Digital transformation aziendale: ripensare il modello di business

Dal re-skilling del personale commerciale alla collaborazione digitale con il cliente: ecco come le Pmi possono agevolare la transizione tecnologica

La digital transformation rappresenta oggi una necessità inevitabile per molte aziende. E probabilmente assai presto per tutte. Le grandi piattaforme digitali (di Microsoft, Amazon, Google, IBM, etc.) evolvono rapidamente in varie direzioni. Talvolta comportandosi da veri e propri disruptive innovator e arrivando a minacciare, direttamente o indirettamente, le posizioni competitive di realtà aziendali ben consolidate nei rispettivi ambiti di business - chi scrive lo ha constatato direttamente nei settori più svariati, dalle tecnologie a bordo nave, al food delivery al brokeraggio assicurativo – e talvolta comportandosi più semplicemente da enabler e accelerando la transizione tecnologica di altre imprese in un’ottica sempre più orientata ai servizi e agli ecosistemi.
Quando questo accade, una delle prime sfide per le imprese “incumbent” che accettano la sfida del digitale consiste nel ripensare il proprio modello di business e/o di pensare a nuovi business model. Questo non è semplice. Abbiamo approfondito il tema assieme a decine di manager e imprenditori di aziende di medio-grandi dimensioni intervenuti a 2 tavole rotonde che abbiamo organizzato tra ottobre e novembre 2021 a Mib Trieste School of Management nell’ambito di un percorso condiviso con Fondirigenti e Federmanager Friuli Venezia Giulia e in altre 4 tenutesi nell’ambito dell’evento Innovation Ecosystem Day organizzato da Smact competence nel novembre scorso.
La questione chiave attorno a cui è ruotata la discussione è stata: come riuscire a valorizzare l’offerta digitale in un’azienda che digital per natura non lo è? Due sono macrotematiche emerse dalle discussioni.

A) la difficoltà dei commerciali “classici” a uscire dalla loro confort zone
La maggioranza delle imprese coinvolte ha dichiarato che il proprio personale commerciale fatica non poco ad adattarsi al nuovo paradigma, e questo per diversi motivi: una scarsa comprensione dei contenuti dell’offerta digitale derivanti da una modesta cultura (digitale) di base; una scarsa attitudine al cambiamento ed al rimettersi in gioco; il timore di essere bypassati da altre figure e di perdere la loro centralità in azienda. Da qui il rischio concreto di un (più o meno consapevole) sabotaggio delle iniziative di digital trasformation dell’azienda.
Per far fronte a questi ostacoli, le aziende hanno adottato diverse soluzioni organizzative. In primis, il re-skilling del personale commerciale attuato attraverso percorsi di formazione ad hoc. Si tratta, tuttavia, di una soluzione temporanea al problema. È convinzione diffusa che in futuro sarà necessario introdurre in azienda nuove figure ibride dotate di competenze miste di natura tecnico-digital-commerciale. Ovvero di personale con competenze 'T-shaped' in grado da un lato di padroneggiare i contenuti tecnico-digitali dell’offerta, ma dall’altro di saper plasmare l’offerta con e per il cliente oltre che di condurre in porto la trattativa commerciale.

Una seconda soluzione adottata dalle imprese consiste nell’affiancare il personale di vendita con personale tecnico/digitale durante la trattativa, creando pertanto dei team di vendita ibridi. Il “supporto tecnico” fornito dal personale tecnico/digitale è spesso confinato temporalmente ai meeting preliminari. Molte imprese stanno anche producendo materiale multimediale (soprattutto video) per coadiuvare il commerciale nello spiegare il potenziale insito nelle tecnologie digitali dei prodotti.

B) Trasferimento al cliente del valore delle soluzioni digitali
Trasferire il valore di una soluzione è fondamentale per convincere il cliente a pagare per avere una certa soluzione. Come farlo quando si proviene storicamente da un business del tangibile fatto di mobili, di macchinari, di vini, di componenti? Bisogna spostare il focus dalla soluzione tecnica alla soluzione “ad un problema” che va dapprima identificato con il cliente. Si tratta di una visione che rimanda alla prospettiva del “Job to be done” di Clayton Christensen, dove ciò che conta davvero è il lavoro che la soluzione digitale deve svolgere. Non la soluzione tecnica di per sé.
Nel discutere le diverse strategie commerciali volte alla valorizzazione del prodotto sono emersi dei concetti cardine che val la pena riportare. Il primo è il concetto di esperienza. L’esperienza è una dimensione dell’offerta che va oltre il prodotto e il servizio e che può prendere molteplici forme: dall’assistenza tecnica dedicata 24/7, alla fornitura di un digital twin del prodotto con funzioni di training, ecc. Un secondo elemento è quello di value driver: occorre chiarire fin da subito al cliente quale valore si sta fornendo: un aumento dell’efficienza produttiva e una conseguente riduzione dei costi? Un incremento della qualità? Una diminuzione dei rischi di fermo macchina? Una volta chiarito il value driver, occorre rafforzare il messaggio. Come? Anche attraverso lo storytelling. Ovvero l’uso di use-case (in assenza di casi reali ci si può attrezzare con dati stimati provenienti da simulazioni) e di storie emblematiche raccontate in modo accattivante (anche attraverso dei video) e rese facili da comprendere.

Tutto facile? Nemmeno per sogno. Uno dei limiti principali alla collaborazione digitale con il cliente rimane quello della condivisione dei dati. Tutti percepiscono la necessità di condividerli ma nessuno vuole farlo. C’è chi si rifiuta categoricamente di farlo in virtù di timori imprecisati, chi afferma “se vuoi i miei dati, vuol dire che hanno un valore commerciale”, e chi presenta alla trattativa con uno stuolo di legali (e già questo fa capire molto di chi nulla ha capito della transizione al paradigma digitale!). Come superare il muro? Una strategia interessante emersa dalla discussione è quella della back-door, la porta di servizio: entrare dal cliente attraverso un servizio “banale” (per esempio, un alert di malfunzionamento di un macchinario, di un banco frigo, ecc.) per il quale un minimo di condivisione dati risulti necessaria che serva a placare gradualmente i timori del cliente. Fino a convincerlo ad aprire anche la porta d’ingresso. Ma per suo stesso vantaggio.
Insomma, il digitale apre ad una serie di opportunità tutte da definire. Ma occorrono due cambi: uno di mentalità soprattutto dal commerciale. Ed uno nei modelli di business. Il digitale non si vende con una batteria di soluzioni preconfezionate e presentate a catalogo. I servizi digitali si pensano, si progettano, si costruiscono e si gestiscono assieme al cliente. Solo così generano effetti di lock in. Al prossimo articolo per una riflessione sugli effetti di lock in!

*Professore Associato di Management - Università degli Studi di Trieste e Core Faculty Member di MIB Trieste School of Management
*Ricercatrice a TD di Organizzazione Aziendale - Università degli Studi di Trieste

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome