerente cui consegue, la selezione dell’assortimento, il posizionamento dei prodotti a marca privata, il peso da dare ai prodotti freschi e al fattore umano.
Quale il rapporto con l’industria di marca? Come si evolverà?
Bisogna avere il coraggio di spezzare le catene, di compiere delle scelte: una condizione di privilegio non ha senso in un mercato che ha fatto la scelta di essere libero. A mio parere andremo verso un sistema distributivo più libero, anche perché lo sono i nuovi competitor, a partire dal discount per arrivare all’e-commerce, quindi sarà una questione di sopravvivenza. Sarà fondamentale la trasparenza. Attualmente il sistema è ancora in parte bloccato forse perché con la crescita delle Mdd ci hanno rimesso prima di tutto i follower.
Follower che in fondo avete creato voi retailer per poi disconoscerli ...
I follower sono stati gli antesignani della marca privata vera e propria: la quota del 39% di prodotti a marchio tra Unes e Il Viaggiator Goloso è andata a pescare in quel bacino. Oggi però il rapporto si sta invertendo, forse sulla scia di Eataly o della moda degli showcooking: la rinnovata sensibilità impone ai retailer una ricerca di eccellenze nella fascia premium per caratterizzare l’offerta, nel nostro caso in una fascia di prezzo superiore a Il Viaggiator Goloso, e qui spesso è il produttore a dettare legge. Dipende naturalmente dal posizionamento dell’insegna.
Allora dove sta l’innovazione di Unes?
Nella modalità di fare supermercato, rendendolo più facile e amichevole. Lo scaffale non è così diverso da quello della concorrenza, anche se abbiamo cercato di togliere tutto quello che fa perdere tempo e distrae il consumatore, tutto a vantaggio dei prodotti Unes e Il Viaggiator Goloso. La vera innovazione non siamo noi: sono i discount, i Trader Joe’s, Eataly ... È necessario lavorare sul prodotto-supermercato mettendo bene a fuoco cosa vogliamo fare da grandi.