La dop economy vale 20 miliardi di euro e occupa 850.000 persone. Sono i dati del XXII rapporto Ismea-Qualivita riguardanti il 2023, da cui emerge un ritratto positivo come ha fatto notare Livio Proietti, presidente Ismea: “Negli ultimi anni questo settore è passato da marginale a protagonista del pil italiano”. Le indicazioni geografiche tengono il passo rispetto all’anno precedente con un +0,2% su base annua, e segnano un +52% negli ultimi dieci anni, contribuendo del 19% al fatturato complessivo dell’agroalimentare. “Quest’anno emerge -afferma Proietti- in particolare la vivacità del Mezzogiorno che va letta con attenzione”. Prosegue il trend positivo nell’area Sud e Isole (+4%), sempre in crescita negli ultimi cinque anni, con buoni risultati soprattutto per Sardegna (+19%) e Abruzzo (+11%). Cresce anche il Nord Ovest, trainato dalla Lombardia che supera per la prima volta i 2,5 miliardi di euro e cresce per il terzo anno consecutivo. Il Nord Est ha risultati stabili nel complesso (-0,6%) e vale il 54% della dop economy, con l’Emilia-Romagna che frena leggermente (-2,4%) e il Veneto che con 4,85 miliardi di euro si conferma regione leader. Nel Centro i risultati peggiori (-3,9%) con la Toscana (-5,5%) che rappresenta la gran parte del valore economico e il Lazio unica regione in crescita (+8,8%).
Formaggi sempre al top
Importante la crescita del 3,5% del segmento cibo, grazie soprattutto ai formaggi, che raggiungono quota 9 miliardi di euro, mentre i vini, pur a 11 miliardi di euro di valore, segnano il passo sia in quantità (-0,7%) che in valore (-2,3%) testimoniando, la difficoltà, soprattutto dei rossi, e un mutamento del consumatore, in particolare la generazione Z, mutamento cui bisogna porre subito riparo secondo i produttori. In Italia i prodotti a denominazione contano 317 Consorzi di tutela, oltre 194.000 imprese. Il Grana padano dop si conferma al primo posto, con un valore alla produzione cresciuto dell’8,8%. Al secondo c’è il Parmigiano reggiano dop, in discesa del 7%, terzo il Prosciutto di Parma dop (+2%), quarta la Mozzarella di bufala campana dop (+5,1%) e quinto il Pecorino romano dop (+30,8%).
Export trainante per la dop economy
Degli oltre 20 miliardi della dop economy, 11,6 vengono incassati grazie all’export (-0,1% sul 2022) e un trend del +75% in dieci anni. La crescita nei Paesi Ue (+5,3%) compensa il calo nei Paesi extra-Ue (-4,6%), dato particolarmente significativo alla luce dell’attuale dibattito sui dazi, con i Paesi terzi che assorbono oltre la metà (52%) dell’export della dop economy italiana e gli Stati Uniti, prima destinazione in assoluto, che da soli valgono oltre un quinto (21%) delle esportazioni italiane dop e igp. Il settore cibo realizza 4,67 miliardi di euro per un +0,7% in un anno e un +90% sul 2013, con crescite in valore per formaggi, pasta e olio di oliva. Per il vino cala la quantità esportata (-2,9%) per un valore pari a 6,89 miliardi di euro (-0,6%), in tenuta dopo il balzo del 10% del 2022 e con un trend del +66% sul 2013.
La spesa di prodotti dop in gdo
La spesa per i prodotti nella gdo è pari a 5,9 miliardi di euro, per una crescita del 7,2% in un anno, dinamica in linea con l’intero comparto alimentare, la cui spesa nel 2023 è cresciuta del 8,6% (frutto di un innalzamento dei prezzi, con un carrello leggermente alleggerito nei volumi). Il cibo segna un +9,5%, con formaggi e oli di oliva che crescono anche in volume, oltre che in valore; la spesa per il vino registra un +2,7%. Nei primi 9 mesi del 2024, i dati sulla spesa alimentare degli italiani confermano i livelli del 2023 (con un +0,8% su base annua). Si conferma il ruolo crescente dei discount per i prodotti dop e igp che nel corso del 2024 superano la quota di mercato del 18%; anche il ricorso alle vendite in promozione da parte della gdo risulta più elevato rispetto ai prodotti generici.
I timori per la dop economy
Nonostante questi risultati il quadro delle indicazioni geografiche soffre per diversi fattori esogeni, in particolare le tensioni geopolitiche e i problemi climatici. Secondo Cesare Mazzetti presidente fondazione Qualivita per il futuro sarà fondamentale guardare all’innovazione “e sviluppare nuovi progetti con il Ministero in questa direzione. Negli ultimi cinque anni abbiamo vissuto il contesto peggiore che ci sia mai stato, tra cambiamenti climatici, diminuzione del potere di acquisto, aumento dei prezzi e nonostante tutto siamo riusciti a mantenere la qualità; ora per proseguire in questa direzione è imperativo innovarci e attivare strategie sinergiche tra consorzi e istituzioni, un percorso già avviato con la riforma delle indicazioni geografiche che è stato un passo importantissimo verso un nuovo modello che speriamo possa funzionare nel futuro”
Per Mauro Rosati, direttore Qualivita, sarà il territorio il protagonista delle nuove strategie sulla sostenibilità, e bisognerà anche guardare con maggiore attenzione al turismo enogastronomico “un etichetta che va controllata con normative preposte, soprattutto per il vino, dove è in atto una trasformazione che rende la ricettività enoturistica spesso simile a Disneyland, e questo in Italia non è possibile in territorio come le Langhe e la Toscana”.
Forte la preoccupazione anche per i dazi paventati da Donald Trump negli Usa, si chiede quindi una battaglia politica decisiva su questo tema per non trovarsi di fronte a nuove problematiche di esportazione soprattutto del vino, mentre sono ancora in atto le battaglie con l’Unione Europea come ha ribadito anche il ministro dell’Agricoltura della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, affermando: “va disintossicato il palazzo di Bruxelles, bisogna tornare alla politica di indirizzo e non alle decisioni imposte dall’alto”.
Infine Rosati ha avvertito sul cambiamento radicale di modello di consumo legato al digitale: “Oggi -spiega- ci sono piattaforme che hanno cambiato le nostre vite, come Amazon, Airbnb per il commercio, per il turismo, che hanno globalizzato i consumi, ma non esiste nulla di simile per l’agroalimentare e noi abbiamo una filiera ordinata, ma non abbiamo un ecosistema digitale, e dovremmo averlo”. Una necessità per non essere cannibalizzati dalla globalizzazione che, dove ha operato, l’ha fatto con contenuti attinenti a gusti e consumi internazionali e non specifici. “Va fatta un’importante riflessione su questo, ci mancano i dati per sapere chi sono i nostri consumatori in Italia e nel mondo e dobbiamo averli più presto per sostenere l’agroalimentare di qualità”.