Differenziarsi sul lungo periodo, intervista a Romeo Scaccabarozzi di Axiante

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Il retail sta affrontando una serie di sfide, anche per differenziarsi dalla concorrenza: ne parliamo con Romeo Scaccabarozzi, AD di Axiante.

Il retail sta affrontando una serie di sfide su più fronti, in parte legate al contesto economico e sociale, in parte alla caratterizzazione del proprio brand, l'insegna, con l'obiettivo di differenziarsi sul lungo periodo. I rapporti con l'Idm, la sostenibilità, l'ascolto del cliente, l'ottimizzazione della supply chain, l'automazione: tutto questo porta apparentemente solo in una direzione: condividere i dati, condividere i profitti, agire insieme, come filiera... un cambio di paradigma inimmaginabile, è così? Ne parliamo con Romeo Scaccabarozzi, AD di Axiante.

Come differenziarsi, il punto di vista di Axiante

I temi sono parecchi, da cosa partiamo?
Inizierei da due argomenti apparentemente slegati, la sostenibilità e la marginalità. La sostenibilità interessa molto i consumatori e sicuramente un modo per gestirla, e quindi per poter contare su un cliente soddisfatto, è che retail e industria di marca lavorino insieme. Fare diversamente è impossibile. Se parliamo di margini invece, sia industria che trade non possono che dichiarare che la coperta è corta, soprattutto nell’attuale contesto, ma da qualche anno il retailer ha un po' più di potere di negoziazione, grazie alla leva della marca propria. Sostenibilità e margine sono però in realtà tra loro collegati da una sfida: la limitazione dello spreco. A nessuno piace ovviamente condividere le informazioni sui reali volumi di spreco, perché è un sinonimo di scarsa capacità gestionale, ma sicuramente condividere questi dati ha avuto, e soprattutto avrà il grande effetto di ridurre al minimo possibile, se non di eliminare, gli sperperi, e questo significa più sostenibilità ma anche più marginalità.

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Romeo Scaccabarozzi, AD di Axiante

La marca propria è anche una delle leve più importanti per la distintività delle insegne.
Proviamo ad aggiungere però un aggettivo: distintività duratura. Se non fosse tale, l'insegna potrebbe differenziarsi solo per la durata delle tre settimane delle promozioni, o per il concorso di Natale. Quindi è importante che sia di lunga durata. Un traguardo che si raggiunge facendo una scelta: su quale aspetto si vuole soddisfare effettivamente il cliente perché ritorni? Perché tutto si gioca alla fine se e quante volte il cliente tornerà nel punto di vendita. Non a caso la frequenza delle visite è uno dei kpi più importanti per i retailer, un'informazione molto più tangibile rispetto, per esempio, a una valutazione in una scala da 1 a 5 sulla soddisfazione del cliente.

Quindi.... su quali aspetti si può soddisfare il cliente?
La risposta la sappiamo: essenzialmente su due elementi, il prodotto e l'esperienza d'acquisto. Mi concentrerò sulla customer experience, perché è un ambito su cui il retailer ha molto spazio per fare meglio il proprio mestiere, non si tratta, come invece accade con il prodotto, di imparare e vestire un ruolo nuovo. Quindi è un obiettivo più a portata di mano.

Definiamo cosa si intende per esperienza d'acquisto.
La customer experience non è solo cosa il cliente trova nel punto di vendita, ma anche quante informazioni riceve dal retailer, e come, incluso tutto quello che ruota attorno al concetto di servizio. In questa fase in cui il rapporto umano tende a sfumare, perché c’è meno personale nei negozi e molte informazioni sono disponibili in Rete, ci sarebbe la possibilità teorica di creare un livello omogeneo di customer experience. Intendo dire che sarebbe possibile eliminare alcune caratteristiche della natura umana, banalmente l'umore della cassiera o del commesso, e grazie alla digital transformation, offrire una customer experience più governabile, più replicabile e soprattutto più sicura.

La tecnologia può aiutare anche a dare più competitività alle imprese?
Sicuramente la tecnologia gioca un ruolo importante per eliminare o ridurre gli sprechi e per ottimizzare alcuni processi. Ovvio che se all'inizio i benefici sono importanti, man mano che si riducono le sacche di inefficienza - e quindi si diventa più bravi, con sistemi di gestione della domanda, della supply chain, di riordino automatico, etc. - i benefici diventano meno evidenti. Però ci sono se soprattutto si abbraccia una differenziazione di lungo periodo, in altre parole si passa da essere una  retail company a essere una data company. Jeff Bezos lo ha detto spesso, definendo Amazon non come è un retailer bensì come una data company.

Concretamente, quale beneficio arriva da essere una data company?
Prima di tutto, la garanzia che si potrà contare sempre su incrementi, magari di minore entità, però la tecnologia è l'unico modo nell’attuale scenario per costantemente, per esempio ottimizzare i prezzi e massimizzare i margini. Tuttavia essere una data company significa affrontare una corsa continua. Significa avere la cultura del dato, per raccoglierlo, strutturarlo, analizzarlo, utilizzarlo, quindi prendere decisioni, applicarle, e riprendere in mano i dati, e così via all'infinito. È un'attitudine che deve alimentare un loop infinito.

Rispetto alla vostra esperienza, in Italia a che punto siamo?
Molte aziende sono già sulla buona strada. La sensibilità sull'importanza dei dati e su come trattarli in modo opportuno è aumentata. Questo in particolare nella distribuzione perché il retail è una macchina che genera un volume di dati giornaliero enorme, a cui si aggiungono i dati che riguardano gli altri retailer, e quelli forniti da società di ricerca o di mercato, e ancora, quelli che arrivano dai social. Sottolineo che questa cultura, o meglio questa attitudine diffusa, è più importante del singolo progetto attuato. Aggiungo che questo mindset riduce inoltre molto la conflittualità interna alle aziende, perché i dati sono spersonalizzati, sono neutri.

Negozio fisico, retail online, finalmente si può parlare di integrazione?
L'ideale sarebbe non doverne più parlare, perché significherebbe che non c'è più la distinzione tra fisico e digitale, nel retail. D’altra parte l’online non è altro che un ingrediente diverso all’interno del percorso d'acquisto, un po' come il carrello della spesa, o il parcheggio, ai quali nemmeno facciamo più caso. Un esempio: prima di pranzo, posso scegliere da casa dei prodotti, poi recarmi in un supermercato che fa anche ristorazione e mangiare lì, poi ritirare la spesa che ho ordinato da casa, magari aggiungendo qualcosa che ha attratto la mia attenzione al reparto del fresco... In questo percorso, dov'è il fisico? Dov'è il digitale?

Va bene, però qualche intoppo c'è ancora in questo flusso...
Effettivamente oggi puoi comprare sullo scaffale tradizionale, o su quello digitale, che non sfrutta nemmeno lontanamente le potenzialità che avrebbe. In realtà, l'online avrebbe una enorme possibilità aggiuntiva, quella di informare il consumatore. Ma finché lo scaffale digitale rimane solo uno scaffale digitale, continueremo a parlare di fisico e online; se invece assume un ruolo in termini di customer experience, per esempio fornendo informazioni sul prodotto, da dove proviene, come è prodotto e come usarlo, con quale altro prodotto abbinarlo, ecco che allora il consumatore tenderà a scegliere l'online anche perché troverà più soddisfazione, e non solo per la pigrizia o il capriccio (o la necessità) di farsi portare la spesa a casa. La realtà è che oggi l'online è ancora solo un'alternativa al fisico.

Il valore dell'eCommerce quindi si misura sull'informazione che può trasmettere?
Entro l'albero decisionale, l'online apre al retailer la grande opportunità di avere un rapporto personalizzato con il cliente, mentre lo scaffale fisico è uguale per tutti. Ma serve costruire uno store digitale che miri a creare soddisfazione anche attraverso l’informazione e la personalizzazione. Non sottovalutiamo che sempre più vogliamo essere informati su cosa mangiamo. Questa evoluzione comporterà una razionalizzazione della rete fisica, quindi una decisione scomoda. Ma distinguersi significa anche fare scelte coraggiose e prima degli altri.

In definitiva come differenziarsi sul lungo periodo?
Come appena accennato, differenziarsi vuol dire anticipare, precedere i competitor con decisioni in grado di innovare.

Il ruolo di Axiante?
Il nostro ruolo è prima di tutto quello di esporre le potenzialità delle tecnologie come leva distintiva ai retailer che fanno un altro mestiere. Dunque un ruolo propositivo ma fatto con grande realismo perché prospettiamo trasformazioni che richiedono tempo e che come business innovation integrator, dobbiamo integrare con il vecchio, inserendo le novità gradualmente e mantenendo ciò che funziona. Si tende a dare al retailer talvolta la colpa di non innovare, ma non è una valutazione corretta: il retailer è attratto dalla tecnologia, ne comprende le potenzialità, ma la sua priorità è la quotidianità. In questa direzione il compito di Axiante è anche quello di spingerli a pensare a medio-lungo termine.

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