Cuore e cervello, “Compro con la testa, ma consumo con il cuore”. Una sintesi, non me ne vogliano i ricercatori di Altavia lab, cui “rubo” questa anteprima del Baromètre, la loro vasta ricerca sul vissuto dei clienti delle insegne, ma mi dà l’estro per riflettere su ciò che potrebbe essere l’uovo di Colombo della distribuzione moderna e del retail in generale. Pensiamo a consumatori sempre più attenti, che selezionano quanto acquistano, attingendo le informazioni dalle fonti più svariate: dai media tradizionali, ai siti iperspecializzati; poi, individuato l’oggetto, vanno a cercare il prezzo più basso o, se si tratta di un genere alimentare, magari si abbozza sul prezzo, ma non si transige sulle proprietà nutrizionali (così sono entrati nel carrello avocadi e curcuma, integratori e kamut). Una spesa fatta con la testa insomma, dove la risposta del retailer deve essere pensata con altrettanta dedizione relativa a scala prezzi, assortimento, layout, fidelizzazione. Il tutto supportato da un attento studio del cliente e dei suoi movimenti in store (e se è possibile out of store). Anche l’effetto “wow”, che ancora molti cavalcano, fatto di ingressi scenografici, di multimedialità spinta, di experience sensoriali estreme, sta perdendo il suo afflato, non perché non sia più apprezzato ma perché è dato per scontato, fa parte del sistema qualità del retail, dove la qualità dell’offerta deve andare di pari passo alla qualità dello spazio. Basti pensare ai format discount e a come ormai stiano sparendo quegli indizi di “povertà” degli arredi che li avevano contraddistinti da sempre a favore di un allestimento di gusto, che li assimila a quanto già avvenuto nel mondo del fashion con l’avvento delle grandi catene come H&M, Zara o OVS. Allora il cuore del consumatore dov’è? Quando diciamo “consumo con il cuore”, non pensiamo solo a ciò che avviene “dopo”, ma al consumo dell’esperienza, che si traduce in offerta di servizi, alla personalizzazione possibile che rende unica un’insegna e persino il singolo atto; oggi, è necessario diventare “memorabili”, indispensabili, ricettivi. Quando parliamo di servizio, intendiamo la capacità del retailer di creare un flusso di risposte in grado di adeguarsi ai bisogni del cliente. Ed è qui che la tecnologia viene in aiuto al retail, non come fine ma come mezzo: nelle mani di persone (non più di un troppo generico personale) che siano presenze in grado di recepire le richieste e di dare le risposte adeguate, oppure sotto forma di app che siano in grado di risolvere i problemi o rendere divertente, facile, sicura la shopping experience. Sui servizi c’è molto da inventare, molto da dedurre, una vastissima gamma di opportunità. Oggi se dovessi fare un’indagine, non la farei sui prodotti ma sui desideri, indagherei il cuore, perchè è lì che è necessario andare.
Dritti al cuore
L'editoriale della direttrice Cristina Lazzati (da Mark Up n. 272)