Lo scorso lustro è stato teatro di eventi, come la pandemia covid 19, i conflitti geopolitici, l’accelerazione tecnologica e la transizione verso l’industria 5.0, che hanno messo a dura prova la sopravvivenza delle imprese. Non sorprende, quindi, che il concetto di resilienza, seppur non nuovo, sia diventato sempre più rilevante nei documenti istituzionali, negli speech dei manager e negli articoli accademici. Ma cosa significa resilienza per un’impresa? Prendendo a prestito le definizioni dello studio di Conz e Magnani (2020), un’impresa può possedere una resilienza proattiva, adottiva, e reattiva.
La resilienza proattiva riguarda la capacità di anticipare eventi straordinari, quella adottiva si riferisce alla risposta tempestiva a tali eventi, mentre la resilienza reattiva implica il ritorno allo stato precedente all’evento.
Un’impresa resiliente non si limita a sopravvivere, ma è capace di adattarsi e sfruttare i cambiamenti, talvolta anche ottenendo risultati superiori rispetto ai concorrenti. L'adozione di un approccio di resilienza proattiva consente ai leader aziendali di individuare le avversità e trasformarle in opportunità di crescita, sfruttando la capacità di adattamento e innovazione per rafforzare la loro posizione sul mercato. Assumendo quest’ultima connotazione del concetto di resilienza, essa non deve però essere declinata solo in relazione a “eventi singolari” legati a shock esogeni, ma deve ispirare una gestione dove le imprese devono rinnovare continuamente le fonti del proprio vantaggio competitivo. Sembra che la resilienza proattiva sia necessaria per superare l'idea di vantaggi competitivi stabili, concentrandosi invece su quelli temporanei, cogliendo rapidamente le brevi finestre di opportunità create da cambiamenti improvvisi. Le imprese in grado di innovare costantemente e adattarsi velocemente, alias verbis resilienti, sono quelle che meglio riescono a ottenere e mantenere una sequenza di vantaggi competitivi temporanei.
Ma se la resilienza proattiva è indispensabile nell’attuale contesto competitivo, come possono le imprese sviluppare tale capacità?
Per rispondere a questa domanda, Conz e Magnani (2020) introducono la collectiveness definita come “lo sviluppo di dinamiche di coordinazione e interazione” che promuovono all’interno dell’impresa “una visione condivisa e positiva tra i dipendenti” e alimentano “fiducia e creatività nella risoluzione dei problemi” (trad. nostra). Questo approccio si rivela cruciale nella ricerca condotta dall’unità di Palermo nel progetto Prin Gris “Growing Resilient Italian SMEs”, che esplora le cognizioni psicologiche che influenzano il comportamento degli individui all’interno delle imprese, come operano, prendono decisioni e si percepiscono parte integrante dell’organizzazione.
Come il concetto di collectiveness può tradursi in pratica? Le imprese stanno sempre più investendo in programmi di diversità e inclusione (D&I) per coltivare proprio quel senso di comunità e cooperazione evidenziato da Conz e Magnani. Questi programmi non solo mirano a favorire una cultura di inclusività e collaborazione, ma si dimostrano anche strumenti efficaci per migliorare la resilienza aziendale e potenziare la posizione competitiva dell’impresa. D’altronde, promuovere principi di D&I all'interno delle imprese significa favorire una maggiore varietà di prospettive e stimolare la creatività, poiché dipendenti con esperienze e background differenti sono in grado di generare idee più innovative. Inoltre, team eterogenei arricchiscono il processo decisionale, rendendolo più completo e consapevole, accrescendo il grado di engagement dei dipendenti, che si sentono valorizzati e motivati.
Alcune grandi imprese stanno già impiegando le loro energie sul tema. Un caso esemplare è quello di Procter & Gamble che sul suo sito annuncia che solo il 27% delle donne considera una carriera nel settore tecnologico rispetto al 62% degli uomini, e solo il 3% delle donne sceglierebbe il settore tecnologico come prima opzione, rispetto al 15% degli uomini. Questo divario significativo sottolinea un problema profondo di rappresentazione femminile nelle professioni Stem (Scienza, tecnologia, ingegneria e matematica). Procter & Gamble, consapevole di questa disuguaglianza, si sta impegnando attivamente per cambiare questi numeri, riconoscendo l'importanza di una forza lavoro altamente qualificata in ambito Stem per guidare l'innovazione tecnologica, sviluppare i suoi brand e far crescere il business. L'investimento in una maggiore parità di genere in settori critici come quello tecnologico non solo promuove una società più equa, ma è anche cruciale per sostenere l'innovazione continua e garantire la competitività aziendale nel lungo periodo.
Geraldine Huse, P&G Vice President, Global Tesco Account, annuncia i primi risultati dei loro investimenti in D&I dichiarando: “In P&G riteniamo che la diversità di genere sia estremamente importante perché sappiamo che produce risultati aziendali migliori. Infatti, abbiamo scoperto che i nostri risultati di business sono superiori del 5% quando abbiamo un team diversificato per genere rispetto a un team omogeneo. Pertanto, per noi è fondamentale garantire questa diversità di genere in tutta l'azienda [...] siamo riusciti a raggiungere una parità 50-50 a tutti i livelli dell'organizzazione” (trad. nostra).
Un ambiente di lavoro caratterizzato da principi di D&I crea un ciclo virtuoso di partecipazione e produttività che rafforza la resilienza dell’impresa e la sua capacità di sopravvivere tra un vantaggio competitivo temporaneo e l’altro! Pertanto, una relazione positiva tra D&I e resilienza non è una fantasiosa congettura, ma una realtà concreta ed auspicabile.
Conz, E., & Magnani, G. (2020). A dynamic perspective on the resilience of firms: A systematic literature review and a framework for future research. European Management Journal, 38(3), 400-412.
* Assegnista di ricerca in Economia e Gestione delle Imprese, Università degli studi di Palermo
* Pasquale Massimo Picone, Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese, Università degli studi di Palermo